Fine vita: guida pratica al dibattito

Sebbene proceda a fasi alterne, la discussione sul “fine vita” in Italia è molto accesa, anche se spesso nel dibattito sull’etica viene tralasciata la descrizione dei trattamenti medici in questione. In mancanza di questa i fraintendimenti sono inevitabili, e lasciano entrare confusione e rigidità ideologica in quello che alla fine è un discorso di diritti del malato.

Nel “fine vita” rientrano solo le azioni mediche volte ad accelerare o causare la morte di un paziente incurabile, in stato di sofferenza e senza possibilità di miglioramento, nessun altro caso è incluso. Ricordare questa fatto è molto importante, in quanto spesso su questo punto hanno insistito speculazioni che volevano banalizzare il discorso, riconducendolo alla semplice medicalizzazione del suicidio volontario.

Nel fine vita sono infatti inclusi molti trattamenti diversi tra loro, che spesso nel dibattito sul rendere o meno legale il loro impiego vengono ingiustamente accomunati. Questo avviene per la caratteristica stessa della contrapposizione, che si fonda sulla questione del “diritto di disporre della propria vita”, ossia se sia possibile per ciascuno decidere cosa farne, fino al punto di scegliere anche se e come interromperla.

Per potersi orientare al meglio nel dibattito sul fine vita è quindi necessario ripartire proprio dai singoli termini:

Eutanasia

Il termine deriva dal greco e sta per “buona morte”, descrivendo i trattamenti medici volti ad abbreviare la sofferenza dei malati terminali. L’eutanasia può essere passiva, quando il medico si astiene dal continuare le cure che tengono in vita il paziente, o attiva, quando ne causa direttamente la morte. Questo secondo caso è sicuramente l’aspetto più controverso ed eticamente discutibile dell’intero dibattito sul fine vita, coinvolgendo oltre al paziente e i suoi cari anche i medici che dovrebbero metterlo in pratica.

In entrambi i casi è comunque fondamentale che sia il paziente a fornire un consenso chiaro e inequivocabile al trattamento, cosa che spesso riesce difficle quando la patologia rende incoscienti o incapaci di intendere. In questi casi tornerebbe utile l’aver redatto un testamento biologico, istituto che vedremo più avanti. Altro grande nodo da sciogliere riguardo il consenso informato alla propria morte è rappresentto dall’età. Quale sia l’età oltre la quale un individuo deve essere inteso capace di compiere questa scelta è materia di scontro, come pure se un genitore o un tutore possa prenderla al posto del diretto interessato.

Per la legge italiana l’eutanasia attiva costituisce reato, secondo gli articoli 579 (Omicidio del consenziente) e 580 (Istigazione o aiuto al suicidio) del Codice Penale, e la stessa situazione si ha in quasi tutti i paesi. All’interno dell’Unione Europea gli unici paesi in cui è concesso richiedere l’eutanasia attiva sono Olanda, Belgio e Lussemburgo.

Interruzione della terapia

Quella che abbiamo chiamato “eutanasia passiva” coincide con l’interruzione volontaria delle terapie salva-vita su richiesta di chi le riceve. Questo rifiuto è possibile nel caso in cui esista una sproporzione tra la sofferenza del malato e quello che queste cure possono fare per migliorare la sua vita, facendogliele ritenere un “accanimento terapeutico”, inutile per migliorare la sua condizione ma in grado solo di prolungarla. Tra i trattamenti rifiutabili sono comprese respirazione, nutrizione e idratazione artificiali.

Le convinzione etiche del medico curante devono essere rispettate ma questo non può impedire che il paziente ottenga infine ciò che richiede, e la sospensione dei trattamenti deve essere accompagnata dalle cure palliative. La volontà del paziente deve essere espressa coscientemente ed esplicitamente e, qualora questo non fosse possibile, ricercabile in un testamento biologico o nelle testimonianze di chi era al corrente della sua volontà.

Intendere la scelta di lasciarsi morire come il risparmiarsi una sofferenza inevitabile ed evitare l’accanimento tetapeutico rende la pratica molto più accettabile a livello etico e legale rispetto all’eutanasia attiva.

Per la sospensione delle cure, infatti, esistono delle tutele legali addirittura nella Costituzione, all’articolo 32 comma 2: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”, oltre che nella giurisprudenza.

Il 24 ottobre 2008 il Comitato Nazionale di Bioetica ha fissato un punto cardine secondo il quale un paziente cosciente, capace di intendere e informato sulle terapie ha il diritto di pretendere l’interruzione o la non attivazione di trattamenti sanitari, anche qualora la sua vita dipenda da essi.

Addirittura la Chiesa Cattolica ha una posizione morbida verso questo trattamento (Catechismo della Chiesa Cattolica 2278): nel caso in cui le uniche cure possibili causino una sofferenza eccessiva a fronte di risultati insufficienti, il paziente può coscientemente richiederne la sospensione, accettando di non poter impedire la morte.

Cure palliative

Secondo la definizione dell’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) questi trattamenti servono ad alleviare e prevenire il più possibile la sofferenza del paziente terminale, migliorando la qualità del suo fine vita. La parte pricipale di questo insieme di cure è sicuramente la terapia farmacologica del dolore.

L’importanza di queste cure è fondamentale nel discorso del fine vita, essendone una componente fondamentale: una volta presa la decisione di sospendere le cure o ricorrere all’eutanasia il paziente ha diritto a richiedere questi trattamenti, compresa l’induzione dello stato di sedazione profonda (coma farmacologico). Scegliere la dignità rispetto alla sofferenza, infatti, passa inevitabilmente per l’eliminazione della seconda.

L’accesso alle cure palliative in Italia è tutelato dalla legge 38 del 15 marzo 2010, ed è esteso a tutti coloro che soffrono di patologie croniche e degenerative che li espongono a forti sofferenze. Anche il Comitato Nazionale di Bioetica ha recentemente emesso un parere in cui, a patto che il paziente sia prossimo alla morte e in stato di forte sofferenza, invta a non confondere la sospensione delle cure con sedazione profonda con l’eutanasia o il suicido assistito, ma una tutela del diritto ad una morte dignitosa.

Suicidio assistito

Questa pratica è simile all’eutanasia, ma con una differenza che è fondamentale per la legge e per l’etica. Nel suicidio assistito è infatti il paziente terminale a causarsi la morte, assumendo dei farmaci che assicurano un passaggio sereno, incosciente e senza sofferenza.

Aiutare a compiere questo gesto, ad esempio procurando le medicine, è solitamente un reato ma, dove il suicidio assistito è normato, il tutto avviene legalmente e alla presenza di personale medico. Saranno proprio questi ultimi ad assicurarsi della volontà, della capacità e dell’informazione del paziente, procureranno i farmaci e vigileranno che la procedura avvenga correttamente e in modo da non causare sofferenza.

In Europa il sucidio medicamente assistito è praticabile in Belgio, Olanda, Lussemburgo e in Svizzera, nota per permetterlo anche ai non residenti, fatto che l’ha resa meta di molti cittadini degli Stati confinanti che qui cercano aiuto. Alcuni familiari che hanno aiutato dei cari a morire sono sono stati assolti in Germania mentre nel Regno Unito in alcuni casi estremi la pratica è stata autorizzata da un giudice, ma in entrambi i paesi la pratica è normalmente proibita dalla legge.

Testamento biologico

La “Dichiarazione Anticipata di Trattamento” è un atto che si scrive quando si è ancora in possesso delle proprie facoltà mentali per regolare ciò che avverrà in caso di venir meno di esse, rendendo esplicite le proprie convinzioni e volontà in fatto di fine vita. Al suo interno si possono infatti indicare quali trattamenti si vogliono ricevere e quali no in caso di condizione terminale irreversibile, qualora ci si trovi in aggiunta anche in stato di incapacità mentale.

Questo documento servirebbe a permettere l’impiego dell’eutanasia o della sospensione delle cure, che ricordiamo richiedono un consenso esplicito e informato del paziente, anche nei casi in cui non è in grado di esprimere da sè la sua posizione, risolvendo in anticipo i dubbi che medici e parenti potrebbero sollevare. Questi casi, come avviene oggi, possono infatti essere portati in tribunale da chi si oppone alle decisioni di parenti e medici, prolungando le sofferenze dei pazienti.

Un importante passo a favore del testamento biologico è stato determinato dalla cosiddetta Convenzione di Oviedo sui Diritti Umani e la Bioetica, che al suo Articolo 9 cita testualmente: “i desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà, saranno tenuti in considerazione”. Il trattato è stato accolto dall’Italia nel 2001, ma non è mai stato ratificato dal nostro Parlamento.

In Italia alcuni comuni hanno istituito un registro dei testamenti biologici, nel quale questi documenti vengono autenticati e registrati, ma in mancanza di una legge che regoli in qualsiasi modo la materia sono poco più che dichiarazioni d’intenti. Far valere questi documenti nei procedimenti legali è quindi difficile se non impossibile, nonostante questo fatto collida con lo stesso articolo 32 della Costituzione.

La legge italiana sta cercando di riempire il vuoto normativo in cui sono costretti i malati terminali: al momento sono in discussione in Parlamento ben 12 disegni di legge, di cui 4 presentate nel 2017. La più importante di esse è quella riguardante il testamento biologico, che punta a riempire il vuoto legislativo e renderlo uno strumento guridico efficace.

Nella proposta il contenuto del testamento sarebbe vincolante per i medici e in esso sarebbe nominato un fiduciario incaricato di farlo rispettare; sarà possibile depositare in atto pubblico o scrittura privata i testamenti (scritti o filmati) e quelli già raccolti dai comuni acquisterebbero valore legale.

Un altro disegno di legge prevede la regolamentazione organica del consenso informato e dell’interruzione della terapia, codificandone le azioni e sollevando i medici da ogni responsabilità civile o penale, rendendo quella che oggi è solo una prassi una normale azione praticabile secondo la legge.

La proposta affronta un duro percorso in cui rischierà di veder svuotato il suo contenuto da emendamenti e modifiche, ma gode di un vasto consenso in Parlamento e nella società civile, il più alto mai raccolto.

 

 

 

Fonti e Approfondimenti:

http://www.consultadibioetica.org/fine_vita.html

http://presidenza.governo.it/bioetica/pareri.html

http://parlamento17.openpolis.it/argomento_leggi/EUTANASIA/filter_act_leggi_type/DDL/filter_act_ramo/0

http://www.unimi.it/cataloghi/comitato_etico/Convenzione_di_Oviedo.pdf

https://www.senato.it/1025?sezione=121&articolo_numero_articolo=32

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