*L’articolo è stato aggiornato il 18/10/2024
Per molti era il “macellaio di Khan Yunis”, per gli addetti ai lavori semplicemente Yahya Sinwar, il leader plenipotenziario di Hamas ucciso durante in uno scontro a fuoco con l’Idf a Rafah. Il capo della milizia è stato scovato in modo fortuito, l’operazione non prevedeva la sua eliminazione.
Sinwar è stato identificato tramite la comparazione del Dna del corpo con quello conservato dall’esercito israeliano: l’ex leader di Hamas, infatti, era stato in prigione in Israele per un totale di circa 23 anni.
Le immagini che circolano su internet ritraggono il suo corpo con un colpo in testa, sdraiato in mezzo alle macerie di un palazzo distrutto dai tank israeliani. Dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu al presidente degli Stati Uniti Joe Biden si è alzato un coro di esultanza per l’uccisione di Sinwar. Ma Bibi ha chiarito che “la missione a Gaza non finisce qui”.
Gli inizi di Sinwar
Nato nel 1962 all’interno del campo profughi di Khan Yunis, nella parte meridionale della Striscia di Gaza, Sinwar ha cominciato presto ad avere a che a fare con la lotta armata. La sua famiglia è originaria della zona attorno alla città costiera di Asqalan, ora parte del territorio israeliano con il nome di Ashkelon. Il leader di Hamas è cresciuto con un vicino ingombrante come Mohammed Dahlan, uomo forte del movimento laico antagonista a quello islamico, Fatah.
Nonostante le differenze, e la repressione di Dahlan nei confronti degli islamisti, i due non vengono mai descritti come avversari personali. Nei primi anni Ottanta è stato ripetutamente arrestato da Israele per il suo coinvolgimento nell’attività anti-occupazione portata avanti dentro l’Università islamica di Gaza. Sinwar è stato tra i primi membri di Hamas, il movimento fondato nel 1987 da Ahmed Yassin durante la prima Intifada del popolo palestinese.
Il ruolo dentro Hamas
Nei primi anni di Hamas, “il macellaio di Khan Yunis” ha contribuito a creare l’ala militare del movimento, le Brigate al-Qassam. Come membro di spicco del primo apparato di sicurezza, il Majd, è stato responsabile della caccia ai palestinesi accusati di collaborare con Israele. Proprio alla brutalità della sua azione – e al numero di uccisioni (sarebbero 12 secondo la sua testimonianza) – si deve il suo soprannome. A questo, e alla presunta eliminazione di due soldati israeliani.
Nel 1988 il suo operato gli valse un nuovo arresto da parte delle forze israeliane e la condanna a quattro ergastoli, l’equivalente di 426 anni di carcere. Alla fine ne sconterà in totale “solo” 23 perché verrà liberato nel 2011, nello scambio con il soldato israeliano Gilad Shalit, rapito dai combattenti di Gaza durante uno scenografico raid transfrontaliero nel 2006. In quello scambio furono liberati altri 1047 prigionieri palestinesi. Il responsabile dell’operazione fu Benjamin Netanyahu, già allora Primo ministro del Paese.
Dentro le prigioni di Israele sembra che Sinwar abbia imparato l’ebraico leggendo i giornali del Paese. Secondo la sua testimonianza, questa caratteristica lo avrebbe aiutato nella comprensione delle strategie militari e politiche di Tel Aviv. Oltre a rendergli più facile le trattative con lo Stato ebraico.
La leadership del movimento
Negli ultimi dieci anni, Sinwar ha aumentato a dismisura la sua influenza dentro Hamas, divenendo il capo di una delle tre fazioni del movimento – quella dentro la Striscia di Gaza – in particolare negli affari militari. Le altre due sono rispettivamente fuori dalla Palestina e dentro la Cisgiordania.
Tra gli ideatori della strage del 7 ottobre, era il ricercato numero uno da Israele. Come ha detto il portavoce militare dell’Idf Daniel Hagari, è già “un uomo morto”. Sinwar non si fa vedere in pubblico da anni e, dal 7 ottobre, sarebbe nascosto in uno dei centinaia di tunnel che si trovano sotto Gaza. Secondo alcuni racconti – tutti da verificare – si sarebbe circondato di una ventina di ostaggi israeliani come protezione. Le immagini della sua morte, però, sconfesserebbero questa ipotesi. Dopo la morte di Haniyeh molti non credevano alla possibilità che lui venisse scelto come capo politico del movimento. I fatti sono andati in un’altra direzione, anche se il suo mandato è durato poco.
Secondo molti analisti la decisione esprime una forte dichiarazione di sfida e fermezza di Hamas nei confronti di Israele. Avere il leader politico all’interno della Striscia di Gaza, ovvero dove si combatte giornalmente, è un simbolo del fatto che la resistenza palestinese non si fermerà e che la leadership del movimento – tutta – sostiene la battaglia intrapresa dal 7 ottobre in poi.
In questo modo si era colmato anche il divario agli occhi di chi vedeva una distanza tra l’ala militare e quella politica, della diplomazia. Una sorte di benedizione che conferma la posizione di uomo forte del movimento che Sinwar aveva già acquisito durante gli ultimi anni. Specialmente da quando, nel 2013, era stato nominato all’interno dell’organo decisionale di Hamas.
Con la sua morte si apre la successione alla guida del movimento. Ma Sinwar non ha lasciato un delfino: l’ipotesi che circola è un governo guidato da un triumvirato che, però, sarebbe composto da fazioni in lotta tra loro.
Le relazioni esterne
L’investitura di Sinwar era stato un segnale forte anche nelle relazioni tra Hamas e gli altri attori politici musulmani. Una nomina che faceva piacere, in primis, al principale finanziatore e sostenitore di Hamas, l’Iran, che avrebbe visto di cattivo gusto la nomina di Khaled Meshal, il numero due di Haniyeh e il più accreditato a prenderne il posto. Sotto la guida politica di Meshal, infatti, Hamas aveva preso le distanze dal governo di Bashar al-Assad in Siria dopo lo scoppio della guerra civile. Teheran, alleato chiave e sostenitore di Assad, non lo ha dimenticato.
La nomina di Sinwar ha avuto un impatto anche sulle relazioni con il Qatar, dove Haniyeh viveva da esiliato con tutti gli onori del caso. Doha è uno dei principali mediatori nel conflitto con Israele e questo cambio al vertice sposta l’equilibrio di potere verso la leadership interna di Gaza, allentando così la pressione esercitata dal Qatar e dagli altri Paesi che ospitano Hamas. Ora avranno meno potere su Hamas per fare pressione su di loro affinché accettino ciò che altrimenti non accetterebbero.
Da ultimo bisogna considerare le relazioni con gli altri movimenti palestinesi. Con i quali Sinwar intrattiene rapporti stretti, avendo guidato nel 2017 i colloqui di riconciliazione con Fatah e l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp), sotto la supervisione dell’Egitto. Gli analisti vedono in Sinwar un forte sostenitore dell’unità palestinese. Nel 2021 aveva sostenuto un accordo con il presidente dell’Anp Mahmoud Abbas per organizzare elezioni, che però non sono andate in porto. Con loro rimangono comunque divergenze forti: su tutte, il programma politico di Fatah e il rifiuto di Abbas di “qualsiasi forma di resistenza” contro Israele e la sua occupazione.
Fonti e approfondimenti
al-Jazeera, “Who is Yahya Sinwar, Ismail Haniyeh’s successor as Hamas chief?”, 6/08/2024
Pacini, V., “‘Dal fiume al mare’: la nuova resistenza dei giovani palestinesi”, Lo Spiegone, 12/02/2022
Pacini, V., “Palestina-Israele: una questione coloniale?”, Lo Spiegone, 14/11/2023
Pedrielli, A., “La tregua a Gaza si deciderà al Cairo?”, Lo Spiegone, 20/08/2024
Uddin, R., “Why Hamas picked Yahya Sinwar as its new leader”, Middle East Eye, 8/08/2024