Arabia Saudita: pressioni e minacce sul debito USA

Lo scorso 16 maggio il dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti d’America ha reso noti i dati che riguardano i principali detentori dei Treasury (titoli di Stato) statunitensi.

Definiamo brevemente cosa intendiamo per titoli di Stato:

I titoli di Stato sono obbligazioni emesse dallo Stato come forma di finanziamento utilizzabile per coprire il proprio debito pubblico, per finanziare il bilancio della pubblica amministrazione e le attività istituzionali.

Acquistando titoli di Stato gli investitori non fanno altro che prestare il loro capitale per un certo periodo (la durata dipende dalla tipologia di obbligazione) ottenendo in cambio un rendimento proporzionato al rischio sostenuto.

Rispetto alle azioni, vengono considerati forme di investimento dal basso coefficiente di rischio poiché la controparte è costituita da Stati sovrani che di norma presentano un’alta affidabilità; ciò porta conseguentemente ad un guadagno più basso per l’investitore. L’unica possibilità per il creditore di non avere un ritorno economico si presenta nel caso in cui uno Stato sia insolvente, ovvero dichiari il suo fallimento (il caso dell’Argentina nel 2001).
Da questo si può comprendere che tanto più è alto il rischio di insolvenza (prendiamo l’economia di un paese in via di sviluppo), tanto meno l’investitore sarà incentivato ad investire il proprio capitale (poiché concreto il pericolo di un tracollo economico).

Come confermato dalle società di rating l’economia statunitense è tra le più affidabili al mondo. Pertanto l’unico motivo apparente per cui un investitore dovrebbe ritirare prematuramente il capitale investito in obbligazioni è che egli stesso si trovi in una situazione di mancanza di liquidità (come fatto dall’Arabia Saudita).

L’agenzia finanziaria Bloomberg, facendo appello al “Freedom of information act” (legge USA sulla libertà di informazione), ha costretto il dipartimento del Tesoro a diffondere la lista dei paesi che detengono il debito statunitense. Dall’analisi dei dati emerge che la Cina e il Giappone sono i due Paesi che detengono le somme più consistenti di Treasury (rispettivamente 1.250 e 1.130 miliardi di dollari), mentre l’Arabia Saudita si piazza al dodicesimo posto con 116,8 miliardi di dollari.

Ciò che colpisce non è tanto l’entità della somma detenuta dall’Arabia Saudita quanto che dal 1974, anno in cui il dipartimento del Tesoro iniziò a diffondere i dati relativi ai Treasury, non erano mai stati forniti numeri certi sulla fetta di debito nelle mani dei sauditi. Prima di questo momento l’Arabia Saudita era relegata nella categoria degli “esportatori di greggio” assieme a molti altri Stati tra cui Iran, Iraq, Emirati Arabi Uniti, Algeria e Qatar. Questa classificazione, pertanto, non ha permesso di quantificare le somme di Treasury detenute da ognuno di questi Paesi, fino ad oggi.

E’ curioso che, nonostante la stabilità dell’economia statunitense, l’Arabia Saudita abbia registrato un calo degli investimenti in titoli di Stato USA pari al 6% rispetto al record di 123,6 miliardi di dollari di gennaio.

La decisione saudita di ritirare parte del capitale investito è riconducibile a due diverse motivazioni:

L’Arabia è il maggior esportatore al mondo di petrolio ed il vertiginoso calo del prezzo del greggio ha provocato dei buchi al bilancio pubblico da dover risanare. Questa necessità di liquidità avrebbe costretto il Paese a ritirare parte delle somme investite.
• Il Congresso americano ha recentemente proposto una legge che permetterebbe ai familiari delle vittime dell’11 settembre 2001 di richiedere un risarcimento all’Arabia Saudita, a cui gli Stati Uniti attribuiscono responsabilità per l’attentato alle Twin Towers. Il Senato ha promosso all’unanimità questo progetto di legge e, qualora dovesse passare in via definitiva, si andrebbe incontro ad una grave crisi diplomatica. Questa seconda motivazione porta a credere che l’Arabia Saudita voglia vendere tutti i suoi Treasury, ostentando così la propria influenza sull’economia statunitense con l’intento di bloccare la legge.

Il Congresso statunitense si trova dunque nella scomoda situazione di dover decidere se dare assistenza alle famiglie colpite dalla tragedia dell’11 settembre o causare una crisi diplomatica con l’Arabia Saudita (come abbiamo visto con potenziali risvolti economici).

Le informazioni fornite dal Tesoro, inoltre, non sembrano dare piena certezza riguardo l’influenza dell’Arabia Saudita sul debito pubblico degli Stati Uniti. Molte nazioni, infatti, sono solite accumulare Treasury in centri offshore (più comunemente chiamati “paradisi fiscali”), ovvero centri finanziari che hanno livelli di imposte molto bassi e regimi fiscali che agevolano gli investimenti: emblematico è il caso delle Isole Cayman che, nonostante i soli 60.000 abitanti, sono il terzo Paese sottoscrittore di Treasury con 265 miliardi di dollari.

La possibilità che l’Arabia Saudita abbia in mano un capitale superiore a quello reso noto nei documenti desta ancor più timore per la stabilità dell’economia statunitense.

Come in una partita di scacchi si attende che uno dei due protagonisti compia la prima mossa, la posta in gioco è molto alta come alti sono i rischi che il conflitto diplomatico sfoci nella cessazione dei rapporti tra i due Paesi.

 

APPROFONDIMENTI:

http://www.internazionale.it/notizie/2016/05/19/stati-uniti-arabia-saudita-voto-11-settembre

http://www.corriere.it/notizie-ultima-ora/Economia/Usa-Tesoro-Arabia-Saudita-tra-principali-detentori-Treasury/16-05-2016/1-A_026775037.shtml

 

 

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