di Cecilia Cicchetti
La Mesopotamia, terra compresa tra i fiumi Tigri ed Eufrate, è stata la protagonista indiscussa delle prime e fondamentali fasi dello sviluppo della civiltà umana: a partire dagli antichi insediamenti urbani dei sumeri, seguiti da quelli assiri e babilonesi, fino alle grandi innovazioni tecniche (come la ruota o i mattoni) e non (la matematica, la scrittura e l’astronomia) senza le quali il corso della storia umana sarebbe stato radicalmente diverso.
Oggi il nostro punto di vista occidentale tende a relegare l’importanza di questa terra nel passato remoto, ma la Mesopotamia continua a essere una terra estremamente fertile di idee e rivoluzioni. Al tempo stesso, l’area è stata al centro di numerosi conflitti che persistono nel disegnarne il profilo: le vicende del popolo curdo si inseriscono perfettamente in questo tracciato.
Lo Stato-nazione e la messa al bando dei curdi
La parte settentrionale e nord-orientale della Mesopotamia è abitata prevalentemente dai curdi, un popolo che le politiche occidentali di inizio Novecento hanno spartito su quattro Stati-nazione diversi: Turchia, Iran, Iraq e Siria.
Le potenze dell’Intesa, tramite gli accordi di Losanna del 1923, stabilirono a tavolino il futuro dei territori dell’ormai dissolto Impero Ottomano. Come spesso è accaduto nella storia dei rapporti tra Occidente e Medio Oriente, i confini dei nuovi Stati sono stati stabiliti senza consultare le popolazioni che abitavano quei territori, generando tensioni e alimentando focolai di violenza che ancora oggi non cessano di spargere sangue.
Dagli accordi di Losanna in poi, i curdi hanno iniziato a subire una discriminazione istituzionalizzata, in particolar modo in Iraq ma soprattutto in Turchia dove, fin dalla nascita della Repubblica, l’uso della lingua, dei cognomi e della stessa parola “curdo” vennero banditi.
In quanto minoranza etnica, i curdi hanno subito discriminazioni e violenze di ogni tipo, volte ad eliminare la loro stessa esistenza. Da questa oppressione sistematica sono nate diverse forme di resistenza che, dal secolo scorso, portano avanti le rivendicazioni di autodeterminazione di un popolo che si è visto privato di ogni diritto.
La violenza impiegata ha suscitato l’avversione della comunità internazionale nei confronti della causa curda, Nonostante ciò, i movimenti di resistenza sono riusciti a creare degli spazi di autonomia importanti, soprattutto nel nord dell’Iraq, dove si trova il Governo regionale del Kurdistan iracheno, e in territorio siriano, in particolare nel cosiddetto Rojava o AANES secondo le diciture più recenti.
I curdi d’Iraq: repressioni, autonomia e capitalismo
La repressione statale irachena nei confronti dei curdi ha una storia molto lunga e complessa, la cui semplificazione può risultare inadeguata al fine di una comprensione piena del percorso storico di questa comunità del nord dell’Iraq.
Tra gli anni Sessanta e Novanta del Novecento si sono susseguite quattro insurrezioni curde, finché a seguito della sconfitta di Baghdad nella prima Guerra del Golfo, la popolazione curda riuscì a ottenere una zona di vera e propria autonomia nel nord dell’Iraq, dove a oggi si trova il Governo Regionale del Kurdistan Iracheno.
Nei decenni precedenti la repressione del popolo curdo è stata caratterizzata da operazioni militari su larga scala, culminate nei massacri ordinati da Saddam Hussein nel 1983, che provocarono la distruzione di circa tremila villaggi e la morte di quasi centomila persone.
Qualche anno dopo, nel 1987, lo Stato iracheno mise in atto un’altra feroce repressione: una campagna di raid svoltasi tramite l’utilizzo di armi chimiche uccise, secondo le stime dell’AIA, 182’000 persone. Campagna che nel 2005 venne condannata dalla stessa corte internazionale come un vero e proprio genocidio perpetrato nei confronti della popolazione curda.
Kurdistan iracheno: autonomia e realtà
Come già accennato, nel marzo del 1991 i curdi riuscirono ad ottenere un’autonomia fattuale, e nel 1992 un milione e mezzo di persone si recò alle urne per votare il primo parlamento autonomo. Tuttavia le violenze non trovarono fine, perpetrate questa volta tra le stesse fila dei diversi partiti curdi che avevano vinto le elezioni. Ma il PDK (Partito Democratico del Kurdistan) ottenne il governo; l’autonomia è stata riconosciuta ufficialmente dalla Costituzione del governo federale dell’Iraq nel 2005.
A oggi la regione curda irachena è l’unico territorio la cui autonomia è stata riconosciuta dalla comunità internazionale, soprattutto perché il funzionamento degli apparati statali ed economici sono rimasti invariati dopo l’acquisizione della stessa.
Il Governo regionale del Kurdistan iracheno è infatti a tutti gli effetti una società capitalista, che segue le regole del mercato globale e che di conseguenza ne vive a pieno tutte le storture: disuguaglianza imperante, povertà per una larga fascia di popolazione e alti tassi di disoccupazione.
L’utopia del Rojava
La situazione cambia radicalmente se ci si sposta geograficamente a nord-est del Kurdistan iracheno, ovvero nella regione siriana nota come Rojava, il nome più conosciuto dell’Amministrazione autonoma della Siria del Nord-Est. Damasco agì in modo meno violento rispetto a Baghdad ma comunque con episodi importanti di violazione dei diritti umani. Nel 1962 a più di centomila curdi venne revocata la cittadinanza siriana, creando una popolazione apolide dentro lo Stato.
Nel 2012, durante la guerra civile siriana, le Unità di Protezione Popolare riuscirono ad ottenere il controllo di tutte quelle regioni popolate principalmente dai curdi, sottraendole dal controllo del regime di Assad e resistendo agli attacchi dello Stato Islamico.
Nel 2014 i cantoni di Afrin, Jazira e Kobane dichiararono la propria autonomia, cui fece seguito il Contratto Sociale del Rojava: questa costituzione provvisoria, seguendo gli scritti di Abdullah Öcalan, diede vita a quella che fino ad allora era stata una strutturazione teorica di una nuova forma di organizzazione politica ed economica, il confederalismo democratico.
Da allora la popolazione del Rojava ha dovuto affrontare molteplici guerre, prima contro i miliziani dell’ISIS e l’esercito di Assad e dal 2019 in poi contro le forze armate turche, che con il tacito assenso della comunità internazionale hanno lanciato l’Operazione Sorgente di Pace con l’obiettivo di fiaccare la resistenza curda e porre fine all’esperimento del confederalismo democratico.
Rojava: realtà e alternativa
Anche a fronte di tutte le criticità e i conflitti di una regione altamente instabile, il Rojava è riuscito a dar vita a un esempio virtuoso, un’alternativa tangibile al sistema capitalistico. Il Contratto Sociale, rinnovato l’ultima volta alla fine del mese scorso, presuppone un’uguaglianza di genere reale, sia nella politica che nell’amministrazione della giustizia, e un sistema economico scevro dal principio di accumulazione che caratterizza il capitalismo occidentale.
Le cooperative, gestite da consigli misti e in molti casi composti da sole donne, rappresentano pertanto un nuovo modo di intendere la produzione, che richiama quel tema della sussistenza che la narrativa dell’accumulazione ha etichettato come antiquata.
Nonostante le normali contraddizioni che possono nascere in un percorso rivoluzionario, l’esperienza del confederalismo democratico cerca di unire parità di genere, anticapitalismo e ambientalismo. Nel tentativo di realizzare un mondo nuovo che abbia a cuore le istanze sociali, giuridiche, economiche e ambientali che caratterizzano la nostra società e che il capitalismo occidentale per sua natura ignora.
Fonti e approfondimenti
Fusco, F. (2017), Il sole di Erbil. Genesi e sviluppo politico del Kurdistan iracheno, Rivista di studi politici internazionali
Galletti, M. (2004). Storia dei curdi. MIlano: Editoriale Jouvence
Istituto Andrea Wolf. Jin Jian Azadì. La rivoluzione delle donne in Kurdistan. Napoli: Tamu, 2022
Öcalan, A. (2019). Confederalismo democratico. Tabor
Torelli, S. (2016). Kurdistan, la nazione invisibile. Milano: Mondadori
Rojava Information Center. ANEES Social contract – 2023 edition
Editing a cura di Alberto Pedrielli