Le cholas/cholitas o mujeres de polleras, contraddistinte dagli sgargianti abiti tradizionali, sono figure simbolo per la Bolivia.
La loro storia è caratterizzata dalla lotta costante per affermare i propri diritti e il proprio ruolo nella società, senza scendere a compromessi con la propria identità culturale. Come appartenenti alle etnie aymara, quechua e guaraní, infatti, queste donne hanno sempre dovuto fare i conti con una pesante discriminazione, nonostante i nativi costituiscano tra il 40% e il 60% della popolazione boliviana.
La sfida che oggi affrontano è scardinare gli stereotipi e ritagliarsi uno spazio in ogni ambito della vita sociale, incluse le discipline sportive tradizionalmente considerate maschili, come ha fatto il gruppo Cholitas Escaladoras.
L’abito fa la cholita
Il completo con cui vengono identificate le mujeres de pollera oggi venne adottato nel 1872, in epoca coloniale, per volere del re di Spagna Amedeo I.
Dopo le sanguinose ribellioni provocate dagli indigeni quechua e aymara, infatti, il sovrano dettò alcuni provvedimenti volti a favorire l’assimilazione delle comunità indigene nella cultura spagnola.
Tra essi vi era l’imposizione, nei confronti delle donne native, di un codice di abbigliamento ispirato agli abiti tradizionali delle regioni spagnole.
Le abitanti delle zone di La Paz, Ouro e Potosí dovevano adottare il completo tradizionale tipico della regione spagnola dell’Estremadura, mentre nelle aree di Cochabamba, Tarija e Chuquisaca sarebbe stato utilizzato l’abito tradizionale andaluso.
Il nome chola, con cui le indigene vestite secondo lo stile spagnolo vennero identificate, viene fatto derivare dal termine spagnolo chula, con cui si indicavano le donne, normalmente mogli di servitori o di allevatori di tori, che indossavano questi abiti nella penisola iberica. Secondo una diversa teoria, chola discenderebbe invece dalla parola aymara chulu o cholo, che significa mestizo (“meticcio”).
Al netto dei cambiamenti avvenuti nel corso del tempo e delle differenze regionali, il completo della chola comprende: il sombrero (un cappello alto a tesa ridotta), la blusa o chaquetilla (una camicia ricamata), la pollera (ampia gonna lunga a pieghe sostenuta da una cintura) completa di numerose enaguas (sottogonne colorate), la manta (mantellina di lana) e il calzado (stivaletti con il tacco, portati sopra calzini alti fino alla caviglia).
La mujer de pollera ha anche un’acconciatura tipica (due trecce nere raccolte con lacci o pietre colorate), alcuni gioielli e l’aguayo, una pezza di tessuto rettangolare multicolore, usato come borsa o per trasportare i bambini piccoli.
Mentre in Spagna la modernizzazione determinò l’abbandono degli abiti regionali, le indigene boliviane fecero propria la divisa loro imposta, personalizzandola e rendendola parte integrante della propria identità culturale.
La discriminazione in città
A causa dell’ascendenza indigena, resa palese anche dagli abiti, le mujeres de pollera sono state bersaglio di pesante discriminazione.
In Bolivia, come in molti paesi sudamericani, infatti, coloro che presentano tratti somatici indigeni tendevano (e in parte tendono tuttora) a essere associati a preconcetti circa la loro ignoranza, sporcizia, incapacità di parlare correttamente lo spagnolo e appartenenza a una classe sociale inferiore (addirittura in Perù, altro Stato con un’alta percentuale di popolazione indigena, nei primi anni Duemila divenne popolare il personaggio televisivo comico della Paisana Jacinta, costruito su questi stereotipi negativi).
Il trattamento riservato alle cholas peggiorò a seguito dell’immigrazione dalle zone rurali boliviane di origine alle città.
Le mujeres de pollera entrarono infatti a far parte degli strati più bassi della classe operaia, essendo impiegate come cuoche, donne delle pulizie o venditrici di pietanze tradizionali nei mercati, oppure costrette alla prostituzione.
Il termine cholas assunse un significato dispregiativo e, fino alla fine degli anni Ottanta, non era permesso alle donne appartenenti a questa categoria entrare nei ristoranti o andare a scuola indossando l’abito tradizionale.
Nella capitale era loro vietato persino attraversare la piazza centrale, Plaza Murillo, o i quartieri più eleganti e ricchi, se vestivano la pollera.
Queste difficoltà, tuttavia, non hanno impedito alle cholas di mantenere orgogliosamente la propria identità culturale e di scendere in campo a lottare per i propri diritti.
Il Sindicato de las Culinarias
Nel 1935, l’amministrazione di La Paz emanò un provvedimento che vietava l’utilizzo dei tram alle cholas, perché erano “persone con segni visibili di scarsa pulizia e con abiti puzzolenti che avrebbero potuto contaminare altri passeggeri”.
Questa misura venne considerata estremamente ingiusta. All’epoca, infatti, il tram era il solo mezzo pubblico esistente e per moltissime mujeres de pollera rappresentava l’unica modalità per recarsi nei quartieri dell’alta società boliviana, presso cui prestavano il proprio lavoro.
Le cholitas crearono allora il Sindicato de las Culinarias, un’organizzazione guidata da Petronila Infante, che riuniva le donne impiegate come cuoche e che protestò energicamente contro la misura, ottenendone infine il ritiro.
Successivamente, il collettivo raggiunse altri risultati importanti per le mujeres de pollera lavoratrici: impedì l’aumento dei prezzi dei biglietti dei tram, contribuì a creare asili gratuiti per i figli e a garantire il limite di otto ore di lavoro giornaliero.
Il Sindicato guidò anche la protesta contro l’imposizione del carnet de sanidad. Tale documento, obbligatorio per le sole mujeres de pollera, serviva ad attestare la loro igiene e pulizia ed era requisito fondamentale perché potessero lavorare e usare i mezzi pubblici
Il collettivo denunciò il carattere discriminatorio della misura, dato che il documento era obbligatorio solo per le donne indigene, e riuscì dapprima a ottenere che fossero le famiglie che assumevano le cholas a coprire le spese per le visite mediche necessarie a ottenere il carnet, successivamente a farlo abolire.
Fino al suo scioglimento, avvenuto a fine anni Cinquanta, durante il governo di René Barrientos Ortuño, l’organizzazione costituì un baluardo per i diritti delle donne indigene e fu uno dei primi esempi della lotta di questo gruppo sociale contro la visione stereotipata delle donne appartenenti a popolazioni native.
Oltre lo stereotipo: il potere di fare attività “da uomo”
A partire dagli anni Novanta, le popolazioni indigene beneficiarono dei successi delle lotte dei movimenti per il riconoscimento e la tutela dei diritti e dell’identità delle popolazioni originarie, culminate con l’approvazione di una costituzione pluralista e indigenista e di una legge contro il razzismo.
In questo clima le mujeres de pollera hanno iniziato progressivamente a espandere la loro partecipazione alla società, accedendo a ruoli prima impensabili per loro (educazione universitaria, incarichi pubblici, lavori nel mondo dello spettacolo e della moda).
Un esempio di questo processo di apertura a nuovi spazi, che ha attirato l’attenzione dei media internazionali, è la vicenda del collettivo Cholitas Escaladoras.
Si tratta di un gruppo di cholitas paceñas (originarie del dipartimento di La Paz), nato nel 2015 con lo scopo di dimostrare che anche le donne indigene possono praticare l’alpinismo, indossando rigorosamente la pollera e gli abiti tradizionali al di sopra del tessuto tecnico.
In Bolivia è fiorente il turismo montano, essendo presenti nel Paese alcune tra le vette più elevate del continente. La redditizia attività di guida per le comitive di alpinisti, tuttavia, è sempre stata esclusiva degli uomini, soprattutto membri delle popolazioni native, considerati migliori conoscitori del territorio. Le donne impiegate nel settore si sono occupate per molto tempo solamente del trasporto dei bagagli o di cucinare per i turisti e non si sono mai spinte oltre i campi base, né è comune che partecipino a scalate fino alle cime.
Nel 2015, tuttavia, la cholita cinquantenne Lidia Huayllas Estrada, dopo aver lavorato per decenni come cuoca nel campo alle pendici del Huayna Potosí (6088 m), mentre il marito Elio guidava i turisti fino alla cima della montagna, decise che anche lei voleva andare sulla vetta.
Alla base di questa scelta non c’era solo la curiosità, ma anche il desiderio di abbattere un limite, di superare una visione parziale e stereotipata della chola: “Perché io ero davvero arrabbiata, no? Per tutto quello che vedevo, c’era tanta discriminazione verso la mujer de pollera. Tanto razzismo. […] Così, ho preso la decisione di fare il lavoro di un uomo. Per dimostrare a tutti che non solo gli uomini possono fare questo tipo di sport. Anche le donne possono farlo, usando i loro abiti”.
Lidia coinvolse nel suo progetto amiche e colleghe, tutte mogli o figlie di guide alpine, e con loro realizzò, tra il 2015 e il 2018, l’ascesa alle più elevate cime boliviane, nonostante le difficoltà economiche e l’ostruzionismo iniziale di molte guide nei confronti del progetto.
Queste attività le hanno rese note a livello nazionale e internazionale, ispirando altri gruppi di cholas a intraprendere l’alpinismo.
Grazie al contributo di fondi internazionali, le Cholitas Escaladoras hanno raggiunto anche la cima del monte Aconcagua (6961 m) in Argentina, e la spedizione è stata oggetto di un documentario.
In numerose interviste, il gruppo ha dichiarato che il loro sogno è recarsi sul massiccio dell’Himalaya e conquistare la vetta dell’Everest (8848,86 m).
L’attività delle Cholitas Escaladoras è l’esempio più recente degli sforzi delle mujeres de pollera per superare i limiti imposti dalla discriminazione. Si tratta di un percorso ancora aperto, che sottolinea l’importanza per le donne, specialmente indigene, di recuperare la libertà di scegliere in autonomia il proprio cammino, senza rinunciare alla propria identità culturale.
Fonti e approfondimenti
BBC News, The rise of the “cholitas”, Paula Dear, 20/02/2014.
Colectivo La Tinta, Sindicato de Culinarias: mujeres en la lucha del pueblo boliviano, Gustavo Díaz, 14/12/2017.
International Climbing and Mountaineering Federation (UIAA), Nominee – Feminist Hiking Collective.
Lo Spiegone, L’Altra America: Bolivia, Francesca Rongaroli, 10/06/2019.
Mountain Blog Italia, Alpinismo Femminile. Le “Cholitas Escaladoras” boliviane, 29/12/2018.
Muy Waso, 85 años del Sindicato de Culinarias: doña Peta y las cholas anarcosindicalistas, Jhoselin Granados, 17/08/2020.
Radioambulante, Las escaladoras, 13/04/2021.
Sen Enderezo, Las cholitas bolivianas en clave feminista, 11/12/2020.
The Guardian, The rise of Bolivia’s indigenous ‘cholitas’ – in pictures, Eduardo Leal, 22/02/2018.
Urgente.bo, La historia del traje de la chola, 20/07/2021.
Editing a cura di Giulia Lamponi
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