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Il cambiamento del Partito Repubblicano

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Nel corso dei decenni, il Partito Repubblicano ha visto un cambiamento radicale dal punto di vista ideologico. L’elettorato del GOP è rimasto in gran parte bianco e, dati alla carta, meno istruito e più vecchio, mentre le minoranze nel Paese sono cresciute vertiginosamente.
Tuttavia, tali dati non sembrano aver influenzato il dibattito politico delle ultime presidenziali nel 2016, anzi. L’elezione di Donald Trump, il quale ha fortemente radicalizzato e polarizzato lo scontro sul terreno sociale, ha lasciato intuire che i fattori sopracitati non abbiano influito molto. Il successo della sua campagna è stato infatti costruito sul rimarcare le differenze di classe, senza sentire il bisogno di offrire soluzioni e sbocchi di cambiamento significativi. Il partito sembra quindi aver intrapreso una nuova strada. Una strada che porta e sposta l’ago della bilancia sempre più a destra. Partendo dalle tipiche posizioni conservatrici, c’è ancora spazio per un Partito Repubblicano “tradizionale” e moderato?

Il cambiamento

Fare un ragionamento di tipo storico può sembrare in apparenza semplice, tuttavia confrontando numeri e posizioni non lo è affatto. Misurare i cambiamenti ideologici non è infatti facile. In un sondaggio del 2017, il 42% dei repubblicani si dichiarava a favore dei matrimoni fra persone dello stesso sesso: in tal senso è lecito ritenere che durante i mandati dei due Bush, tale dato fosse più basso. Eppure per tutto il resto il GOP sembra essere più conservatore che mai.
Tramite l’utilizzo della scala DW-Nominate, metodo utilizzato dai politologi per misurare il livello ideologico dei partiti e dei politici, si è arrivati alla conclusione che i repubblicani odierni siano più conservatori rispetto ai repubblicani degli anni ’70/’80. Guardando ai tempi recenti non è poi un segreto che figure come quella del compianto John McCain e di Paul Ryan, considerati dei conservatori tradizionali, negli ultimi tempi erano ritenuti fin troppo moderati, vista la radicalizzazione della base del partito. In passato non esisteva alcun Tea Party e nessun House Freedom Caucus, così come ai tempi di Bush padre non esisteva alcuna Fox News.
Le posizioni di qualsiasi Presidente repubblicano, attualmente, potrebbero anche essere moderate, però le forze presenti in campo lo spingerebbero fortemente verso una destra ideologizzata, oggi più che nell’epoca di Reagan, tanto per fare un esempio. In ogni caso è innegabile che l’ala neo-con che ha dominato il partito negli anni dei due Bush, con esponenti di spicco quali Dick Cheney, Donald Rumsfeld e Paul Wolfowitz, abbia dato un forte contributo a queste tendenze. Un percorso che parte quindi già dalla fine degli anni ’80.
Il Paese è diventato più vecchio, più vario e più istruito, e i raduni di Trump includono molti più bianchi di età mediamente più alta e il partito, nel mezzo di tali cambiamenti, è diventato ancora più sproporzionatamente vecchio. Nel 1992, secondo il Pew Research Center, circa il 38 percento degli elettori registrati che si identificavano come repubblicani avevano 50 anni o più. Nel 2016, quel numero era cresciuto al 58%. Nel 1992, il 61% dei repubblicani aveva meno di 50 anni, rispetto al 41% di oggi. È mancata, quindi, una certa diversificazione dell’elettorato. Diversificazione che vale poi anche per quanto riguarda il discorso legato al livello di istruzione medio nell’elettorato repubblicano. La percentuale di elettori in possesso di un background scolastico e accademico di alto livello si è infatti erosa nel corso del tempo.
Anche dal punto di vista geografico, ad un forte consolidamento negli stati del Sud, non è corrisposto un aumento della base elettorale sulle coste, specialmente in quella Ovest. Inoltre, l’abuso costante di stereotipizzazioni razziali negative potrebbe, sul lungo periodo, essere nociva per il GOP, considerando l’aumento demografico delle minoranze etniche. L’alienazione crescente di questa fascia sociale del Paese non è saggia e la cattiva reputazione può durare anni: come per tante altre cose le nostre convinzioni politiche possono essere infatti tramandate attraverso generazioni e connessioni familiari.

Nell’attualità

Le passate tensioni tra Trump e la famiglia Bush, e tra Trump e McCain, fanno quindi riferimento alla narrativa di cui abbiamo parlato. Trump è un diverso tipo di repubblicano: il prodotto di un partito diverso da quello a cui i Bush e McCain erano abituati. Trump ha ottenuto in qualche modo la nomination al GOP abbracciando ciò che il partito repubblicano era diventato, non ciò che tanti altri avrebbero voluto che fosse.
Nella questione riguardante l’impeachment, il Presidente ha implementato la sua presa ferrea sulle redini del partito imponendosi come l’uomo forte.

Nessun repubblicano ha infatti sostenuto le accuse o ha votato a favore della messa in stato d’accusa. Anche chi all’inizio si era sbilanciato lasciandosi andare a delle leggere critiche, alla fine si è fatto da parte lasciando cadere nel vuoto il proprio dissenso. Nell’estate del 2017, il due volte deputato repubblicano Dave Trott, in seguito a delle affermazioni negative riguardo all’operato del Presidente per l’abolizione dell’Obamacare, venne di fatto escluso dal partito. Da quel momento in poi praticamente nessuno all’interno del GOP si è apertamente opposto al Presidente.
Includendo lo stretto legame con l’elettorato repubblicano medio attuale, Trump gode di una posizione di grande forza, il che lascia uno spazio politicamente strategico nullo a qualsiasi altra ipotetica idea interna. Le interviste con attuali ed ex membri del GOP e con gli strateghi del partito, realizzate in forma anonima per non affrontare pubblicamente il Presidente, suggeriscono che molti funzionari eletti si trovano di fronte ad una scelta: o votare seguendo il proprio istinto, di questi un notevole 40% dei membri repubblicani del Congresso o è stato sconfitto alle urne o si è ritirato da quando Trump è entrato in carica; oppure, non porsi in maniera critica e operare secondo i dettami di partito.
Tutti gli incentivi che determinano il comportamento politico attraverso donazioni e mezzi di informazione, costringono perciò ogni repubblicano ad allinearsi in nome della sopravvivenza. Importante sarà poi vedere sulla questione impeachment come si svolgerà il processo al Senato. Vedere se ci sarà un definitivo schieramento in difesa del Presidente, cosa a cui ovviamente Mitch McConnell (capogruppo della maggioranza repubblicana al Senato) punta fortemente, sarà fondamentale per misurare la forza e l’influenza della Casa Bianca. McConnell, il quale il prossimo anno difenderà il suo seggio al Senato, ha già dichiarato che lavorerà di concerto col Presidente.

Altro spazio?

Il ritiro di Paul Ryan, la morte di McCain e l’allineamento generale alle posizioni di Trump sono sembrati essere eventi in grado di condurre sempre più a destra il Partito Repubblicano. Negli ultimi tempi però è sorto un movimento di protesta verso l’operato del Presidente da parte di critici conservatori. La nuova organizzazione, conosciuta come Lincoln Project, rappresenta un passo formale verso il cosiddetto movimento Never Trump. Nella fattispecie, si tratta del lancio di un super PAC per combattere la rielezione di Trump. Gli organizzatori riportano impegni di raccolta fondi superiori al milione per iniziare, anche se l’obiettivo è quello di raccogliere e spendere molto di più per finanziare una campagna pubblicitaria di mesi in diversi Stati nel 2020, per convincere gli elettori repubblicani disaffezionati ad allontanarsi dal GOP di Trump.
La missione è semplice: “Sconfiggi il presidente Trump e il trumpismo alle urne”. Il gruppo è guidato da un consiglio composto da alcune personalità repubblicane critiche nei confronti di Trump. Molti, ma non tutti, sono esponenti che hanno già lasciato in passato il Partito Repubblicano per protestare contro l’ascesa di Trump. L’esponente di punta è George Conway, un avvocato conservatore e marito del consigliere capo di Trump, Kellyanne Conway. Ma ci sono anche l’ex consigliere di John McCain Steve Schmidt e l’ex Presidente del partito in New Hampshire Jennifer Horn.
Dalla Casa Bianca tale movimento è stato subito bollato come una raccolta di gestori di campagne elettorali fallite. Tim Murtaugh, direttore delle comunicazioni per la campagna di rielezione di Trump, ha definito il gruppo un “piccolo club patetico di repubblicani irrilevanti e falsi che sono arrabbiati per aver perso tutto il loro potere e influenza all’interno del Partito Repubblicano”. Il progetto è stato appena lanciato, tuttavia appare chiaro che affermare di essere un’espressione estremamente limitata dell’elettorato è un eufemismo. Ben 9 elettori repubblicani su 10 si sono infatti dichiarati favorevoli verso l’operato del Presidente, secondo uno degli ultimi sondaggi Gallup. La strada appare quindi fortemente in salita.

 

Fonti e approfondimenti

Perry Bacon Jr., The Republican Party Has Changed Dramatically Since George H.W. Bush Ran It, FiveThirtyEight, 01/12/2018

Jonathan Martin, Maggie Haberman, Fear and Loyalty: How Donald Trump Took Over the Republican Party, The New York Times, 22/12/2019

Carl Hulse, Mitch McConnell, Master of the Blockade, Plots Impeachment Strategy, The New York Times, 20/12/2019

Trump Conservative Critics Launch PAC to Fight Reelection, The New York Times, 17/12/2019

https://voteview.com/parties/all

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