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Che cos’è il corridoio di Lobito e perché è strategico

Lobito angola

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Nel 1902, i coloni portoghesi nell’odierna Angola e quelli britannici nella vicina Rhodesia del Nord (l’attuale Zambia) iniziarono la costruzione della ferrovia del Benguela. Una linea di 1.600 chilometri che collegava il porto angolano di Lobito, sull’oceano Atlantico, allo Zambia, passando per le regioni meridionali della Repubblica Democratica del Congo (Rdc).

Tra Prima guerra mondiale e asperità del territorio, i lavori si protrassero più del previsto. Si conclusero solo nel 1931. Ma gli europei fecero di tutto per portarli a termine: già a inizio Novecento, avevano intuito quanto quella linea – che correva attraverso regioni ricche di risorse di ogni genere – fosse strategica per i commerci internazionali. Una rilevanza che l’infrastruttura mantiene ancora oggi.

La prima ferrovia

Grazie alla ferrovia, la Copperbelt – la “cintura del rame”, composta dalle regioni meridionali della Rdc e da quelle settentrionali dello Zambia – trovava uno sbocco sul mare. Dal porto di Lobito, i minerali congolesi e zambiani lasciavano l’Africa, diretti in Europa e Nord America. Ma sulla ferrovia transitavano anche tonnellate di prodotti agricoli, provenienti dalle province angolane che attraversava: Benguela, Huambo, Bie’ e Moxico.

Una volta completata, l’infrastruttura divenne il mezzo più efficiente per trasportare le risorse verso l’Atlantico. Quando nel 1937 la ferrovia registrò un picco nell’efficienza operativa, sui suoi binari viaggiarono 3,3 milioni di tonnellate di merci per un giro d’affari da 30 milioni di dollari.

Nel 1975, però, scoppiò la guerra civile angolana. Il conflitto, durato 27 anni, interruppe le attività commerciali e il declino della rete fu inevitabile. A incentivarlo contribuì anche il contemporaneo sorgere di infrastrutture rivali.

Come la Tazara, costruita dalla Cina e inaugurata l’anno successivo. Dal 1976, quindi, molte merci zambiane iniziarono a percorrere questa nuova ferrovia, che dallo Zambia arrivava al porto tanzaniano di Dar es Salaam sull’oceano Indiano. Altri prodotti invece viaggiavano verso sud, su strade accidentate, per raggiungere il porto sudafricano di Durban.

Nel 2002, quando in Angola furono deposte le armi, solo 34 chilometri della vecchia ferrovia, meno del 3% del totale dell’infrastruttura originaria, erano ancora operativi.

Progetti di rilancio

Tuttavia, cent’anni dopo la posa dei primi binari, la ferrovia continuava a essere strategica. In un mondo sempre più interessato a forniture costanti di minerali critici, fondamentali per la transizione ecologica, l’infrastruttura si collocava in una regione chiave.

Aveva la sua origine in Zambia, nel 2023 quinto esportatore globale di rame con 800.000 tonnellate. E poi passava per le province congolesi dell’Haut-Katanga e del Lualaba, a loro volta ricche di rame, ma soprattutto fonte del 70% del cobalto mondiale. Senza considerare i giacimenti minori di litio e terre rare presenti in tutti e tre i Paesi.

Una ricchezza considerevole e che ha attirato l’interesse di diverse potenze. Tutte interessate a lasciare un segno sul progetto di rilancio dell’infrastruttura, così da porsi in una posizione privilegiata nell’accesso alle risorse minerarie della regione.

Il fallimento cinese

La prima a mettere le mani sulla vecchia ferrovia del Benguela è stata la Cina. Tra il 2004 e il 2014, grazie a un programma “rail-for-oil” (investimenti ferroviari in cambio di petrolio), la China railways construction corporation ha realizzato una ristrutturazione da 2 miliardi di dollari. Tuttavia, la nuova rete, inaugurata nel 2015, non ha mai soddisfatto le aspettative.

Un po’ perché, a causa di carenze infrastrutturali, non è mai riuscita a raggiungere l’obiettivo prefissato di trasportare 20 milioni di tonnellate annue di merci e 4 milioni di passeggeri. E un po’ perché Pechino non ha permesso ai Paesi africani di prendere realmente il pieno possesso dell’infrastruttura.

Nella stazione angolana di Luena, ad esempio, tutto è fermo al 2012: quando gli operai cinesi se ne sono andati, non hanno lasciato alla controparte africana le password dei computer che controllano i monitor con le partenze dei treni e i prezzi dei biglietti. Così, in una situazione surreale, sulle schermate appaiono le stesse informazioni da più di dieci anni.

L’Occidente si fa avanti

Respinta un’altra offerta cinese, nel 2022, l’Angola si è affidata alla Lobito atlantic railway company, un consorzio europeo. A comporlo tre multinazionali specializzate nella costruzione di grandi infrastrutture o nel trasporto di materie prime: la svizzera Trafigura, la portoghese Mota-Engil e la belga Vecturis.

Le aziende si sono aggiudicate una concessione trentennale, a patto di investire 455 milioni di dollari nello sviluppo della rete in Angola e 100 milioni nella Rdc. Se poi il consorzio dovesse realizzare anche una nuova linea tra Luacano (in Angola) e Jimbe (nello Zambia), allora la concessione sarà automaticamente estesa di altri vent’anni.

Secondo le stime della Banca africana per lo sviluppo (AfDB), il costo totale dell’intervento di ristrutturazione e ricostruzione si aggira sui 2,3 miliardi di dollari. Parte è già stata stanziata dall’istituto bancario stesso e dall’African finance corporation (Afc), un’istituzione finanziaria continentale.

Finanziamenti a volontà

Molte altre risorse invece sono già arrivate dall’Occidente. Infatti, non appena la Lobito atlantic railway company si è aggiudicata il progetto, Stati Uniti e Unione europea hanno annunciato il loro sostegno, anche economico, all’intervento.

Firmato un memorandum d’intesa con AfDB e Afc, Washington e Bruxelles si sono impegnati a sostenere la costruzione di una linea di 800 chilometri tra la cittadina angolana di Luacano e quella zambiana di Chingola. Poi hanno promesso fondi per migliorare la tratta già esistente tra Luau, in Angola, e Kolwezi, importante centro minerario congolese.

Ma le risorse sono destinate a crescere. D’altronde, dopo il fallimento cinese, Stati Uniti e Unione europea non hanno intenzione di lasciarsi scappare l’opportunità di diventare i principali artefici della ristrutturazione della ferrovia e ottenere un accesso privilegiato ai tanti minerali critici che vi transiteranno.

Con il rischio che si accentui la corsa occidentale all’accaparramento dei minerali critici dell’area. Perché assicurarsi una catena di approvvigionamento sicura e duratura è fondamentale per ridurre la dipendenza dalla Cina, che controlla buona parte della raffinazione e lavorazione di queste risorse.

Da Beira a Lobito

Lo sviluppo del corridoio di Lobito non va solo a beneficio dei tre Paesi attraversati direttamente. Coinvolge anche altri Stati della regione, come lo Zimbabwe, quinto produttore mondiale di litio. Proprio per questo, l’obiettivo futuro è creare una rete transcontinentale che da Beira, porto mozambicano sull’oceano Indiano, arrivi a Lobito sull’Atlantico.

Lunga 3.523 chilometri, la linea collegherebbe alcune delle regioni più ricche di minerali di tutto il continente. Dove tra l’altro si pianifica la costruzione delle prime industrie di raffinazione. Si verrebbero dunque a creare le premesse per una catena produttiva – completa e profondamente interconnessa – delle batterie per i veicoli elettrici direttamente in Africa australe.

Fonti e approfondimenti

Fillingham Zachary, “The Lobito Corridor: Washington’s answer to the Belt and Road in Africa”, Geopolitical Monitor, 13 novembre 2024.

Lobito Corridor Investment Promotion Authority, “Confronting the China challenge in Africa: the Lobito Corridor”, 17 aprile 2024.

Ngorora Prosper Heri, “‘Modern plunderers’: Lobito Corridor plans bring fear, hesitation in DRC”, Al Jazeera, 2 gennaio 2025.United Nations Zambia. “Potential Impact of the Lobito Corridor and Support to the Regional Transformation Agenda”, ottobre 2024.

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