«Il Piano Mattei per l’Africa – si legge sul sito del governo italiano – è un piano di interesse nazionale varato […] con l’obiettivo di imprimere un cambio di paradigma nei rapporti con il continente africano e costruire partenariati su base paritaria, superando la logica donatore-beneficiario e generando benefici e opportunità reciproche».
Annunciato la prima volta dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni nel discorso di insediamento a Palazzo Chigi, il Piano è diventato realtà un anno dopo, nel novembre 2023, con il decreto 161, convertito poi in legge nel gennaio successivo.
Con qualche ritardo rispetto alla scadenza fissata ogni anno per il 30 giugno, il 9 luglio 2025 il governo ha trasmesso alle Camere la seconda relazione sullo stato di avanzamento dei lavori.
Un Piano che si propone diverso dagli altri
Le linee generali del Piano Mattei sono state illustrate per la prima volta al Vertice Italia-Africa che si è tenuto nel gennaio 2024, nel corso della presidenza italiana del G7. Al Vertice erano presenti i rappresentanti di 46 Stati africani, i tre presidenti delle istituzioni europee, i vertici delle Nazioni Unite, dell’Unione africana, nonché delle principali istituzioni finanziarie multilaterali.
In quell’occasione, Meloni ha vantato la singolarità dell’iniziativa, che, secondo le intenzioni del governo, romperebbe con gli approcci paternalisti, neocoloniali e con i comportamenti predatori del passato. Preferendo invece la condivisione delle prassi decisionali, finanziarie e organizzative con i partner africani.
Come funziona
L’intero Piano poggia sulla collaborazione tra enti pubblici, centri di ricerca e settore privato. Come punto di raccordo tra le diverse autorità coinvolte, è stata istituita una Cabina di regia, responsabile della selezione dei progetti e composta dai ministeri interessati, oltre che da altri soggetti pubblici e privati. Tra questi, si trovano società controllate e specializzate nel sostegno alle imprese estere, come la Società italiana per le imprese miste all’estero (Simest), Cassa depositi e prestiti e Sace.
Il decreto legge con cui si è data esecuzione al Piano prevede inoltre un’apposita Struttura di missione, con la funzione di predisporre una relazione annuale al Parlamento e assicurare supporto al governo nelle sue funzioni di indirizzo e coordinamento.
Tre dei 5,5 miliardi di finanziamenti previsti per la prima fase del Piano, di durata quadriennale, provengono dal Fondo italiano per il clima, che vede quindi qui dirottata quasi l’80% della dotazione finanziaria prevista fino al 2026. I restanti 2,5 miliardi provengono dai fondi dell’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo.
Come viene finanziato
Nella prima relazione sull’andamento del Piano, del novembre 2024, la Struttura di missione aveva presentato due strumenti principali di finanziamento: un fondo multilaterale, quindi aperto al contributo di Stati terzi, e un fondo bilaterale. Entrambi erano negoziati con la Banca africana di sviluppo (Afdb).
Il fondo multilaterale – chiamato Mattei Plan and Rome process financing facility – ha finora raccolto risorse per 161 milioni di euro, prelevati in gran parte dal Fondo italiano per il clima (100 milioni di euro). L’ammontare tiene anche conto dell’unico contributo estero finora registrato: 25 milioni di dollari, provenienti dagli Emirati Arabi Uniti. Nella seconda relazione sullo stato del Piano, però, viene riportato che queste stesse risorse sosterranno anche i progetti del Processo di Roma, avviato nel 2023 per il contrasto della migrazione irregolare.
Il fondo bilaterale invece nasceva da un accordo di cofinanziamento con l’Afdb per il sostegno alle aziende in Africa, sotto forma di crediti agevolati, doni e assistenza tecnica. Doveva avere una dotazione di oltre 141 milioni di euro. Ma, nel passaggio dalla prima alla seconda relazione, questo mezzo di finanziamento è scomparso, senza che venisse in alcun modo giustificata la sua assenza.
Al suo posto, l’ultima relazione cita altri strumenti, di provenienza mista. Come il Plafond Africa di Cassa depositi e prestiti, con un budget di 500 milioni di euro, per progetti che coinvolgono aziende attive in Africa. Ma anche la Misura Africa di Simest, dotata di 200 milioni di euro (di cui 50 già impiegati) per investimenti in assunzione e formazione del personale locale.
Sommando le dotazioni finanziarie italiane, di cui a settembre 2025 si ha notizia di una chiara provenienza, l’impegno non supera gli 1,5 miliardi di euro. A due anni dalla conclusione del primo quadriennio del Piano, le risorse disponibili sono ancora lontane dai 5,5 miliardi previsti.
La prima fase del progetto
La prima fase del Piano Mattei è stata avviata a gennaio 2024. Era coinvolto un ristretto numero di “Paesi pilota”: quattro del Nord Africa (Egitto, Tunisia, Algeria e Marocco) e cinque dell’area subsahariana (Costa d’Avorio, Mozambico, Repubblica del Congo, Etiopia e Kenya). I progetti iniziali erano 21 e si sviluppavano secondo sei aree di intervento: sanità, istruzione e formazione, agricoltura, acqua, energia e infrastrutture.
In Algeria, ad esempio, Simest ha contribuito a un’iniziativa per il «recupero di terreni semiaridi per la produzione agricola». Un progetto che nasce da un partenariato tra Bonifiche ferraresi e il Fondo nazionale per gli investimenti algerino per il risanamento di 36.000 ettari di terreno. Lo scopo è stabilirvi una filiera di lavoro ad alto contenuto tecnologico nel settore dell’agricoltura rigenerativa.
Secondo le previsioni, il progetto dovrebbe portare alla creazione di 6.000 posti di lavoro e, entro ottobre 2025, alla messa in coltura di 7.000 ettari di terreno. Ma quanti soldi pubblici siano stati investiti nell’iniziativa, a trazione privata, non è dato saperlo: nessuna delle due relazioni lo menziona.
Nella Repubblica del Congo invece è stato avviato un ambizioso progetto volto al «miglioramento dell’accesso all’acqua potabile per la città di Brazzaville». L’obiettivo, entro il 2027, è realizzare un impianto di approvvigionamento che arrivi a servire 1,6 dei 2,15 milioni di abitanti della capitale congolese.
L’esecuzione del progetto è affidata alla società pubblica locale che ha in gestione il sistema idrico, mentre imprese italiane potranno essere coinvolte nella sua gestione e manutenzione. Tuttavia, né la prima, né la seconda relazione menzionano la copertura finanziaria, stimata in 300 milioni di euro. Si riporta solamente che questi fondi potranno avere «provenienza nazionale e internazionale».
Il corridoio di Lobito
Il fiore all’occhiello del Piano Mattei è senza dubbio la partecipazione italiana ai lavori per la seconda fase del corridoio di Lobito. Si tratta di una ramificazione della rete ferroviaria Lobito atlantic railway. L’obiettivo è costruire una tratta tra Luacano (Angola) e Chingola (Zambia) per facilitare il trasporto, verso i porti atlantici, di prodotti agricoli e minerari provenienti dalla Copperbelt, la “cintura del rame”, che comprende le regioni meridionali della Repubblica Democratica del Congo e quelle settentrionali dello Zambia.
Il corridoio di Lobito è uno dei maggiori piani infrastrutturali del Global gateway dell’Unione europea, il cui obiettivo è realizzare nuove vie di trasporto e connessione nei Paesi del Sud globale. La paternità del progetto è quindi europea, mentre il sostegno maggiore è arrivato dagli Stati Uniti, soprattutto sotto la presidenza di Joe Biden (in funzione anticinese).
Attraverso un accordo tra Cassa depositi e prestiti, Sace e la banca multilaterale Africa finance corporation, l’Italia ha stanziato per il progetto 250 milioni di euro. Sebbene sia uno degli interventi finanziariamente più importanti del Piano Mattei, in proporzione al budget dell’intero progetto (2,3 miliardi di dollari), il contributo italiano appare quantomeno modesto.
Problemi di rendicontazione
A un esame comparativo, la rendicontazione dei primi due anni del Piano Mattei rivela alcune importanti lacune. Non solo sul piano dei contenuti dei progetti e dell’aggiornamento dello stato di avanzamento dei lavori, ma anche per quanto riguarda i budget di spesa, le forme di finanziamento e la provenienza dei fondi dichiarati. In aggiunta, le relazioni menzionano diversi progetti concepiti al di fuori degli spazi di consultazione del Piano, la cui inclusione appare meramente nominale.
Già nella prima relazione, ad esempio, si dà conto del Programma di sostegno per lo sviluppo ambientale e la green economy in Etiopia. Il progetto è iniziato nel settembre 2023 (ben prima dell’avvio del Piano Mattei) ed è stato elaborato nell’ambito del Programma di cooperazione Italia-Etiopia 2023-2025. L’iniziativa prevedeva la bonifica dell’area del lago Boye, nei pressi della città di Jimma, per cui il governo etiope nel luglio 2024 ha ottenuto dall’Italia un finanziamento di 450.000 euro. Il Programma viene citato anche nella seconda relazione, ma poteva già dirsi concluso nella prima.
La seconda relazione, infine, formalizzando l’ampliamento di progetti e risorse verso cinque nuovi Paesi (Angola, Ghana, Mauritania, Tanzania e Senegal), manca di dare un sistematico aggiornamento sulla totalità delle iniziative attivate. Mentre la carenza di dati aggregati rende ulteriormente complicata la verifica dei progressi.
Qualche considerazione finale
Il confronto tra le prime due relazioni sullo stato di attuazione del Piano Mattei ne esibisce i principali limiti. La laconicità e la sporadicità dei progetti rivelano l’assenza di un vero e proprio programma organico per lo sviluppo dell’iniziativa. Il Piano Mattei si presenta così come un calderone contenente un numero tutto sommato modesto di iniziative, disperse geograficamente tra oltre una dozzina di Paesi.
Se l’obiettivo è quello di intervenire sulle cause profonde della migrazione irregolare, come spesso annunciato dalla presidente Meloni, e di sostenere la crescita delle nazioni africane, i mezzi risultano quantomeno inadeguati per sperare di avere un impatto sensibile sulle economie dei Paesi coinvolti.
Ma, soprattutto, risulta assente quell’elemento di condivisione delle prassi decisionali e organizzative che doveva rendere il Piano Mattei speciale rispetto agli altri programmi di aiuto allo sviluppo promossi dalle potenze occidentali in Africa.
La definizione strategica del Piano e la selezione dei progetti rimangono prerogativa della Cabina di regia e del governo italiano. Le iniziative avviate rispondono dunque più a obiettivi di natura politica ed economica dell’Italia, piuttosto che a esigenze emerse da processi di consultazione aperta con i partner africani.
La carenza di risorse, la dispersione delle progettualità, l’assenza di un’adeguata pianificazione e rendicontazione dello stato di avanzamento delle iniziative mostrano infine con quanta reale volontà politica sia perseguito il Piano, al di là delle dichiarazioni pubbliche.
Fonti
Carli Andrea. “Il Piano Mattei va scritto con l’Africa”. Ecco quanto gas importerà l’Italia da Congo e Mozambico”. Il Sole 24 Ore. 13 ottobre 2023.
Commissione europea. 2025. Joint press release by the European Commission and the Presidency of the Council of Ministers in Italy.
Giro Mario. “Gestire le migrazioni: il “Piano Mattei” e la sfida della governance”. ISPI. 13 luglio 2023.
Governo italiano. Piano Mattei per l’Africa.
Struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. 2024. Relazione sullo stato di attuazione del Piano Mattei – aggiornata al 10 ottobre 2024.
Struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. 2025. Relazione sullo stato di attuazione del Piano Mattei – aggiornata al 30 giugno 2025.