Attività ludica e dipendenza patologica. Il gioco d’azzardo è stato storicamente definito in relazione a queste due dimensioni nel tentativo di delineare, da un lato, le radici culturali del fenomeno sociale e dall’altro, il suo potente e drammatico impatto sulle esistenze dei singoli giocatori.
Se forme più o meno articolate di scommessa sul futuro accompagnano l’esistenza degli uomini fin dall’antichità, la ricerca sociale ha finito per concentrarsi quasi esclusivamente sulle attività ludiche con finalità di lucro, prendendo in esame la forma commercializzata del gioco d’azzardo.
Guardando ai suoi effetti, a fronte di un’espansione globale dell’industria e una crescente diffusione del fenomeno, non sorprende che negli ultimi anni sia notevolmente aumentata l’attenzione per questo aspetto. In particolare, dopo che nel 2013 il disturbo da gioco d’azzardo è stato inserito nel capitolo dedicato ai “Disturbi correlati a sostanze e Disturbi da Addiction” nell’ultima versione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali.
Tra i Paesi più indagati vi è l’Australia, dove anche di recente è stata rilevata una accentuata tendenza alla ludopatia, che genera forti preoccupazioni nella società civile e nella classe politica. Tuttavia, per comprendere l’attuale fascinazione per il gioco della popolazione australiana bisogna partire dal passato: l’isola-continente, infatti, è patria di una lunga tradizione, le cui origini risalgono alla colonizzazione britannica.
Le origini del gioco d’azzardo in Australia
La storia del gioco d’azzardo in Australia comincia con i primi insediamenti dei coloni britannici, sul finire del Settecento, e prosegue fino ai giorni nostri. Come annotato dalla docente di psicologia della James Cook University Nerina Caltabiano, l’importanza del gioco d’azzardo nello stile di vita australiano può essere riscontrata in molti affreschi letterari risalenti a diversi periodi storici. Più che un fenomeno culturale pervasivo, si può considerare come uno dei tratti peculiari e costanti dell’identità australiana.
Nella prima fase della colonizzazione, gli insediamenti costituivano sostanzialmente un frammento della società britannica: non vi era pertanto soluzione di continuità tra le idee, le consuetudini e i costumi che animavano le comunità riunite nell’Impero. Per quanto riguarda il gioco d’azzardo, questo rappresentava un fenomeno diffuso su più livelli della scala sociale ma che assumeva un significato molto differente a seconda della classe considerata.
Per le classi popolari, la cornice entro cui si inserivano le scommesse era di natura materiale. Le persone in condizione di fragilità speravano di vincere perché con un colpo fortunato avrebbero potuto raggiungere obiettivi altrimenti al di là dei propri mezzi nella vita di tutti i giorni. Viceversa, per i ceti alti, la partecipazione a tali attività ludiche aveva ragioni di status. Pertanto, il gioco non era tanto un mezzo per ottenere dei beni materiali, quanto un palcoscenico sul quale sfoggiare il proprio prestigio.
Sebbene la sua funzione venisse interpretata attraverso lenti diverse a seconda della posizione sociale, il gioco d’azzardo godeva in ogni caso di una grande popolarità.
La comunanza tra colonia e madrepatria si affievolì a causa delle trasformazioni socioeconomiche vissute da quest’ultima a cavallo tra il XVIII e il XIX secolo. La società britannica stava entrando allora in una nuova fase di sviluppo: l’industrializzazione si accingeva a superare e sostituire l’assetto preesistente, mentre i concetti di progresso e moralità si intrecciavano in una miscela ideologica che avrebbe caratterizzato tutta la successiva era vittoriana.
I ceti medi identificarono nel gioco d’azzardo un nemico da combattere, perché secondo la loro visione le attività ludiche erano inconciliabili con i valori dell’efficienza, della produttività e dell’etica individuale. Vi fu così una stretta in molti ambiti, diminuendo il numero degli eventi su cui si poteva scommettere oppure limitando la partecipazione popolare.
Diverso è il caso dell’Australia. Secondo John O’Hara, uno degli autori più citati sul tema del gioco d’azzardo, i nuovi cambiamenti culturali arrivarono anche nel Nuovo Galles del Sud ma in questo contesto trovarono un terreno molto meno fertile su cui attecchire. La diversa composizione sociale degli insediamenti, oltre alla loro natura molto distante dal contesto urbano inglese, indebolì la portata ideologica dei riformatori.
Le autorità coloniali non erano tanto intenzionate a perseguire questa attività in sé, quanto a disincentivare i problemi di ordine pubblico a essa legati. Proprio per conciliare le esigenze percepite dai diversi strati sociali e quelle relative alla sicurezza, l’idea che si fece strada tra le élite fu quella di controllare dall’alto gli eventi sociali, ampliandone il significato per renderli una celebrazione della comunità australiana nel suo insieme.
Le attività promosse dalle classi dominanti, come per esempio le corse di cavalli, furono gradualmente istituzionalizzate in tutto il Paese e diventarono una tradizione.
Gli oppositori del gioco d’azzardo sarebbero poi aumentati nel corso del tempo, ma avrebbero trovato delle radici impossibili da estirpare.
L’istituzionalizzazione del gioco d’azzardo in Australia
Nonostante le differenze, il dibattito pubblico sul gioco d’azzardo in Australia ha risentito di una certa influenza proveniente dalla Corona. Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, infatti, le modalità di controllo sul gioco d’azzardo rispondevano a tre principi ereditati dal pensiero britannico.
Innanzitutto, la legislazione doveva limitarsi a prendere atto del fenomeno esistente, senza creare le condizioni perché venisse stimolata la domanda. In secondo luogo, vi era una differenza tra le forme pubbliche e private di gioco d’azzardo. Se da un lato le attività ludiche tradizionalmente organizzate dalle classi più basse erano da condannare in quanto disdicevoli, quelle ricomprese nell’ambito di contesti di gioco privati, sotto il controllo delle classi più alte, erano giudicate rispettabili e, di conseguenza, tollerate.
Infine, l’ultimo punto aveva a che vedere con il contrasto ai fenomeni criminosi connessi al gioco: il potere pubblico doveva farsi carico della regolazione per evitare che soggetti privati potessero orientare il mondo delle puntate a proprio esclusivo vantaggio.
Una delle peculiarità del sistema di regolazione australiano sta nel soggetto a cui spetta questa prerogativa. Nell’isola-continente, infatti, fin dalle origini sono stati i singoli Stati e non il governo federale ad assumersi l’onere del controllo del gioco d’azzardo.
Questo ha portato nel tempo alla creazione di un apparato normativo molto diversificato. Tuttavia, si possono ancora individuare dei punti in comune: il consolidamento dei totalizzatori come dispositivi per la redistribuzione delle quote investite e l’emergere di forme di gioco d’azzardo implementate dallo Stato.
Durante lo scorso secolo, di fatto, la tematica dell’ordine pubblico ha perso la propria rilevanza a scapito di una riflessione di natura economica sullo sfruttamento di questo fenomeno culturale a vantaggio delle finanze statali. In particolare, in alcuni Stati la creazione delle lotterie fu la risposta a periodi di recessione economica e all’esigenza di fornire nuovi strumenti di welfare per la popolazione.
Nell’evoluzione del gioco d’azzardo in Australia, uno dei passaggi decisivi è quello relativo all’ondata di liberalizzazione iniziata negli anni Settanta. La commercializzazione e il conseguente sviluppo di un’industria complessa nella seconda parte del Novecento sono andate di pari passo con una tendenza generale di crescita economica e di aumento del benessere materiale della popolazione.
Rimasta a lungo un’attività praticata dalla componente maschile della società, il gioco d’azzardo ha visto anche l’ingresso delle donne nella sua sfera di consumo. L’urbanizzazione ha incoraggiato la strutturazione di luoghi dedicati al gioco nelle città, come i casinò – il primo è stato aperto nel 1973 -, e l’installazione delle macchine elettroniche nei club e negli hotel. Negli anni Novanta, le T.A.B, enti di proprietà statale cui è spettata per decenni la gestione delle agenzie di scommesse, sono state privatizzate.
Il mercato si è così allargato, comprendendo al suo interno una fascia sempre più ampia della popolazione. Un esito a cui ha contribuito la diffusione delle tecnologie della comunicazione, che hanno favorito l’accessibilità del gioco ed esteso il suo raggio d’azione, soprattutto tra le generazioni più giovani.
Il gioco d’azzardo in Australia, oggi
Oggi l’Australia ha uno dei tassi di partecipazione al gioco più alti al mondo: il 64% della popolazione adulta prende parte in una qualche forma di gioco d’azzardo all’anno. Tra le diverse tipologie di gioco d’azzardo, l’indagine più recente dell’Australian Gambling Research Center ha messo in evidenza come le più popolari siano le scommesse sulle corse di cavalli, il lotto, le scommesse sportive e il video-poker.
La voglia di cimentarsi con le proprie capacità divinatorie non è affatto tramontata sull’isola-continente. Ciò che tramonta di fronte agli schermi lucenti delle macchine è invece la salute della popolazione, che subisce ogni anno gravi ripercussioni dovute a questa attività. Tra le fasce più a rischio, più di una rilevazione ha identificato quella con bassi livelli di istruzione, che si colloca in prima fila tra i grandi sconfitti dal “banco”.
Stando al portale Statista, la perdita netta pro capite legata al gioco d’azzardo nel 2017 è stata pari a 958 dollari statunitensi, la più alta al mondo. Ma sarebbe sbagliato pensare che si tratti solo di una mera questione economica: 4 milioni di cittadini australiani subiscono anche una diminuzione del livello di salute fisica e mentale, oltre che numerosi impatti sociali negativi. Abbassamento delle ore di sonno, incremento nel consumo di bevande alcoliche e perdita di stabilità dei legami relazionali sono solo alcuni degli effetti correlati al gioco d’azzardo.
Contrastare la commercializzazione del gioco d’azzardo e il suo impatto negativo non è facile. Le istituzioni dovrebbero impegnarsi nel salvaguardare l’interesse pubblico e il benessere materiale e immateriale della cittadinanza, ma la tassazione sul gioco costituisce un’importante fonte di introiti per le finanze di Stati e Territori australiani, motivo per cui un’azione “dall’alto” resta una speranza difficilmente realizzabile.
Eppure, come segnalato dalla ricercatrice Angela Rintoul della Federation University Australia, nel resto del globo hanno già preso piede alcune iniziative importanti, dalla limitazione della quota massima investibile nelle singole scommesse al re-indirizzamento di maggiori risorse verso i servizi di supporto alle comunità.
Le possibilità per diminuire la dipendenza dal gioco non mancano. Un primo passo potrebbe consistere nel riconoscimento sistematico del problema. Un passo impegnativo, a causa dello storico rapporto della popolazione australiana con questa forma di divertimento, ma forse mai così necessario.
Fonti e approfondimenti
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Editing a cura di Emanuele Monterotti
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