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Gaza non era abbastanza, Israele all’assalto della Cisgiordania

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Aver ucciso oltre 40.000 persone nella Striscia di Gaza e aver messo in ginocchio i sopravvissuti privandoli di cibo, acqua e cure mediche non era abbastanza per Israele. Nella notte tra il 27 e il 28 agosto è stata avviata un’operazione militare su larga scala anche nel nord della Cisgiordania. Sembra che si tratti dell’attacco più grande nella West Bank da oltre 20 anni. Le principali aree prese di mira sono le città di Tubas, Tulkarm e Jenin, quest’ultima bersagliata da anni per le proprie attività di resistenza alla colonizzazione israeliana, e i campi profughi a esse adiacenti. 

Israele all’assalto della Cisgiordania

La motivazione ufficiale dell’attacco sarebbe la ricerca e rimozione di terroristi armati, a seguito del fallito attentato suicida a Tel Aviv del 18 agosto. Secondo il ministro degli Esteri israeliano Israel Katz, l’operazione intende smantellare l’infrastruttura terroristica iraniana. Tuttavia, questa affermazione sembra più che altro una scusa. Teheran e il suo presunto coinvolgimento un po’ ovunque nello scenario mediorientale sono ormai diventati una sorta di spauracchio da utilizzare come jolly per motivare qualsiasi attacco o massacro. In realtà, i palestinesi della West Bank non hanno bisogno di alcun incoraggiamento iraniano per provare rancore verso Israele. 

La Cisgiordania si trova da tempo nel mirino dello Stato ebraico. Oltre alla demolizione delle proprie abitazioni, agli onnipresenti insediamenti illegali e alla violenza dei coloni, a partire dal 7 ottobre i palestinesi della West Bank hanno subito frequenti raid da parte dell’esercito israeliano. Questi attacchi non sono un fenomeno nuovo, soprattutto per i campi profughi che Tel Aviv presenta nella propria narrazione come potenziali covi di terroristi. Tuttavia, secondo i corrispondenti di al-Jazeera, a partire dallo scorso ottobre i raid militari sono diventati un evento quasi quotidiano, portando a oltre 10.000 arresti e circa 600 morti. Prima del 7 ottobre, nel 2023 erano già stati uccisi altri 199 palestinesi della Cisgiordania. 

I raid militari e la demolizione degli edifici sono necessari per far spazio a nuovi coloni sionisti. Le mire espansionistiche israeliane sulla Cisgiordania, talvolta mascherate come “legittima difesa”, talvolta esplicitamente dichiarate, sono note da tempo. Tel Aviv sembra approfittare di qualunque occasione per impossessarsi illegittimamente di ulteriori porzioni di territorio. 

La continuità tra coloni e Idf

Fomentati da personaggi politici del calibro di Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir, rispettivamente ministro delle Finanze e della Sicurezza, nel corso di quest’anno i coloni israeliani avevano già approfittato del caos provocato dall’assalto a Gaza per prendere 9.15 chilometri quadrati di Cisgiordania, molto di più rispetto alla totalità dei territori sottratti negli ultimi due decenni. Un aumento che segue però una tendenza, sempre più chiara. L’Unione europea pochi giorni fa ha certificato che il 2023 è stato l’anno in cui si sono registrati i maggiori avanzamenti israeliani nella West Bank dagli accordi di Oslo, con più di 12mila unità abitative in più per i coloni. Il “record” precedente era del 2022. 

Il furto di queste aree chiaramente implica sempre la cacciata, quando non l’uccisione, dei palestinesi residenti. I coloni sono di fatto una delle braccia armate dell’occupazione, macchiandosi di atti in continuità con la politica estera perseguita dai vertici dello Stato ebraico. Che infatti continua a finanziarli. Per questo, le sanzioni approvate anche negli ultimi giorni da Usa e Ue non possono essere credibili. Andando a colpire singoli individui e organizzazioni della società civile, cercano di ridurre un problema di sistema a una questione di “mele marce”. Senza scalfire minimamente il regime di impunità che circonda Israele. 

Proprio come è accaduto per Gaza a ottobre, non è semplice stabilire se questa operazione sarà arrestata nel giro di qualche giorno oppure si trasformerà in un massacro su larga scala. Quel che è certo, è che all’orizzonte non si intravede nulla di buono per il popolo palestinese. 

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