di Federica Nicolini
La caduta di Khrushchev portò a un cambiamento radicale nella politica estera e di cooperazione internazionale dell’Unione Sovietica. Il suo successore, Leonid Brezhnev, divenuto presidente nel 1964, limitò notevolmente le forme di assistenza a Paesi stranieri, pur riconoscendone l’utilità. La nuova strategia si allontanava dalle precedenti politiche, in cui il supporto era ampio e rivolto a un gran numero di beneficiari. Brezhnev, infatti, interpretò la cooperazione internazionale come un mezzo di promozione degli interessi di Mosca, subordinando l’assistenza alla fedeltà dei beneficiari, ai valori del blocco socialista o a un possibile contributo diretto alla bilancia commerciale sovietica.
La “dottrina Brezhnev”
La “dottrina Brezhnev” definì un nuovo indirizzo della politica estera sovietica, mettendo al primo posto gli interessi del blocco sovietico a discapito degli interessi nazionali dei singoli Stati, seppur nel rispetto – almeno teorico – della sovranità nazionale e del principio di non-interferenza negli affari interni.
I programmi di cooperazione internazionale subirono un grande cambiamento. Considerati un investimento costoso e rischioso, gli aiuti non vennero più forniti incondizionatamente ma furono limitati a pochi Paesi, selezionati con specifici criteri: ricevevano aiuti gli Stati che abbracciavano valori socialisti, oltre a quelli con cui si potevano intrattenere relazioni economiche proficue.
L’80% degli aiuti venne così destinato ai membri meno sviluppati del COMECON, l’organizzazione economica e commerciale del blocco socialista: Vietnam, Mongolia, Cuba, Afghanistan e Cambogia. Inoltre, allo scopo di contrastare gli aiuti occidentali e incrementare l’influenza sovietica, venne offerta assistenza a Grecia, Turchia, Iran e Pakistan.
Forme di cooperazione internazionale
Gli aiuti forniti dall’URSS nel corso della presidenza Brezhnev furono principalmente di natura militare, che permetteva di esercitare una forma di influenza sui Paesi beneficiari. Questa forma di assistenza, inoltre, era preferita in particolare dai regimi dei Paesi meno sviluppati, attratti dai progressi militari compiuti dall’URSS. Ciò ne aumentò la rilevanza a discapito dell’assistenza economica, anche a causa dell’inadeguatezza dell’economia sovietica, incapace di competere con la forza economica occidentale.
I Paesi del Medio Oriente furono tra i principali destinatari dell’assistenza militare. Tra il 1965 e 1974, ricevettero 16 miliardi di dollari, 28 miliardi di dollari solo tra il 1975 e 1979. Una crescita notevole si registrò anche in Africa: da 3 miliardi nel periodo compreso tra 1965-1974 a 12 miliardi nei successivi cinque anni, valori leggermente inferiori a quanto fornito ai Paesi asiatici.
Gli aiuti economici furono quindi drasticamente ridotti e utilizzati quasi esclusivamente per promuovere programmi economici a lungo termine. Gli aiuti militari, invece, crebbero notevolmente: tra il 1954 e il 1981 l’URSS stanziò 49,4 miliardi di dollari in assistenza militare, a fronte di 9,8 miliardi di aiuti economici.
L’URSS riuscì così a rafforzare i rapporti, sia politici che militari, con Paesi non allineati, attirandoli nella propria orbita. Tra questi vi erano Angola e Etiopia – considerati politicamente affidabili e supportati con interventi militari rispettivamente nel 1975 e 1977 – nonché Mozambico e Yemen del Sud, che optarono per un percorso socialista.
L’URSS consolidò anche la sua posizione nel Corno d’Africa, in Algeria e in Libia, che divenne il maggiore beneficiario dell’assistenza sovietica. Migliorarono anche le relazioni con Iraq, Siria e India. Inoltre, l’Unione Sovietica riuscì a incrementare la sua presenza anche in America latina. In questo modo, Brezhnev tentò di capitalizzare tutte le opportunità di espansione nei Paesi non allineati, ambendo ad allontanarli dalla sfera di influenza dagli Stati Uniti.
Aiuti economici per incrementare il commercio
I programmi di cooperazione internazionale non erano considerati solo uno strumento per espandere l’influenza sovietica. Secondo Brezhnev, questi dovevano portare anche un beneficio diretto alla bilancia commerciale per contribuire a un miglioramento dell’economia sovietica, in drastico calo. L’idea di Brezhnev era di assicurarsi l’accesso a materie prime in cambio dell’assistenza economica fornita, e di rafforzare le relazioni con i Paesi beneficiari per incrementare il commercio estero.
L’assistenza economica veniva quindi concessa a Paesi o aree in grado di colmare le lacune della produzione interna sovietica, sostenendo le industrie o sopperendo alla carenza di materiali. Tale strategia si rivelò particolarmente efficace e i maggiori beneficiari dell’assistenza economica dell’URSS divennero presto i suoi principali partner tra i Paesi meno sviluppati. Tra il 1974 e il 1977, Egitto, India, Iran e Iraq rappresentavano quasi la metà del commercio non militare sovietico.
Gli aiuti economici erano concessi sotto forma di crediti, ingenti e altamente visibili, indirizzati principalmente all’industria pesante e al settore pubblico. L’assistenza fornita, inoltre, era subordinata all’acquisto di attrezzature sovietiche.
Molto ridotti, invece, furono i progetti a impatto, ovvero la realizzazione di grandi infrastrutture (ad esempio stadi, ospedali, alberghi) che vennero fortemente pubblicizzate ma che non portarono benefici diretti all’economia sovietica.
Le critiche occidentali
I termini imposti per la restituzione dell’assistenza sovietica furono fortemente criticati dal blocco occidentale. In linea con quanto già richiesto durante la presidenza di Khrushchev, gli aiuti erano forniti sotto forma di prestiti della durata di 12 anni, con un tasso del 2,5-3% di interesse. Il rimborso era richiesto in valuta locale o, preferibilmente, attraverso la fornitura di materie prime. L’Occidente interpretò tali forme di assistenza come un modo per vincolare i beneficiari all’URSS. Questi, infatti, sarebbero stati costretti a vendere risorse naturali all’URSS a un prezzo inferiore rispetto a quello di mercato, peggiorando in questo modo la loro situazione economica.
Anche gli aiuti militari, ben presto, destarono preoccupazione tanto tra i beneficiari quanto nel blocco occidentale: il debito, infatti, poteva essere – e spesso veniva – ripagato acquistando beni sovietici.. L’assistenza fornita, pertanto, non sembrava portare a un effettivo sviluppo.
Una simile situazione si riscontrò in Afghanistan, dove Mosca preferiva promuovere grandi progetti infrastrutturali anziché mirare allo sviluppo del settore agricolo o industriale. Quando nel 1978 il Partito Marxista guidato da Daoud Khan salì al potere, in segno di amicizia e sostegno il Cremlino aumentò sostanzialmente la fornitura di aiuti militari e assistenza tecnica. Tuttavia, gli esperti inviati conoscevano poco il contesto sociale, politico ed economico del Paese, e fornirono un supporto non sempre efficace, a volte addirittura controproducente per il Paese beneficiario.
Quindici anni di assistenza sovietica: un bilancio della strategia di Brezhnev
La fornitura di assistenza durante la presidenza Brezhnev fu caratterizzata da un maggiore pragmatismo rispetto alla strategia adottata dal suo predecessore. Alla base dei programmi di cooperazione vi era la volontà di espandere l’influenza sovietica e, al contempo, migliorare la bilancia commerciale. Gli aiuti furono così limitati soltanto a Stati disposti ad abbracciare valori socialisti o con cui era possibile avviare un rapporto commerciale proficuo.
Tale strategia ebbe un duplice risultato. Da un lato, vi erano Paesi che ambivano a una maggiore indipendenza economica e politica e cercarono di allentare la presa di Mosca e di ridurre la fornitura di aiuti. Dall’altro, alcuni beneficiari – ad esempio Angola ed Etiopia – diventarono sempre più dipendenti dall’assistenza sovietica.
La situazione peggiorò ulteriormente a seguito dell’invasione dell’Afghanistan del 1979. I rapporti con gli Stati non allineati – con cui erano in atto relazioni commerciali proficue – si inasprì. Il Cremlino iniziò così a perdere la sua influenza nel Medio Oriente e in Africa e a essere sempre più coinvolto in irrisolvibili conflitti regionali, esacerbati dal crescente sostegno statunitense agli oppositori dei regimi sostenuti dai sovietici.
In conclusione, la politica di Brezhnev si rivelò sostanzialmente inefficace. Inizialmente la strategia apparve redditizia, incrementando la bilancia commerciale da 241,5 milioni di dollari nel 1955 a 18.779,9 milioni di dollari nel 1980. Ciononostante, l’URSS non fu in grado di eguagliare l’offerta tecnica ed economica del blocco occidentale. A livello economico, infatti, Mosca non si dimostrò capace di rispondere al sostegno richiesto dai Paesi socialisti, principalmente Cuba, Mongolia, Vietnam, Laos e Corea del Nord, allora tra gli Stati più poveri e meno sviluppati del mondo e che divennero sempre più dipendenti dall’assistenza fornita dall’URSS.
Fonti e approfondimenti
Cooper, Orah & Fogarty Carol. 1985. “Soviet Economic and Military Aid to Less Developed Countries, 1954-78”. Soviet and Eastern European Foreign Trade. 21 (1/2/3): 54-73.
Guan-Fu, Gu (1983). “Soviet Aid to the Third World, an Analysis of its Strategy”. Soviet Studies. Vol. 35, No. 1, pp. 71-89.
Robinson Paul, Dixon Jay (2010). “Soviet development Theory and economic and Technical assistance to Afghanistan, 1954-1991”. The Historian, pp. 599-623.
Legvold Robert (1979). “The Super Rivals: Conflict in the Third World”. Foreign Affairs. No. 4, p. 759.
Editing a cura di Emanuele Monterotti
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