La Commissione Europea ha recentemente presentato due proposte per la modifica del Codice delle Frontiere Schengen (CFS). Nonché per creare strumenti atti a contrastare la strumentalizzazione della migrazione da parte di Stati terzi.
Si tratta del fenomeno per cui uno Stato terzo incoraggia attivamente o facilita flussi migratori irregolari verso l’Ue, con l’intenzione di destabilizzare l’organizzazione o uno Stato membro. Mettendo così a rischio l’integrità territoriale, il rispetto della legge, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale.
La genesi delle proposte
Negli ultimi anni, la necessità di modificare il quadro giuridico dell’Ue per poter rispondere adeguatamente al fenomeno è divenuta sempre più urgente. Questo a causa della crisi diplomatica e umanitaria determinata dalla pressione migratoria della Bierlorussia alle frontiere esterne. La pressione ha fatto seguito alle sanzioni imposte con la contestata rielezione di Lukashenko nell’agosto 2020. E con le violenze contro i manifestanti che chiedevano pacificamente un nuovo voto.
L’obiettivo delle proposte è il ripristino del pieno funzionamento dell’area Schengen. Ci sono quattro punti su cui concentrarsi: le modifiche generali alla gestione delle frontiere interne; l’introduzione di un nuovo strumento per il rapido rinvio dei migranti tra Stati membri; misure per affrontare nuove epidemie; creazione di un sistema di emergenza per fronteggiare ipotesi di strumentalizzazione delle migrazioni.
Più o meno esplicitamente, le proposte hanno anche a che vedere con un altro tema, ovvero l‘inclusione della Romania e della Bulgaria nello Spazio Schengen. Un argomento di grande rilevanza all’interno dell’Ue, che ha generato dibattiti intensi e contrastanti. Costituendo di gran lunga un problema di enorme complessità per la comunità europea.
La gestione delle frontiere
Le modifiche proposte riguardanti le frontiere interne si concentrano su tre aspetti principali. Queste sono: modifica delle procedure e della durata dei controlli; utilizzo di misure alternative o mitigazione; limitazione dei movimenti non autorizzati dei migranti.
Con le modifiche proposte a procedure e durata dei controlli alle frontiere interne, la nuova legislazione adotta alcune delle misure contenute nella proposta di modifica del 2017 – che non è mai stata approvata. In caso di eventi imprevedibili che richiedono un’azione immediata, i controlli potrebbero durare al massimo 1 mese, con la possibilità di rinnovarli per un massimo di altri 3 mesi.
Nel caso di eventi prevedibili, l’autorizzazione per agire sarebbe soggetta all’obbligo di notifica con almeno 4 settimane di anticipo e potrebbe durare fino a 6 mesi, rinnovabile per ulteriori periodi fino a due anni. La Commissione potrebbe avviare una consultazione con gli Stati direttamente interessati e adottare un parere se ritenesse che i controlli non siano proporzionati o necessari. Inoltre, ci sarebbe la possibilità di mantenere i controlli anche dopo 2 anni, a condizione che lo Stato interessato dimostri la persistenza delle minacce che giustificano la decisione.
Un meccanismo simile alla clausola di salvaguardia dell’art.29 del Codice delle Frontiere potrebbe essere introdotto nel caso in cui gravi minacce all’ordine pubblico o alla sicurezza interna mettano a rischio il funzionamento dell’area Schengen.
Le misure alternative
Al fine di bilanciare queste disposizioni e prevenirne l’utilizzo e gli effetti, la Commissione propone l’adozione di misure alternative e mitigatrici, che includono:
1. Incremento della cooperazione tra gli Stati membri, per gestire in modo più efficace i flussi migratori irregolari e garantire la sicurezza delle frontiere interne senza ricorrere a controlli sistematici;
2. Utilizzo di tecnologie avanzate, da implementare nella sorveglianza e nel controllo alle frontiere, come sistemi di riconoscimento facciale, droni e altre soluzioni digitali per monitorare e gestire i flussi migratori in modo più efficiente;
3. Potenziamento delle pattuglie mobili e delle squadre di intervento rapido, per rispondere rapidamente alle situazioni di emergenza e ai flussi migratori irregolari senza dover chiudere le frontiere interne;
4. Supporto e assistenza umanitaria alle persone in movimento, garantendo che i loro diritti fondamentali siano rispettati e riducendo la pressione alle frontiere;
5. Programmi di reinsediamento e ricollocazione, ovvero promuovere programmi di reinsediamento e ricollocazione dei migranti all’interno dell’UE per distribuire equamente la responsabilità tra gli Stati membri e ridurre la pressione su specifiche frontiere. Queste misure sono pensate per ridurre la necessità di controlli alle frontiere interne, mantenendo al contempo un elevato livello di sicurezza e ordine pubblico.
Il trasferimento dei migranti
Infine, viene introdotta una procedura per il trasferimento dei migranti intercettati in prossimità della frontiera, con alcune disposizioni che sollevano dubbi riguardo alla tutela dei diritti degli interessati.
La procedura, per esempio, prevede il diritto al ricorso, ma non ne garantisce l’efficacia sospensiva. Mettendo così a rischio il futuro delle persone coinvolte. Insomma, alle proposte si accompagnano sfide e rischi. Che devono essere attentamente valutati per garantire il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali dei cittadini europei.
Dopo aver formulato la proposta, il Parlamento europeo ha ufficialmente adottato la propria posizione negoziale con il Consiglio il 20 settembre 2023. Nelle discussioni, i parlamentari di centro-sinistra hanno manifestato la loro contrarietà alla reintroduzione dei controlli alle frontiere interne.
Secondo loro, l’approvazione di queste modifiche potrebbe legalizzare lo status quo e comportare una prolungata limitazione dei diritti dei cittadini europei, anche in assenza di una situazione di emergenza. Il dubbio è più che legittimo.
La migrazione irregolare: alcune considerazioni
Lo sfruttamento della migrazione irregolare, sebbene si sia verificato in passato, è diventato un problema diffuso al confine tra Bielorussia e Polonia. Il piano d’azione 2021-2025 lo identificava come risultato di azioni di attori statali terzi che utilizzano i flussi migratori per fini politici. La definizione proposta nell’articolo 2.27 CFS collega invece questo fenomeno all’obiettivo di destabilizzare l’Unione e uno o più Stati membri. Minacciando le frontiere, l’integrità territoriale, l’ordine pubblico e la sicurezza interna.
L’art. 5 prevederebbe la possibilità di limitare l’apertura e il numero dei varchi di frontiera in caso di situazione apparentemente fuori controllo, rispettando comunque la proporzionalità e garantendo l’accesso al sistema di protezione internazionale e ai diritti di ingresso nel territorio dell’Unione per i cittadini europei e i residenti. L’art. 13, invece, stabilirebbe le modalità di esercizio della sorveglianza ai confini esterni. Utilizzando l’Agenzia europea di guardia di frontiera e costiera su richiesta degli Stati membri o per raccomandazione del direttore dell’Agenzia in caso di vulnerabilità.
Nel 2015, sono stati registrati 1,83 milioni di ingressi illegali delle frontiere dell’Ue, mentre nel 2023 il numero degli arrivi si è attestato a 355.300, tornando ai livelli pre-pandemia. Secondo il CFS modificato, gli Stati membri avrebbero a disposizione misure per affrontare questo fenomeno attraverso la sorveglianza delle frontiere esterne. Di recente, il Parlamento ha approvato il rinnovo del bilancio del Fondo per la gestione integrata delle frontiere per il periodo 2021-2027 che mira a potenziare le capacità degli Stati membri nella gestione delle frontiere, garantendo nel contempo il rispetto dei diritti fondamentali e offrendo protezione ai soggetti vulnerabili, come i minori non accompagnati.
Inoltre, con l’implementazione del sistema ETIAS entro la metà del 2025, i viaggiatori che non necessitano di visto verranno sottoposti a controlli per individuare potenziali criminali e terroristi in arrivo in Europa. I membri del Parlamento europeo hanno anche votato a favore dell’assunzione di ulteriori 10.000 guardie di frontiera entro il 2027 per rafforzare ulteriormente la sicurezza europea.
Analisi delle proposte della Ce
Una rapida analisi delle proposte della Commissione permette di trarre alcune considerazioni preliminari. In generale, sembra che le proposte siano in linea con le normative degli Stati membri, evitando di contrastare le recenti restrizioni introdotte ai controlli alle frontiere interne per periodi prolungati.
Le disposizioni proposte sembrano confermare lo status quo, sperando che una nuova cornice normativa preveda di ricorrere a tali misure solo come ultima risorsa. Se da un lato si allunga il periodo di ripristino e si introduce l’obbligo di valutare alternative o misure di mitigazione, dall’altro si prevede la possibilità di limitare i movimenti non autorizzati di migranti e di riportarli nel primo Stato membro di ingresso. Con un ricorso immediato ed esecutivo che potrebbe essere dannoso per gli interessati.
Per quanto riguarda la gestione delle frontiere esterne, si propone di limitare i viaggi dalle aree colpite da pandemie, distinguendo quelli essenziali e garantendo il diritto di accesso all’UE per i cittadini europei, i loro familiari e i residenti, compresi i richiedenti protezione. Tuttavia, la riduzione dei varchi di confine potrebbe ostacolare i diritti delle persone intenzionate a richiedere protezione internazionale, come evidenziato dalla sentenza FMS.
Infine, è evidente il legame tra queste proposte e il Nuovo patto europeo sulla migrazione e sull’asilo, in particolare per quanto riguarda la gestione dell’asilo e dell’immigrazione in una cornice di impegno comune. Senza una reale solidarietà e un sistema di ripartizione equa delle responsabilità, gli Stati di frontiera continueranno ad essere gravati dalla gestione dei flussi migratori. La chiusura delle frontiere interne, sebbene possa essere vista come una misura necessaria in tempi di crisi, mette in evidenza le debolezze dell’area Schengen. E la necessità di un coordinamento più forte tra gli Stati membri.
Inclusione di Romania e Bulgaria: quale passo per l’UE?
L’inclusione della Romania e della Bulgaria nello Spazio Schengen è un argomento di grande rilevanza all’interno dell’Unione Europea, che ha generato dibattiti intensi e contrastanti.
Nonostante sia stato un passo importante l’adesione dei due paesi all’UE nel 2007, la loro piena integrazione nello Spazio Schengen è stata ritardata a causa di problematiche legate alla sicurezza, alla corruzione e alla gestione delle frontiere.
Tuttavia, con l’avvicinarsi del 2024 e l’introduzione delle nuove regole dello Spazio Schengen, la questione della loro inclusione, formalizzata il 31 marzo 2024, è tornata prepotentemente all’ordine del giorno, generando speranze e apprensioni tra i paesi membri.
Il presidente della Commissione Europea ha sottolineato che “un’Europa unita è un’Europa più forte, e l’inclusione di Romania e Bulgaria nello Spazio Schengen rappresenta un passo significativo verso questo obiettivo”. Con l’implementazione delle nuove regole Schengen, tra cui sistemi di controllo più avanzati e una cooperazione rafforzata, le preoccupazioni sulla sicurezza potrebbero essere affrontate in modo più efficace.
La Romania e la Bulgaria hanno investito notevolmente nel potenziamento delle proprie capacità di gestione delle frontiere. La loro inclusione potrebbe contribuire a un controllo più efficiente delle frontiere esterne dell’Ue. Data la posizione geografica strategica di Romania e Bulgaria, alcuni Stati membri sono preoccupati che l’ammissione di questi Paesi possa aumentare la pressione sulle frontiere interne dell’Ue.
Romania e Bulgaria: pro e contro
I paesi del Gruppo di Visegrád esprimono dubbi sulla capacità di Romania e Bulgaria di gestire in modo efficace la migrazione illegale senza compromettere la sicurezza interna dell’Unione europea, aumentando tra l’altro la pressione migratoria verso di loro, soprattutto considerando le differenze economiche e sociali esistenti tra i paesi membri.
Francia e Germania hanno sollevato preoccupazioni riguardo alla possibilità che l’apertura delle frontiere possa favorire attività criminali transfrontaliere come il traffico di esseri umani e il contrabbando. Pur sostenendo l’inclusione come principio fondamentale, questi e altri Paesi ritengono necessario adottare ulteriori misure di monitoraggio e prevenzione per contrastare tali attività illegali. L’Italia supporta l’inclusione, vedendo nei nuovi membri un’opportunità per condividere il peso della gestione dei flussi migratori.
L’inclusione dei due Paesi nello Spazio Schengen costituisce una questione di grande complessità. Che richiede un bilanciamento tra l’obiettivo di promuovere l’integrazione europea e la tutela della sicurezza e soprattutto dei diritti. Pur riconoscendo le evidenti opportunità economiche e politiche, è fondamentale affrontare con serietà le preoccupazioni sulla sicurezza e sulla gestione della corruzione.
Con l’entrata in vigore delle nuove regole Schengen, il 2024 potrebbe essere un momento cruciale per ridefinire le dinamiche interne dell’UE. E dimostrare una rinnovata capacità di cooperazione.
Fonti e approfondimenti
E. Xanthopolou, Mutual Trust and Fundamental Rights in the Dublin System: A Role for Proportionality, eumigrationalawblog.eu, 12/01/2021
G. Barus, “Schengen si allarga: Romania e Bulgaria nell’area di libera circolazione, ma l’adesione sarà parziale”, 2024
M. Borraccetti, “Nuove regole per lo spazio Schengen: uno sguardo alle proposte della Commissione europea”, ADiM Blog, Analisi & Opinioni, gennaio 2022
Openpolis, La chiusura delle frontiere interne mostra le debolezze dell’area Schengen, 27/10/2023
Parlamento europeo, Schengen: ampliare la zona senza frontiere, 2018.