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La classe media in Giappone è in via d’estinzione

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

In Giappone la maggioranza della società si dichiara appartenente alla classe media (中産階級 chusankaikyu). Dalla crescita economica degli anni Sessanta, l’80%-90% della popolazione si sente appartenente al ceto medio: “classe medio-alta”, “classe media”, “classe medio-bassa”. Nonostante ciò, il Paese registra un aumento della disparità di reddito. Lo scoppio della bolla economica nei primi anni Novanta ha rivelato la debolezza socio-economica giapponese e da allora molti esperti affermano che la Nazione non si sia mai completamente ripresa dalla recessione. Quali sono le cause di questi andamenti? E le possibili prospettive?

Il ceto medio nel Sol Levante

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale, il Giappone entrò in una fase economica di crescita accelerata, chiedendo numerosi sacrifici ai lavoratori, privandoli anche dei basilari diritti sindacali di protesta per evitare rallentamenti. Lo sforzo si protrasse fino alla metà degli anni Sessanta, ponendo le basi per il successo economico dagli anni Settanta agli anni Novanta. Nel 1958, l’8% delle famiglie possedeva un televisore, il 2% un frigorifero, il 20% una lavatrice.

La crescita e l’innovazione del Giappone continuarono. Dal 1974 la produzione di automobili, elettrodomestici e prodotti dell’elettronica conquistò i mercati di tutto il mondo, diffondendo nuovi stili di vita e promuovendo la nascita di numerose piccole-medie imprese nel Paese. Nel 1975 i dati cambiano: il 95% delle famiglie possedeva un televisore, l’89% un frigorifero e il 96% una lavatrice. Dagli anni Ottanta in poi, i lavoratori in proprio diminuirono e gli impiegati nei grandi gruppi industriali aumentarono. Questi gruppi, chiamati keiretsu (系列 ), sono agglomerati di imprese in mano a sette grandi famiglie giapponesi, operanti in settori diversi, collegate fra loro tramite una rete di partecipazioni incrociate e senso etico di appartenenza al gruppo. Era l’inizio del ciclone della frenetica vita lavorativa tipica del lavoratore salariato impiegato presso un’azienda, con reddito fisso.

 

La classe media stabile ma in calo in termini di reddito

Lo scoppio della bolla economica nel 1991 paralizzò il Paese. I grandi istituti bancari non riuscirono più a recuperare i crediti dai privati. La recessione colpì le famiglie, le imprese e il settore pubblico. In quel clima, la risposta più diffusa fu tagliare gli stipendi e il personale, diminuendo così i consumi e aumentando la disoccupazione. Nel 2005 la crescita del PIL giapponese al 3,2% fece presagire un superamento della crisi, che prese il nome di “decennio perduto”.

Da uno studio di Tanaka e Shikata, condotto utilizzando i dati dell’NSFIE (National Survey on Family Income and Expenditure), è emerso che la percentuale della classe media tra il 1994 e il 2009 è passata da 67.29% a 65.21%, mantenendosi su valori stabili. Nel caso in cui fissassimo come riferimento il reddito familiare della classe media ai valori del 1994, il ceto medio passerebbe da 67.29% a 59.47% nel 2009. Questo rivela che, in termini proporzionali e distributivi, la classe media si è mantenuta stabile in rapporto agli anni Novanta, ma in netto calo in termini di reddito. È da sottolineare che, dal calo della classe media, è corrisposto un naturale aumento di un’altra classe sociale, quella più economicamente svantaggiata.

 

Le cause:

1. Invecchiamento della popolazione

Una delle cause principali di questo trend è sicuramente l’invecchiamento della popolazione. Il Giappone ha subito un forte incremento demografico dal periodo Meiji (1868- 1912) fino al 2008, anno in cui la popolazione ha cominciato per la prima volta a decrescere. La prospettiva di vita è aumentata, ma l’invecchiamento della popolazione ha portato a una crescente disparità a livello di reddito, attutita parzialmente da interventi pensionistici da parte del governo. I dati mostrano comunque che la classe media è maggiore tra i lavoratori che tra i pensionati. Ciò significa che, allo stesso tempo, la classe media lavoratrice andrà sempre più diminuendo, perché la società continua a invecchiare senza fare figli.

La presenza di una cospicua fetta di anziani non sarebbe così preoccupante se controbilanciata da altrettanta nuova forza lavoro. Tuttavia, i dati sulla fertilità sono scoraggianti e il ricambio generazionale sempre più difficile. La recessione demografica è cominciata dalla metà degli anni Ottanta e a oggi non si è ancora riportato sopra il livello di 2.1 (considerato il minimo necessario per garantire il ricambio generazionale).

I primi baby boomers, nati dopo la fine della Seconda guerra mondiale, diedero vita a un altro boom, chiamato baby boomer juniors. È da loro che è iniziato l’invecchiamento della popolazione e il calo di fertilità, dovuto in primis a una vita lavorativa sempre più stressante e totalizzante e, soprattutto dopo la recessione, all’insicurezza dovuta a un aumento di lavoratori contingenti e part-time, poco retribuiti e con poche certezze. Questi fattori sono ancora oggi la causa del calo dei matrimoni e dell’aumento dei single, creando uno spaventoso scenario sociale sempre più evidente.

 

2. La scarsa organizzazione dei lavoratori

Secondo Genda Yuji, professore dell’università di Tokyo, le cause di questo sono dovute anche alla non predisposizione dei lavoratori a chiedere un aumento di salario e alla particolare cultura di assunzione post-università. La stagnazione dei redditi è andata di pari passo con l’aumento dell’offerta lavorativa, creando una frattura nelle relazioni industriali. Una delle ragioni principali di questo fenomeno è la scarsa organizzazione dei lavoratori, incapaci così di procurarsi l’accesso alla ricchezza accumulata dalle imprese.

Anche la cultura aziendale è determinante: molte sono le aziende che assumono personale esclusivamente laureato. Nel caso in cui qualcuno non riuscisse a frequentare l’università, come accaduto a molti baby boomer juniors, o a laurearsi in tempi consoni, diventerebbe quasi impossibile trovare un posto di lavoro che possa garantire autonomia e sicurezza.

 

3. aumento del salario minimo

Il sociologo Kenji Hashimoto propone, invece, un aumento del salario minimo a 1500 Yen l’ora (circa € 12,48), per innalzare i guadagni di quella che definisce “sottoclasse”, composta da circa 9 milioni di lavoratori contingenti e part-timer. In queste condizioni un lavoratore a tempo pieno potrebbe guadagnare in un anno almeno 3 milioni di Yen (circa € 25,000), considerati sufficienti per vivere confortevolmente, consentendo a molti la possibilità di non dover dipendere dai genitori per lungo tempo. È piuttosto diffusa una condizione definita “70-40”, in cui molti baby boomer juniors che hanno passato i quarant’anni vivono ancora in casa dei genitori ultra settantenni, non potendo permettersi uno stile di vita adeguato. Stipendi più alti e una migliore distribuzione delle risorse aziendali, così come salari minimi più elevati, permetterebbero a molti di diventare indipendenti e di accedere alla fascia media. Sommando, inoltre, le proprie risorse a quelle di un partner, una coppia si potrebbe ritrovare in condizioni economiche più favorevoli e a fare figli (condizioni lavorative permettendo). Tuttavia, chi vive in casa dei genitori a quarant’anni non è contato come appartenente alla classe povera, perché il reddito è calcolato in base alle entrate del nucleo familiare e non del singolo individuo.

 

Conclusioni e prospettive

Il fattore Gini, che misura la reale distribuzione del reddito, mostra come in Giappone i ricchi diventino sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Come conseguenza si assiste a una netta contrazione della classe media (a cui l’80% dei giapponesi dichiarava di appartenere). A causa di alcune barriere economiche e di una certa cultura aziendale, gran parte dei baby boomer juniors non sono stati in grado di emanciparsi e di consentire un adeguato ricambio generazionale, causando un invecchiamento della popolazione. Dati che vanno ben al di là dei pur sempre reversibili dati economici, in un Paese industrialmente ancora robusto e tecnologicamente avanzato.

Il Giappone è uno dei Paesi peggiori per equilibrio lavoro-vita personale. In risposta a ciò, Microsoft ha sperimentato a Tokyo la settimana lavorativa di quattro giorni, con risultati di produttività molto positivi. Un’altra scossa culturale è arrivata dal ministro per l’ambiente Koizumi Shinjiro (da tenere d’occhio per una futura campagna elettorale ), che ha richiesto il congedo di paternità per stare accanto a suo figlio. Abe, che finirà il suo mandato nel 2021, ha deciso l’anno scorso di stanziare l’equivalente di € 109 miliardi per risollevare l’economia.

Parte di questi investimenti hanno l’obiettivo di favorire i lavori pubblici, l’agricoltura, le piccole-medie imprese e il reinserimento nel mondo del lavoro delle persone che l’hanno perso. Il tempo gli darà ragione o torto ma, in ogni caso, dal 2021 la questione passerà nelle mani del nuovo governo, avendo Abe già raggiunto il limite di tre mandati consecutivi.

Come accennato precedentemente, molti oggi non hanno una prospettiva di vita che permette loro di lasciare casa dei genitori. Una volta che i baby boomer non ci saranno più, i loro figli saranno lasciati a sé stessi e probabilmente necessiteranno di un qualche sostegno da parte dello Stato. In assenza di un’inversione di rotta, il Giappone si troverebbe di fronte a una società sempre più vecchia. In questo scenario, saprà (o meglio potrà) il governo provvedere con un’assistenza pensionistica adeguata?

 

 

Fonti e approfondimenti

Brasor P., Tsukubu M., Poverty in japan: Underclass struggles to achieve upward mobility, in The Japan Times, 13/7/2018.

Caroli R., Gatti F., Storia del Giappone, Editori Laterza, 2016.

Hoffman M, “Japan faces up to the prospect of losing a middle-class war, in The Japan Times, 14/04/2018.

Kitao S., Yamada T., “Dimensions of Inequality in Japan: Distributions of Earnings, Income and Wealth between 1984 and 2014, in CAMA Working paper 36/2019, Centre for Applied Macroeconomic Analysis, Crawford School of Public Policy, The Australian National University, June 2019.

Tanaka S., Shikata M., “The middle class in Japan, 1994-2009: Trends and characteristics”, in Keio-IES Discussion Paper Series 2019-001, Institute for Economics Studies, Keio University, January 2019.

Rich M., A Japanese Politician Is Taking Paternity Leave. It’s a Big Deal“, in The New York Times, 15/01/2020.

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