L’Iran ha attaccato Israele con più di tre ondate di droni esplosivi, non di ultima generazione, come risposta all’attacco che l’aviazione di Tel Aviv ha condotto a Damasco contro il consolato iraniano. Il 1 aprile, infatti, Israele aveva preso di mira una struttura dell’apparato diplomatico di Teheran, che ospitava un nucleo delle Guardie Rivoluzionarie iraniane. L’attacco aveva ucciso 12 persone, tra cui due alti consiglieri militari dei Pasdaran in Siria e diversi civili.
La Repubblica islamica in reazione ha utilizzato droni, missili balistici – lanciati e poi fatti esplodere su aree poco abitate dell’Iraq -, oltre ad annunciare grandi operazioni su X. Il messaggio a Tel Aviv, agli USA e al mondo occidentale è chiaro. L’Iran non accetterà ulteriori aggressioni di Israele fuori dalle regole della “guerra silenziosa”, che da ormai un decennio israeliani e iraniani conducono sotto gli occhi di tutti.
Il Taarof del regime iraniano
Quello iraniano è un attacco misurato, studiato nei minimi dettagli con regole e tempistiche chiare, che si trasformano in un codice morse fatto con i droni. Così il regime non ha tradito lo schema che interpreta da anni nella regione. Capace di garantirgli il peso che ha oggi, ma senza mai scatenare una guerra aperta. Cosa che, in questo momento, cercano di sicuro più a Tel Aviv che a Teheran.
È stato un attacco duro, con più di 500 armamenti coinvolti. Ma che si può dire abbia seguito il “Taarof” della politica estera iraniana. Con questo termine, la cultura iraniana (persiana) indica una fondamentale serie di norme consuetudinarie di comportamento e di buona etichetta che si usano per non offendere l’altro, porsi in una buona posizione. Ma anche porre l’altro in una situazione di debito.
Il Taarof nella pratica
Nel caso dell’attacco verso Israele, le volontà principali erano due. Da una parte rispondere per non apparire deboli – internamente ed esternamente – dopo il duro attacco subito. Allo stesso tempo, mantenere un equilibrio senza arrecare grandi danni, così da lanciare di nuovo la palla a Netanyahu. Nella lettura dei vertici di Teheran, quindi, l’attacco di questa notte è commisurato all’offesa ricevuta – grammatica di base del diritto internazionale – a cui si deve aggiungere un’ulteriore dose di moderazione.
Lo si vede nel grande preavviso fornito a Tel Aviv, che si aggiunge alla richiesta alle forze occidentali di astenersi dall’intervenire. Si inseriscono in questa cornice anche le telefonate che il ministero degli Esteri iraniano ha continuato a fare e ricevere durante tutto l’attacco – per esempio, la chiacchierata tra Tajani e Hossein Amir-Abdollahian a droni in volo. Senza dimenticare l’utilizzo di armamenti molto meno letali rispetto a quelli che l’arsenale di Teheran ha a disposizione.
A tutto questo si aggiunga il messaggio prettamente diplomatico fornito pochi minuti dopo la mezzanotte dalla rappresentanza iraniana presso le Nazioni Unite, sede storica del dialogo della Repubblica Islamica con l’Occidente. Essa aveva dichiarato chiuso l’attacco dopo averne giustificato l’avvio, citando l’articolo 51 della Carta dell’ONU.
Una grammatica scritta nel tempo
Non è la prima volta che l’Iran mantiene questa linea. Il caso più famoso riguarda quello del Generale Soleimani, quando un drone statunitense eliminò il più alto generale in grado dei Pasdaran. E probabilmente la mente della campagna di espansione iraniana di maggiore successo nella storia del Paese.
L’attacco aveva eliminato su preciso ordine dell’allora presidente Trump un membro dello staff diplomatico iraniano. Anche in quel caso, la risposta fu morigerata, soprattutto alla luce di una perdita così importante per i ranghi degli Ayatollah. Un massiccio lancio di missili su una base americana in Iraq, già precedentemente avvertita, che aveva creato qualche ferito anche di una certa gravità, ma nessuna uccisione.
Ma si possono fare anche altri esempi. Tra questi, vi è la risposta iraniana all’assassinio di uno dei vertici del progetto nucleare iraniano ad opera del Mossad in Iran grazie ad un operazione di infiltrazione nel Paese. A questo era seguito un attacco rivolto a basi israeliane nel Nord dell’Iraq e l’eliminazione di una cellula in Iran legata al servizio di spionaggio di Tel Aviv.
Tutte vicende atte a rispondere alla giusta dose di opacità, ma incapaci di fornire a Trump prima e a Netanyahu oggi l’opportunità di usarle a proprio favore per scatenare un escalation totale. Teheran sa infatti che in un conflitto regionale non può uscire vincente, ma anzi con perdite di dimensioni gigantesche e un tasso di distruzione della regione elevatissimo. Di cui sarebbe ritenuta responsabile.
Le prospettive
Necessario è ora capire cosa farà Tel Aviv, se rispondere o rilanciare nel gioco dell’escalation. E come si dovesse muovere la Casa Bianca, che da questa notte porta comunque a casa due risultati. Ha dimostrato di essere ancora in grado di dialogare con Teheran, mitigare un’escalation regionale. Inoltre, ha avuto una risposta positiva dai Paesi a maggioranza musulmana dell’area, come si può vedere dalla Giordania.
Sorgono dubbi per non dire nubi, invece, nell’alleanza tra Tel Aviv e Washington. Quest’ultima si era già detta pubblicamente indispettita dalla mancata informazione sull’attacco di Damasco del primo Aprile. La tensione potrebbe peggiorare se Israele decidesse di rispondere in modo non consono a questo attacco iraniano.
Sullo sfondo di tutto si muovono le piazze mediorientali e la situazione a Gaza. Si sono viste le prime rivolte nella notte in Cisgiordania, ma bisognerà capire come risponderanno le opinioni pubbliche a Istanbul, Amman e il Cairo a questa tensione. E a una risposta di forza di Tel Aviv.
Fonti e approfondimenti
Lucente, A., “Iran launches attack against Israel with missiles, drones in response to Syria strike”, Al Monitor, 13/04/2024
Maloney, S., “Iran’s Order of Chaos”, Foreign Affairs, 8/04/2024
Saab, B., “Iran’s desire to retaliate after Israel’s Damascus strike is balanced with its need to avoid a wider conflict”, Chatham House, 12/04/2024