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Una scuola agricola al limitare dell’Amazzonia brasiliana

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Le attività di insegnamento per gli alunni del terzo anno della scuola agricola a Sucupira do Norte - Lo Spiegone

Annamaria Panegalli ha novant’anni, ma conserva ancora la voglia di fare e la determinazione di quando era più giovane. I suoi occhi scuri sono profondi e la sua voce sicura. La incontro in un pomeriggio di pioggia, in modo inaspettato. Pensavo che fosse in Brasile, dove vive da oltre quarant’anni. La immaginavo circondata dai suoi ragazzi e dalle sue ragazze, a Sucupira do Norte (nello stato nordorientale del Maranhão), dove ha fondato una scuola agricola, diventata ben presto un’eccellenza nel Paese.

Qualche giorno dopo, torno a trovarla. Le porto in dono Il grande gioco delle risorse, il libro che ho curato. So già che lo apprezzerà. Non appena lo riceve, il suo sguardo corre al titolo: «Il grande gioco delle risorse – legge tra sé e sé – i minerali del futuro e la maledizione ecologica».

Soppesa per un attimo le parole. Poi mi guarda: «Pensi che sia una maledizione?». «Sì – le rispondo – per alcuni Paesi l’abbondanza di risorse minerarie diventa una maledizione. Perché molte aree, soprattutto del Sud globale, ne sono ricchissime, ma finiscono con l’esserne depredate dalle grandi multinazionali. E a subire gli effetti peggiori dei processi estrattivi sono le popolazioni locali e l’ambiente circostante».

Ambiente e popolazioni indigene

Annamaria annuisce. È un problema che conosce bene e con cui lei stessa si è scontrata negli anni. In Brasile, infatti, le concessioni minerarie e petrolifere alle grandi aziende non si contano più. «Il governo di prima [quello di Jair Bolsonaro (2019-2023), ndr] – racconta – ha dato via libera alle aziende straniere perché sfruttassero le risorse naturali del Brasile, come minerali e petrolio. Così ora non c’è più niente per pagare le pensioni o gli stipendi degli insegnanti».

D’altra parte, lo slogan dell’ex presidente era «sviluppo economico». Gli investimenti sul piano sociale, sanitario ed educativo potevano aspettare. Così facendo, però, Bolsonaro non ha solo lasciato indietro salute, istruzione e previdenza sociale. Ha anche ignorato completamente la tutela dell’ambiente e i diritti dei popoli indigeni.

Il governo di prima ha dato via libera alle aziende straniere perché sfruttassero le risorse naturali del Brasile, come minerali e petrolio.

I quali – pur costituendo meno dell’1% della popolazione brasiliana (1,7 milioni di persone su 220 milioni) – incarnano la storia e le tradizioni del Paese. Un patrimonio riconosciuto anche dalla Costituzione del 1988 che garantisce agli indigeni il diritto a preservare il proprio stile di vita e ad abitare le proprie terre. Rendendoli custodi e difensori dell’ambiente naturale circostante.

Sostenibilità, equità e inclusività

Ma, in realtà, il rispetto di queste disposizioni è stato spesso in discussione. Già Bolsonaro aveva fatto carta straccia dei principi di sostenibilità ambientale ed economica, equità nella gestione e nello sfruttamento delle risorse e inclusività nei processi decisionali.

Nel 2023 poi, il Congresso – di orientamento opposto al presidente Luiz Inácio Lula da Silva (rieletto a fine 2022, dopo aver già ricoperto due mandati tra il 2003 e il 2011) e controllato dalle principali lobby del Paese – ha approvato la Ley do marco temporal (Legge del limite temporale).

Il provvedimento mette in discussione il diritto degli indigeni alla terra, sostenendo che la disposizione del 1988 si applica solo a coloro che, nel 1988, si trovavano già nei territori in questione (quando però molti indigeni erano stati costretti ad allontanarsi con la forza). In questo modo, la legge ha aperto la strada a investimenti privati nel settore agroindustriale, minerario e idroelettrico (le cui lobby controllano il Congresso brasiliano).

Ma molti di questi territori erano ricoperti dalla foresta amazzonica. Quindi, per rendere possibile l’avvio di nuove attività economiche, sono stati sistematicamente disboscati. Così i tassi di deforestazione – che già durante la presidenza di Bolsonaro avevano visto un’impennata (dai 7.000 chilometri quadrati persi mediamente ogni anno durante i due mandati di Lula a oltre 15.000) – restano particolarmente elevati.

Agroecologia e riforestazione

A trainare la deforestazione in Brasile sono soprattutto le attività estrattive e il taglio (spesso abusivo) di legname di alta qualità poi commerciato illegalmente.

Ma anche l’agricoltura gioca una parte importante. Spesso, vaste porzioni di terreno sono disboscate dalle grandi aziende per avviare coltivazioni su ampia scala, tra cui spiccano le monocolture di soia. Anche la piccola e media produzione favorisce l’erosione del patrimonio forestale, servendosi di tecniche ormai superate, oltre che impattanti. «Il più delle volte – dice Annamaria – gli agricoltori tagliano il fondo del bosco, lo lasciano seccare, lo bruciano e, alla fine, lo piantano».

Ci sono diverse tecniche che si possono applicare per stimolare una produzione agricola che, parallelamente, preservi l'ambiente.

In questo modo, però, la foresta va completamente persa. «Invece – continua Annamaria – sia nella preparazione della terra sia nella semina, ci sono diverse tecniche che si possono applicare per stimolare una produzione agricola che, parallelamente, preservi l’ambiente. Ad esempio, se alcune piante vengono tagliate in determinati modi, tutt’intorno è possibile seminare. Però, bisogna sapere quali sono queste piante e come tagliarle».

Si tratta di rendere l’agroecologia un fondamento del futuro dell’agricoltura brasiliana. Facendo sì che la produttività del territorio ne preservi la stabilità, grazie a una coltivazione sostenibile ed equa. Ed è anche per contribuire allo sviluppo sostenibile di un settore dal grande potenziale, ma estremamente impattante, che Annamaria ha fondato, a Sucupira do Norte, una scuola agricola. I cui principi cardine sono proprio agroecologia e riforestazione.

Scuole che non ci sono

Quando, quarant’anni fa, Annamaria è arrivata a Sucupira do Norte, la popolazione faticava a sopravvivere. La vita degli abitanti del luogo si intrecciava a doppio filo con le piante di cocco che crescevano tutt’intorno: «Erano considerate la “pianta della vita”: il legno era usato per costruire le case, le foglie per ricoprirle e il cocco per fare l’olio».

In questo territorio – povero e isolato, al limitare della foresta amazzonica – Annamaria ha fatto dell’istruzione la sua ragione di vita. Lei che aveva sempre avuto il desiderio di portare l’educazione scolastica anche ai più fragili e in difficoltà. Alla fine degli anni Ottanta, nel villaggio, sono nate la scuola materna e quella primaria, che oggi accolgono circa 200 bambini. Qualche anno dopo, a una manciata di chilometri di distanza, è sorta la scuola agricola, destinata all’educazione professionale.

Scuola-famiglia, famiglia-scuola

Quando le chiedo di raccontarmi della scuola agricola, gli occhi di Annamaria si illuminano e sul suo volto compare un sorriso orgoglioso. «È la scuola della famiglia agricola» esordisce, sottolineando come lì venga utilizzato un metodo educativo innovativo per il Brasile, che lei definisce «scuola-famiglia, famiglia-scuola».

A evidenziare, da un lato, lo spirito educativo di una scuola che si propone di essere accogliente e inclusiva come una famiglia. E, dall’altro, il ruolo fondamentale che la famiglia di origine continua a svolgere nell’educazione di studenti e studentesse.

A coniugare queste due componenti è il metodo didattico che Annamaria e i suoi colleghi hanno sviluppato: «I ragazzi frequentano la scuola per 15 giorni, apprendendo. Poi, i 15 giorni successivi tornano in famiglia per mettere in pratica e condividere quanto hanno imparato. Poi tornano nuovamente a scuola per 15 giorni e così via».

In un ciclo continuo di apprendimento, messa alla prova e condivisione, i giovani trasmettono alla famiglia e alla comunità di origine quello che hanno imparato a scuola: «Insegnano a genitori e nonni come potare le piante e dare il concime. Si confrontano con loro su quello che facevano prima, quando ancora non esistevano i metodi che insegniamo oggi».

Se alcune piante vengono tagliate in determinati modi, tutt'intorno è possibile seminare. Però, bisogna sapere quali sono queste piante e come tagliarle.

D’altronde, la conoscenza del passato – come l’uso delle piante medicinali o di vecchi mezzi di trasporto – è fondamentale. Non per criticare tecniche antiche, ma piuttosto per sviluppare una coscienza storica e costruire basi consapevoli per un futuro migliore, senza che i giovani siano costretti ad abbandonare la loro comunità di origine.

Scuola di vita

Il fine della scuola agricola non è solo l’istruzione professionale dei ragazzi e delle ragazze, ma anche la loro formazione umana. Con l’obiettivo di renderli cittadini e cittadine responsabili, in grado di contribuire alla crescita della loro famiglia, della loro comunità e del loro Paese.

Fin dal primo giorno, studenti e studentesse sono responsabilizzati. Annamaria prosegue nel suo racconto: «Si lavano i vestiti, si fanno il letto e puliscono gli spazi comuni. A ognuno diamo un compito, necessario per il funzionamento complessivo della struttura scolastica. I più grandi si occupano di organizzare le attività. Ad esempio, c’è il responsabile delle pulizie esterne, chi si occupa dell’orto e chi della cura degli animali».

Se qualcuno non contribuisce adeguatamente riceve una nota. Alla fine dei 15 giorni di permanenza, quando si tiene l’assemblea, i ragazzi discutono insieme ai responsabili della scuola, sottolineando cosa ha funzionato e cosa no. Nessuno è immune a critiche: «Anche i professori – sottolinea Annamaria – possono essere richiamati dai ragazzi. Ad esempio, se un docente arriva in ritardo senza un motivo fondato, i ragazzi possono farlo presente e, se anche la segretaria lo conferma, vengono presi i provvedimenti del caso».

Poche risorse

«Una regola fondamentale della nostra scuola è che tutti sono uguali: i professori mangiano le stesse cose dei ragazzi e delle ragazze». Tuttavia, garantire un’alimentazione adeguata e bilanciata a tutti è una sfida notevole, soprattutto per i costi crescenti dei prodotti.

Quando tocchiamo l’argomento, Annamaria sospira: «L’accordo con le famiglie è che parte del cibo sia pagato da loro. Possono decidere di contribuire economicamente con 100 real (circa 16 euro) al mese o con dei sacchi di riso o altri beni che producono. Ma, in realtà, quelli che ci riescono sono molto pochi».

Alcuni prodotti utilizzati per l’alimentazione sono il risultato delle attività educative. Nell’orto, ad esempio, ragazzi e ragazze piantano e coltivano la verdura che poi mangeranno. Mentre nelle stalle allevano animali che poi andranno a costituire la base della loro dieta.

Non mancano le soddisfazioni

Sono quarant’anni che Annamaria si scontra con difficoltà continue, ma il suo obiettivo non è mai cambiato: dare un futuro ai giovani di una delle zone più povere del Brasile. E, con il tempo, le soddisfazioni sono arrivate.

Alcuni dei suoi ex studenti e studentesse lavorano in aziende di rilievo a livello nazionale e internazionale. Altri hanno intrapreso la carriera accademica. Molti hanno continuato a lavorare la terra nelle comunità di origine, condividendo conoscenze e competenze e contribuendo al miglioramento delle condizioni di vita. Qualcun altro ancora ha deciso di trasmettere il suo sapere ai giovani che oggi frequentano la scuola agricola, prendendosi la responsabilità di portare avanti quanto Annamaria ha costruito negli anni.

Sull’oceano

La osservo, mentre davanti ai suoi occhi scorrono i ricordi del passato e, quando noto un guizzo di vivacità, la invito a riprendere il suo racconto. Le sue parole mi portano indietro di più di vent’anni: «Quando il primo gruppo si è diplomato, gli ho detto “vi siete diplomati bene, perciò vi porterò a vedere le lençóis maranhenses [luogo naturale celebre per la sua bellezza, ndr]”. I ragazzi, d’altra parte, conoscevano ancora poco il loro Paese: non avevano mai visto una grande città, la capitale dello stato del Maranhão o il mare».

Era venuto il momento di spingerli verso il futuro e permettergli di fare esperienze. «Ho scritto – ricorda Annamaria – al presidente della Camera dei deputati di São Luís [la capitale del Maranhão, ndr]. Gli ho raccontato della scuola e gli ho detto che, dopo otto anni, i ragazzi si erano diplomati, ma non conoscevano il loro Paese. E, soprattutto, non avevano mai visto la Camera dei deputati, dove vengono votate le leggi che poi incidono sulla loro vita quotidiana».

Ottenuto il pulmino e trovato un posto per dormire, Annamaria e i giovani sono partiti in direzione dell’oceano. «È stato un bel viaggio. Siamo andati a vedere le lençóis, il Palazzo dei leoni [la sede del governo del Maranhão, ndr] e poi abbiamo visitato la Camera dei deputati. Lì, avevo chiesto di avere una guida per spiegare come funzionano i processi decisionali e rispondere alle domande dei ragazzi. Alla fine, è stato il presidente della Camera in persona ad accompagnarci e, sentirlo parlare con dei giovani che per la prima volta vedevano le istituzioni del loro Paese, è stato bellissimo».

Chissà che un giorno io non arrivi a sedermi su una di quelle seggiole. Se ci riuscissi, cambierei la faccia del Maranhão.

Ma la cosa più bella – che ancora oggi fa emozionare Annamaria, quando ci ripensa – è stata l’affermazione di un ragazzo: «Chissà che un giorno io non arrivi a sedermi su una di quelle seggiole. Se ci riuscissi, cambierei la faccia del Maranhão». Poche parole che racchiudono il valore potente dell’istruzione come strumento di emancipazione e trasformazione sociale, politica ed economica.

 

Fonti

Andreoni Manuela, Londoño Ernesto. “La promesa de Bolsonaro de proteger la Amazonía es recibida con escepticismo”. The New York Times. 22 aprile 2021.

Conselho indigenista missionário. 2025. El primer año de vigencia de la Ley del Marco Temporal estuvo marcado por conflictos y violencia contra indígenas en lucha por la tierra.

Sedano, Rodrigo. “La Amazonía brasileña sufre con Bolsonaro su mayor deforestación desde 2008”. France 24. 1 dicembre 2020.

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