Tassi di interesse negativi: cosa sono e perché vengono applicati?

Il 29 gennaio la Banca Centrale del Giappone ha annunciato l’applicazione di un tasso di interesse negativo sui depositi bancari. Seguendo tale scia, anche il governatore della Banca Centrale Europea (BCE), Mario Draghi, ha annunciato lo scorso 9 marzo l’applicazione e il rafforzamento dei tassi di interesse negativi che già da qualche anno la BCE sta sperimentando. Cerchiamo di capire in cosa consiste un tasso di interesse e perché due Banche centrali (BC) adottano tale politica.

Generalmente possiamo definire il tasso di interesse come il costo del denaro, ossia il costo che deve sostenere colui che richiede una somma di denaro in prestito per un determinato periodo di tempo. Parliamo di tasso di interesse anche quando depositiamo i nostri risparmi in una banca: in questo caso è la banca stessa che corrisponde una certa somma al depositante, come remunerazione per la perdita di liquidità che il depositante avrebbe potuto impiegare in altro modo.

Ai fini della nostra trattazione è importante sottolineare come, anche nel sistema bancario, i vari istituti detengono depositi presso la Banca centrale del paese di appartenenza o presso la Banca centrale dell’unione monetaria (ad esempio presso la BCE) ricevendo una remunerazione. Il tasso di interesse storicamente risulta una quantità positiva; pertanto l’adozione di tassi di interesse negativi sui depositi bancari risulta una misura del tutto eccezionale e non convenzionale. 

Perché è sorta la necessità di applicare un tasso di interesse negativo?

Dall’inizio della cosiddetta grande recessione (15 settembre 2008) si è verificato un significativo restringimento del credito concesso dalle banche a imprese e famiglie (il cosiddetto credit crunch). Questa nuova tendenza è risultata essere decisamente contraria rispetto alle politiche adottate negli anni precedenti la crisi, in cui le banche elargivano prestiti a buon mercato pur non ricevendo sempre adeguate garanzie dai clienti.

Il mutato comportamento delle banche ha portato queste ultime ad avere un eccesso di liquidità non indifferente all’interno delle proprie casse. Il denaro in eccesso durante questi anni è stato trasferito presso i depositi delle BC: in questo modo le banche potevano non assumere rischi (concedendo prestiti ad imprese e famiglie in un momento di incertezza economica) e, allo stesso tempo, potevano veder aumentare la propria ricchezza grazie ai tassi di interesse corrisposti loro dalle BC.

La mancata concessione di credito ai clienti (imprese e famiglie) ha contribuito all’aggravarsi della recessione e della stagnante situazione dell’economia dei paesi occidentali con particolare riguardo per l’economia europea. Per sopperire a questa mancanza di liquidità (necessaria per rilanciare l’economia), la BCE, ha adottato il c.d. quantitative easing (QE). (Quantitative easing: cos’è e qual è la sua finalità?).

Tra gli obiettivi del QE, oltre che arrestare la deflazione (riduzione generale del livello dei prezzi),vi era proprio quello di spingere le banche commerciali ad aumentare i prestiti per i propri clienti. Per raggiungere tale obiettivo, la BCE dal 2011 ha ridotto i tassi di interesse sui depositi bancari che le banche commerciali detenevano a Francoforte, fino ad arrivare al 9 marzo 2016, giorno in cui Draghi ha annunciato un ulteriore taglio ai tassi di interesse che attualmente si attesta al livello di -0,40%. Con questa mossa, le banche non avranno più convenienza a detenere depositi presso la BCE poiché, al momento del ritiro, si troveranno a possedere una cifra inferiore a quella depositata inizialmente (pensiamo ad un deposito di 1000; un tasso di interesse negativo annuale dello 0,40% porterà la banca ad avere 996 al momento del ritiro). Stesso discorso vale per la Banca centrale del Giappone: adottando tale strumento, le autorità monetarie sperano di rilanciare l’economia giapponese che risulta essere ancora troppo debole.

Vedremo nei prossimi mesi quali saranno i risultati di questa politica monetaria.

 

 

 

 

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