Mentre l’Impero ottomano entrava nel XX secolo praticamente già condannato, gli Stati europei cercavano di spartirsene i territori. L’ingresso della Sublime Porta nella Prima guerra mondiale al fianco degli Imperi centrali si rivelò l’occasione perfetta per la Gran Bretagna per estendere la propria influenza nei territori arabi.
Nonostante Londra avesse già occupato l’Egitto nel 1882 e imposto una serie di protettorati nell’Arabia meridionale, fu messo in atto un quadruplo gioco nella Regione per sfruttare la debolezza di Costantinopoli a proprio vantaggio coinvolgendo diversi attori locali.
Il nazionalismo arabo come arma: il carteggio McMahon-Huseyn
Circa un anno dopo lo scoppio del primo conflitto mondiale, i britannici, consapevoli del fermento socio-culturale e politico della Nahda, cercarono di utilizzare il nazionalismo arabo come arma contro Costantinopoli.
A tal fine, l’Alto commissario d’Egitto, Henry McMahon, entrò formalmente in contatto con lo Sharif (governatore dell’Hijaz) della Mecca, Husayn bin Ali. Quest’ultimo aveva una certa rilevanza nel mondo arabo-musulmano, non solo per la propria posizione di custode dei luoghi santi dell’Islam, ma anche per il proprio lignaggio, in quanto leader della dinastia hashemita, che vanta una discendenza dalla famiglia del Profeta Muhammad. Già un anno prima, nel 1914, le parti si erano incontrate al Cairo, quando il Console generale britannico, Horatio Kitchener, e uno dei figli di Huseyn discussero informalmente delle intenzioni di Londra qualora fosse scoppiata una rivolta anti-ottomana in Arabia. Un’opzione a cui gli hashemiti meditavano da tempo e per la quale cercavano l’appoggio, o almeno la legittimità, dell’Impero britannico.
Nel 1915, quando McMahon fu incaricato di prendere i contatti con Husayn, venne promesso a quest’ultimo uno Stato arabo indipendente come incentivo a scatenare una guerra interna all’Impero ottomano. I territori sarebbero stati tratteggiati su confini etno-linguistici coincidenti con le aree a maggioranza arabo-musulmana (McMahon considerava l’identità araba e quella musulmana inseparabili). Di conseguenza, i territori a ovest di Damasco, Homs, Hama e Aleppo (tutte città dell’attuale Siria) sarebbero stati esclusi da questo nuovo Stato in quanto non pienamente arabe: si trattava, infatti, di aree a maggioranza cristiana maronita, armena, turca e curda che, inoltre, rientravano negli interessi della Francia, attore coinvolto all’insaputa dei leader arabi. Tra i territori esclusi rientrava anche la Palestina, il cui destino però non era ancora stato esplicitato.
I contatti epistolari tra l’ufficiale britannico e lo Sharif, passati alla storia come “Corrispondenza McMahon-Huseyn”, sono oggi considerati l’inizio del quadruplo gioco britannico nella Regione dal momento che, da un lato, Londra prometteva uno Stato arabo indipendente agli hashemiti senza però specificare le tempistiche né tanto meno lo status della Palestina, dell’attuale Libano e della Siria occidentale; dall’altro lato, Londra stava trattando, separatamente, anche con la Francia, i sionisti europei e Ibn Saud. Inconsapevole dei piani britannici, Huseyn diede inizio alla rivolta araba nel 1916, assumendo il titolo di re dell’Hijaz e proclamandosi sovrano degli arabi, facendo leva sul nazionalismo di questi ultimi.
Nei due anni successivi, i figli di Huseyn, Abd Allah e Faysal, coordinati dalle forze britanniche rappresentate dal capitano Thomas Edward Lawrence, meglio noto come “Lawrence d’Arabia”, effettuarono una serie di azioni militari contro le forze ottomane e le infrastrutture della Sublime Porta, garantendo agli inglesi, guidati dal generale Edmund Allenby, delle solide posizioni da cui attaccare la linea di difesa tra Gaza e Beersheba. Nonostante la rivalità tra diverse tribù arabe, l’unione tra le forze regolari britanniche e la cavalleria hashemita si rivelò un successo e, il 30 settembre 1918, il capitano Lawrence e i comandanti arabi entrarono a Damasco senza colpo ferire, ponendo fine alla campagna mediorientale.
Le altre parti del quadruplo gioco britannico: gli accordi di Sykes-Picot, la Dichiarazione Balfour e Ibn Saud
Mentre le operazioni militari arabe proseguivano, i britannici stavano allargando le trattative ben oltre gli hashemiti. Anche i francesi, alleati di Londra durante la guerra, erano interessati a prendersi porzioni dell’Impero Ottomano. Nel 1916, prima ancora che il conflitto terminasse con la sconfitta di Costantinopoli, il consigliere diplomatico appartenente al Partito conservatore britannico, Mark Sykes, incontrò il console e membro del Partito coloniale francese, François Georges-Picot, per spartire i territori mediorientali.
Il risultato delle negoziazioni tra i due, firmato il 16 maggio 1916, prese il nome di accordi Sykes-Picot: alla Francia fu assegnata l’area siro-libanese esclusa dai territori promessi a Husayn e venne confermata l’influenza britannica sulla Palestina, la Mesopotamia e quella che oggi è la Giordania. L’accordo venne tenuto segreto fino all’anno successivo, quando il testo venne pubblicato dai Bolscevichi russi, che avevano appena rovesciato il regime zarista, come denuncia dell’imperialismo europeo e del precedente regime, in quanto anche Mosca, in teoria, avrebbe ottenuto il controllo di alcuni territori ottomani. La reazione di Huseyn e dei leader arabi fu ovviamente una plateale protesta nei confronti di Londra, che riuscì comunque a calmare l’alleato hashemita in virtù della guerra ancora in corso e di garanzie verbali sul rispetto dell’accordo.
Avuta la conferma da parte di un’altra potenza europea della propria influenza sulla Palestina, la Gran Bretagna fece entrare sulla scena un’altra parte: i sionisti in cerca di una patria. L’anno successivo agli accordi Sykes-Picot, il ministro degli Affari Esteri, James Arthur Balfour, scrisse una lettera a Lord Rothschild, uno dei più importanti membri della comunità ebraica del Regno Unito ed esponente del sionismo. Tramite questo messaggio, noto come Dichiarazione Balfour, Londra si impegnava solennemente a contribuire alla fondazione di un focolare nazionale ebraico in Palestina, senza però meglio specificare in cosa sarebbe consistito tale sforzo. Il documento fu inteso sia come un mezzo per aumentare il ruolo di mediatore del Regno Unito nella Regione che un’autorizzazione all’immigrazione della comunità ebraica nella futura Palestina mandatari, confermata dall’accordo con Parigi. La gestione degli arrivi sarebbe stata delegata da Londra al Fondo nazionale ebraico e all’organizzazione sionista, permettendo quindi agli immigrati di ottenere facilmente la cittadinanza, nel rispetto, però, dei diritti civili e religiosi delle comunità già presenti.
All’interno dei loro piani per la spartizione dei territori ottomani tra alleati e protetti, i britannici si ritrovarono però a dover gestire un elemento inaspettato, Abd al-Aziz bin Abd al-Rahman al-Saud, meglio noto come Ibn Saud. Erede di una dinastia che tra XVIII e XIX secolo aveva tentato più volte di conquistare la Penisola Arabica, all’inizio del Novecento Ibn Saud aspirava a riprendere e completare l’opera dei propri predecessori. Negli anni precedenti alla Prima guerra mondiale, le sue azioni militari furono funzionali ai progetti inglesi, in quanto indebolivano progressivamente il potere della Sublime Porta nella Regione: aveva infatti strappato al-Hasa (Arabia orientale) agli ottomani e scacciato i rivali al-Rashid, alleati e protetti di Costantinopoli, dal Najd centro-meridionale.
Quando però divenne chiaro che quella saudita era, potenzialmente, una forza fuori controllo, i britannici furono costretti a negoziare con Ibn Saud per proteggere i propri protettorati, ovvero lo Yemen meridionale e i piccoli sceiccati del Golfo (oltre che l’Oman), territori ricchi di risorse petrolifere e fondamentali per il controllo delle rotte marittime verso l’India. Nel 1915, infatti, quando Ibn Saud sembrava in totale controllo delle regioni centrali della Penisola Arabica, i britannici, tramite il diplomatico Percy Zachariah Cox, firmarono con la famiglia saudita il Trattato di Darin. Da un lato, il neonascente Regno venne riconosciuto come entità indipendente e alleata contro l’Impero ottomano; dall’altro, tramite la delimitazione territoriale, venne garantita, almeno sulla carta, la sicurezza dei protettorati britannici nella Penisola Arabica e dell’Oman, ma non dell’Hijaz.
Una volta spartito il Medio Oriente con la Francia e gettato le basi per il futuro della Palestina, la sorte dei sovrani dell’Hijaz non fu più una priorità per Londra: i piani britannici non prevedevano nel breve termine la confederazione di Stati arabi promessa agli hashemiti e vedevano con favore la creazione di uno Stato saudita alleato nella Penisola che fosse forte e avesse una buona reputazione nel resto del mondo musulmano. Dopo la Prima guerra mondiale, l’espansione saudita proseguì indisturbata verso ovest: quando nel 1924 Taif venne presa, Huseyn abdicò a favore del figlio Ali. Sul finire dell’anno successivo capitolarono anche Medina e Yambu; il 23 dicembre 1925, con l’ingresso di Ibn Saud a Jedda, gli hashemiti fuggirono rinunciando al potere nell’Hijaz.
Il Medio Oriente post-bellico: il mandato britannico in Palestina e la nascita di nuovi Stati
Se il regno saudita venne creato tramite le conquiste di un sovrano indipendente, in buona parte del resto del Medio Oriente post-bellico le basi dei nuovi Stati vennero gettate dagli europei con la Conferenza di pace di Parigi del 1919 e il Consiglio supremo di Sanremo del 1920: il primo incontro decretò l’imposizione di mandati europei sugli ex territori ottomani, il secondo confermò la spartizione degli accordi Sykes-Picot. Il progetto prevedeva che Gran Bretagna e Francia avrebbero controllato e tutelato le aree a loro assegnate finché queste ultime non sarebbero divenute in grado di essere Stati nazionali indipendenti.
Per i territori assegnati a Londra, la direzione dei lavori venne affidata all’allora Segretario per le colonie Winston Churchill, che con il supporto di Cox, Lawrence e dell’archeologa Gertrude Bell procedette alla tutela degli interessi britannici, a scapito delle popolazioni indigene (nessuno degli inviati britannici, infatti, aveva le competenze necessarie a svolgere tale ruolo). Il grande regno arabo promesso anni prima a Huseyn non fu realizzato, ma due dei figli dello Sharif ricevettero i troni di Iraq e Transgiordania, due Stati neonati dagli accordi Sykes-Picot. Per volere di Cox e Bell, venne anche deciso che il Kurdistan meridionale dovesse diventare parte dell’Iraq e non un’entità indipendente.
Per quanto riguarda la Palestina, i britannici ribadirono il loro impegno alla creazione di una patria ebraica, pur specificando che avrebbero tutelato i diritti civili e religiosi dei nativi. Tuttavia, divenne chiaro fin da subito che le aspirazioni dei nuovi immigrati ebrei sarebbero state difficilmente conciliabili con quelle della maggioranza araba. I palestinesi si opposero fermamente alle decisioni britanniche, che negavano loro il diritto all’autodeterminazione. Le loro proteste non vennero però adeguatamente prese in considerazione dall’autorità mandataria. La testardaggine britannica nell’implementazione della dichiarazione Balfour, unita all’idea eurocentrica che i “selvaggi” nativi avessero bisogno di una tutela straniera per svilupparsi, avrebbe avuto conseguenze tragiche. Già a partire dall’aprile 1920, ci furono scontri tra le due parti che portarono all’uccisione di diversi coloni. Queste violenze furono, tuttavia, solo l’inizio di qualcosa di molto più grande.
Fonti e approfondimenti
Guediri K., The McMahon-Hussein Correspondence, OrientXXI, 21/10/2016.
Guediri K., The Sykes-Picot Agreements, OrientXXI, 30/11/2016.
Jarman R.L. (a cura di), The Jedda Diaries 1919-1940, Archive Editions, 1990.
Nallino C. A., L’Arabia Saʿūdiana, Istituto per l’Oriente, 1938.
The Political History of Palestine Under British Administration, A/AC.14/8 – E, 1947.
Wilson M. C., “The Hashemites, the Arab Revolt, and Arab Nationalism”, in Khalidi R. (a cura di), The Origins of Arab Nationalism, New York, Columbia University Press, 1991.