Un G7 da padrona di casa, un vertice per la Pace in Svizzera, le trattative per i top job europei che entrano nel vivo con la cena informale dei 27. La settimana internazionale della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, è di quelle che non ti lasciano dormire la notte, specie se poi in casa tua nel frattempo scoppiano risse in Parlamento e le opposizioni (anche se non tutte) salgono sull’Aventino, per contrastare la riforma del premierato.
Forte, ma non abbastanza
FdI è uscita rafforzata dalle elezioni europee, passando dai sei seggi del 2019 agli attuali 25: quasi un terzo di tutti i 76 eurodeputati spettanti all’Italia. Questo però, al momento, non è bastato a Meloni per rivendicare un ruolo di primo piano nel Parlamento europeo che verrà.
FdI, insieme ai polacchi di Diritto e Giustizia, agli spagnoli di Vox e ai belgi de La Nuova Alleanza Fiamminga guidano i conservatori e riformisti europei (Ecr). Anche il Fidesz di Viktor Orban sarebbe destinato a entrare nel gruppo, ma non vedrebbe negativamente una fusione tra lo stesso Ecr e Identità e democrazia (Id) dove il Rassemblement national (Rn) di Marine Le Pen la fa da padrone e dove verosimilmente torneranno a militare anche i tedeschi di estrema destra di Alternative fur Deutschland.
Un potpourri difficile da gestire anche per una ormai navigata politica come la premier italiana. Dalla Puglia, nel vertice di Borgo Egnazia, Meloni era uscita sostenendo che il summit fosse stato un successo e che l’Italia non sarebbe rimasta a guardare nella partita europea. Era riuscita a trovarsi indenne anche di fronte alle polemiche con Emmanuel Macron sull’aborto (il presidente francese si è dovuto arrendere al fatto che non fosse nominato nella dichiarazione finale) o all’inchiesta di Fanpage sul sottobosco di chiara ispirazione fascista dei giovani di Fdi.
Anche in Svizzera, dove a Lucerna il 15 e il 16 giugno si è tenuto il vertice per la pace in Ucraina, Meloni ha provato a essere protagonista guidando il fronte dei sostenitori di Kiev. Lunedì però la cena informale ha fatto ripiombare la leader italiana nella realtà. Quella rappresentata dal Primo ministro polacco Donald Tusk, uno dei due negoziatori dei popolari: “Non è mio compito convincere Meloni, abbiamo già una maggioranza con Ppe, liberali, socialisti e altri piccoli gruppi, la mia sensazione è che sia già più che sufficiente”.
I due tavoli
Le parole di Tusk sono arrivate proprio mentre la premier italiana arrivava, con circa sette ore di anticipo, al summit informale dei 27 capi di Stato e di governo a Bruxelles. Chi ha avuto modo di incrociare Meloni l’ha descritta come particolarmente silenziosa prima e durante la cena. A rincarare le affermazioni del leader polacco sono arrivate anche quelle del cancelliere tedesco Olaf Scholz: “È chiaro che in Parlamento non deve esserci alcun sostegno per il presidente della Commissione che si basi su partiti di destra e populisti di destra, le elezioni europee hanno portato una maggioranza stabile”.
Una porta in faccia a un possibile sostegno esterno di Meloni. Che però sa che la partita ancora non è chiusa. La maggioranza, infatti, è stabile solo a parole: i tre gruppi (socialisti, liberali e popolari) raggiungerebbero i 400 seggi, 40 in più del minimo richiesto di 360, ma non abbastanza per tenersi al sicuro da franchi tiratori.
Per questo sembra che Ursula von der Leyen, in volata verso un bis alla Commissione, stia tenendo comunque aperti i due fronti, quello di FdI e quello dei Greens, il gruppo dei verdi che con 53 seggi garantirebbe una maggioranza solida. Non è raro che partiti politici appartenenti allo stesso gruppo facciano scelte diverse sui candidati da sostenere, nel 2019 erano stati proprio i polacchi del PiS a sostenere von der Leyen. Ma con le destre che avanzano e l’odore di una fusione tra Erc e Id potrebbe essere difficile per Meloni ripetere la stessa mossa.
Pesi e contrappesi
C’è poi da considerare un altro fattore. Le figure che ricopriranno i top job europei – primi fra tutti presidente di Commissione, Parlamento e Consiglio europeo – sono storicamente decise “a pacchetto”. Questo significa che finché tutte le tessere del puzzle non si incastrano, l’accordo non si raggiunge. Anche per questo, nella cena di Bruxelles, non si è arrivati a una conclusione. Meloni non avrebbe problemi a sostenere una candidatura di von der Leyen alla Commissione, alcuni suoi big lo hanno già fatto capire. Ma il discorso cambia per i nomi che gravitano attorno alle altre posizioni.
Molto forte è infatti la candidatura del socialista portoghese Antonio Costa alla presidenza del Consiglio. Un uomo considerato troppo di sinistra, non solo da FdI, ma anche da alcuni popolari come lo stesso ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. Dietro Costa rimane in attesa la danese Mette Frederiksen. Che, però, dice di non essere candidata è parla del portoghese come di “un ottimo collega della famiglia socialista”.
Un nome italiano potrebbe fare da outsider, ma di certo non sarebbe gradito alla maggioranza che governa a Roma: Enrico Letta, che rimane sull’uscio, con la speranza di entrare. Ultima, ma non per ordine di importanza, è la lady di ferro estone, la premier Kaja Kallas. Kallas è favorita per prendere il posto di Josep Borrell come Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Ma a più di qualcuno rimane invisa per le sue posizioni troppo dure nei confronti della Russia, le quali potrebbero esacerbare una tensione già molto alta nel confine est dell’Europa.
Anche se dovesse accettare questi nomi e le conseguenze che questa scelta porterebbe sul piano politico, Meloni non la farà senza un contrappeso per il suo governo. L’obiettivo della premier è quello di portare a casa un commissario di peso con il titolo di vicepresidente, con un portafoglio identitario. I posti più ambiti, per ovvie ragioni, sono Difesa e Migrazione. Ma la premier potrebbe accontentarsi di un posto economicamente influente. In questo caso, specialmente se si arrivasse a ottenere il vertice della Concorrenza, in pole ci sarebbe l’ex ministro di Mario Draghi, Daniele Franco. Ma il nome più forte, che Meloni ha tenuto a ringraziare personalmente alla chiusura del G7 pugliese, è quello di Elisabetta Belloni, la 007 che si trova a capo del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza italiano.
La roadmap
Tutto è ancora aperto e tutto è rimandato ai voti ufficiali, mentre ovviamente le contrattazioni informali andranno avanti. Due sono gli appuntamenti da tenere in agenda per la Commissione e, quindi, anche per il resto. Il 27 e 28 giugno il Consiglio europeo dovrà votare e ufficializzare la scelta della presidente della Commissione, che dovrà essere scelta dai capi di Stato e di governo dei 27 con una maggioranza qualificata. Ciò significa che von der Leyen dovrà ottenere il sì di almeno 15 Paesi che nel loro insieme rappresentano almeno il 65% della popolazione Ue.
Per imporre il veto, però, basterà l’opposizione di quattro Stati membri. Se dovessero essere solo tre i contrari il voto sarà ritenuto valido anche se i restanti 24 non dovessero raggiungere il 65% della popolazione europea. Poi la palla passerà al Parlamento europeo. Verosimilmente il 18 luglio, visto che i neo eletti si riuniranno dal 16 al 19 luglio a Strasburgo per la prima plenaria.
In quell’occasione eleggeranno, con voto segreto, il loro presidente per due anni e mezzo rinnovabili. Oggi la presidente è la maltese Roberta Metsola, che potrebbe vedersi confermata. Se nessun candidato ottiene una maggioranza assoluta dopo tre votazioni, alla quarta si passa al ballottaggio. Lo stesso principio vale per eleggere il presidente della Commissione basterà raccogliere 361 voti nell’emiciclo, ovvero la metà più uno dei 720 eurodeputati eletti. Qui, però, il rischio franchi tiratori è alto, basta considerare quanti eurodeputati usciti dalla società civile sono presenti in Italia e potrebbero muoversi in modo autonomo.
Fonti e approfondimenti
Gray, A., Strupczewski, J., “EU summit ends without agreement on top jobs”, Reuters, 18/06/2024
Moens, B. et al., “EU leaders fail to agree on von der Leyen’s second term”, POLITICO, 17/06/2024
Rankin, J., Bayer, L., “EU leaders move closer towards giving second term to Ursula von der Leyen”, The Guardian, 18/06/2024
Sytas, A., “Estonia’s Kallas, fierce Russia critic, tipped as new EU foreign policy chief”, Reuters, 17/06/2024