Sviluppo sostenibile e diritti: i sistemi alimentari

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Le politiche di sviluppo sostenibile non riguardano soltanto l’aspetto economico-ambientale, ma devono mirare ad assicurare equità, giustizia sociale e diritti. In tal senso, il cibo rappresenta uno dei temi più rilevanti in quanto si pone come punto d’incontro tra diverse istanze al centro dell’Agenda 2030: nutrizione, salute, sviluppo dell’individuo e delle comunità, rispetto dell’ecosistema, modalità di produzione e consumo. Questi elementi non solo sono strettamente connessi tra di loro, ma rappresentano la base dei sistemi alimentari. Sebbene ne esistano diversi tipi a seconda delle zone geografiche, la globalizzazione economica ha gradualmente posto le condizioni per legami sempre più stretti tra i differenti mercati e processi produttivi dell’industria del cibo. Basti pensare che sulle nostre tavole troviamo quotidianamente prodotti esotici o fuori stagione provenienti dalle aree più disparate, mentre al contempo esportiamo alimenti tipici rinomati in tutto il mondo.

Negli ultimi anni si è gradualmente sviluppato un maggiore interesse verso la qualità del cibo, i metodi di produzione e le risorse impiegate. Ciò ha generato una crescente attenzione dell’opinione pubblica nei confronti di questo tema, con un aumento della sensibilità riguardante i tipi di alimentazione, la provenienza degli alimenti e i diritti dei lavoratori agricoli. Tra le iniziative più recenti della società civile si trovano infatti nuove proposte e dibattiti. A giugno, su impulso della Coalizione Italiana contro la Povertà (GCAP) in collaborazione con altre realtà del mondo della cooperazione (come ENGIM Internazionale), è stato redatto e pubblicato un report dedicato al diritto al cibo nell’ambito delle attività di monitoraggio degli obiettivi dell’Agenda 2030, con il supporto dell’Unione Europea tramite il progetto “Make Europe Sustainable for All”. Di conseguenza, anche a livello decisionale sono in aumento le spinte in favore di un ripensamento dei sistemi alimentari. Sempre a giugno, si è svolto a Roma il simposio sul futuro dell’alimentazione patrocinato dalla FAO, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’alimentazione dell’agricoltura. All’interno dell’evento, a cui hanno partecipato accademici ed esponenti del settore privato, si è parlato principalmente di proposte per migliorare la qualità della nutrizione: incentivi economici per gli alimenti più sani, rafforzamento della produzione locale, investimento sull’agricoltura sostenibile. Se da un lato appare evidente la volontà di riformare i sistemi alimentari, dall’altro è necessario evidenziarne gli aspetti strutturali per capire come farlo.

 

Che cos’è un sistema alimentare?

Il concetto di sistema alimentare include tutti i processi e gli attori legati alla produzione e al consumo di cibo. In particolare, il World Food Programme lo definisce come l’insieme di “reti necessarie per produrre e trasformare il cibo e fare in modo che arrivi al consumatore”. Il livello di complessità indicato dall’idea di rete, e quindi di “sistema”, suggerisce la difficoltà nell’operare su singole unità senza considerare la struttura complessiva da esse composta. I meccanismi che si generano, infatti, non dipendono dalla somma delle parti, ma da come queste parti interagiscono tra loro. Le complicazioni aumentano quando gli effetti di tali meccanismi influiscono a livello sociale colpendo le fasce di popolazione più vulnerabili o contribuendo ad abitudini dannose sia a livello individuale sia collettivo. 

Dando uno sguardo all’industria alimentare a livello globale, risulta subito chiaro uno squilibrio di forze nel settore produttivo. Nonostante più dei due terzi delle aziende agricole mondiali siano più piccole di due ettari e occupino solo il 12% dei terreni agricoli, queste aziende supportano più di 2 miliardi di persone specialmente nel Sud del mondo. Al contrario, le grandi aziende multinazionali impiegano il 70% delle risorse agricole globali per soddisfare soltanto il 30% della domanda di cibo. La conseguenza immediata di questo divario si nota a livello commerciale: se da un lato le piccole imprese agricole sono sfavorite in ambito concorrenziale, alcuni Stati attuano misure compensative per supportare i propri export agricoli – a volte con il rischio di attuare politiche protezioniste lesive per il mercato globale. In casi del genere, esistono meccanismi arbitrali di ricorso previsti dalla World Trade Organization come gli ISDS (Investment to State Dispute Settlements), spesso vinti dalle grandi aziende. Si stima che su 195 cause concluse negli ultimi trent’anni gli Stati hanno dovuto risarcire le aziende di circa 84 miliardi di dollari, rafforzandone il loro peso sul mercato alimentare nonché la disparità con le imprese più piccole. Inoltre, i grandi produttori alimentari, per sostenere il volume delle loro attività, sono spesso responsabili di comportamenti dannosi per l’ambiente: deforestazione, perdita di biodiversità, utilizzo di pesticidi e sostanze tossiche, solo per citarne alcune. Ironicamente, il risultante degrado ambientale insieme al peggioramento dei fenomeni atmosferici finisce per penalizzare i raccolti dei piccoli produttori rurali. 

In aggiunta, l’industria alimentare che si genera da queste dinamiche tende a favorire i prodotti ultra-processati. Questi sono infatti più accessibili di quelli freschi, perché meno costosi in virtù delle economie di scala e dell’utilizzo di prodotti di bassa qualità. Le maggiori ripercussioni si hanno sull’alimentazione di chi è in condizione di vulnerabilità, in quanto finisce per essere dominata dai prodotti meno sani: il risultato è un collegamento sempre più allarmante tra povertà, deficit nutrizionali e diseducazione alimentare. Sempre a livello sociale, le asimmetrie di mercato favoriscono lo sfruttamento di lavoratori, perlopiù immigrati, nei processi di produzione dei cibi (specialmente in agricoltura). Tristemente noto in Italia è il fenomeno del caporalato: si stima che nel 2015 circa mezzo milione di lavoratori fossero impiegati irregolarmente nell’agricoltura, di cui centomila (in maggioranza cittadini stranieri) in condizione di sfruttamento e vulnerabilità. 

 

Una nuova governance 

Per far fronte alle problematiche appena evidenziate, sono state molteplici le proposte presentate a livello politico e istituzionale. Tra quelle più radicali si evidenzia il progetto di una transizione agro-ecologica per spostare il baricentro del commercio alimentare dalle multinazionali alle comunità locali. Al contrario, tra le soluzioni opposte figura l’utilizzo di meccanismi come le clausole dei trattati commerciali o il fare leva sulla responsabilità sociale d’impresa per minimizzare l’influenza politica sui mercati. 

Mentre le singole strategie dipendono dai diversi contesti in cui si possono applicare, a livello sistemico è necessario rafforzare una governance globale che funga da “contenitore” per le differenti politiche attuate a livello locale e internazionale. Si tratta di assicurare politiche coerenti di sostenibilità dei sistemi alimentari attraverso tre punti fondamentali: la ridefinizione di spazi e istituzioni democratiche per il dibattito, l’ampliamento della partecipazione della società civile e di tutti gli attori sociali, la coordinazione tra settori diversi (ad esempio sanità e ambiente) per monitorare con trasparenza i processi decisionali che influiscono su più ambiti

 

 

Fonti e approfondimenti

GCAP Italia. 2019. Diritto al Cibo: Lo sviluppo sostenibile a partire dai sistemi alimentari.

World Food Programme, Sistemi Alimentari

FAO, I sistemi alimentari del futuro devono fornire alimenti nutrienti e sostenibili per tutti

Lowder, Skoet & Raney. 2016. “The Number, Size, and Distribution of Farms, Smallholder Farms, and Family Farms Worldwide”. World Development. Volume 87.

Diritti per le Persone, Regole per le Multinazionali

Ceccarelli & Stocchiero. 2019. “Sistemi alimentari e migrazioni: per uno sviluppo rurale equo e sostenibile dall’Africa all’Europa”. Diritto al Cibo: Lo sviluppo sostenibile a partire dai sistemi alimentari. GCAP Italia

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