Il prossimo 4 dicembre saremo chiamati a scegliere tra l’approvazione o la bocciatura della riforma costituzionale. Tra i vari contenuti del testo unico che dovremo valutare si trova anche “la revisione del Titolo V della parte seconda della costituzione”. Che cos’è il Titolo V? Quali modifiche vengono apportate alla Costituzione?
Concretamente parliamo di 19 articoli della Costituzione che stabiliscono forme, poteri e principi riguardanti Comuni, Provincie, Città Metropolitane e Regioni. Tra i propositi della riforma c’è l’eliminazione delle province dal testo costituzionale, tanto che il primo articolo del nuovo Titolo V, il 114, stabilisce: “La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Città Metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato”. Solo questi enti, in base al comma secondo dell’art. 114, si mantengono autonomi, con propri statuti, poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione.
Bisogna sottolineare il fatto che sia nella costituzione vigente che nel disegno di riforma, questi enti sono liberi di esercitare la loro autonomia statutaria, normativa, finanziaria e amministrativa, sono liberi di esprimere una linea politica diversa da quella dello stato centrale, ma non possono scavalcare i limiti imposti dal dettato costituzionale. La riforma ha l’obiettivo di modificare proprio alcuni di questi principi, limiti e attribuzioni costituzionali.
L’articolo 117 conferisce allo Stato e alle Regioni la potestà legislativa, ovvero il potere di emanare leggi, il rapporto tra Regioni e Stato a livello legislativo ha vissuto diverse metamorfosi dalla nascita delle regioni fino ad oggi.
Il periodo precedente alla riforma del 2001 vedeva configurato il rapporto tra regioni e stato con un elenco di materie concorrenti, elencate dall’articolo 117, in cui lo stato dettava la disciplina generale e alle regioni spettava la disciplina di dettaglio.Nel 2001 la legge regionale e quella statale sono state equiparate, l’articolo 117 a seguito dell’intervento riformatore stabiliva “lo Stato e le Regioni esercitano tutti la rispettiva potestà legislativa nel rispetto della Costituzione e dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Viene inoltre ribaltato il rapporto tra potestà legislativa statale e regionale, il primo ha una serie di materie esclusive in cui legiferare, le seconde hanno, oltre a una serie di materie concorrenti da condividere con lo stato (come nell’esperienza precedente al 2001), la possibilità di legiferare in via esclusiva su tutto ciò che non è espressamente stabilito dall’articolo 117.
Sin dalla sua entrata in vigore, la nuova configurazione del rapporto Stato-Regioni ha attirato molte critiche su di sé da parte dei costituzionalisti. La riforma è sempre stata giudicata eccessivamente sbilanciata negli equilibri tra lo Stato e le Regioni a favore di queste ultime, per l’estrema rigidità e precisione nel definire il riparto della potestà legislativa, e per la mancanza di clausole di salvaguardia a favore dello Stato.
La Corte Costituzionale è stata investita del ruolo di interprete della riforma e di tutore nel dirimere i frequenti conflitti tra Stato e Regioni. Nella maggior parte dei casi, il giudizio della corte è stato favorevole allo stato, basandosi sul giudizio che gli ambiti riguardanti la sua autonomia legislativa non possono essere intesi in modo rigido, che vadano identificati con valori e interessi costituzionalmente garantiti. Di conseguenza, vi sarebbero materie trasversali e materie valore, in cui lo Stato deve potere dettare una disciplina unitaria, nonché, in ogni caso, la garanzia della “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.
La riforma del Titolo V inserita tra i vari interventi riformatori del DDL Boschi si propone proprio di risolvere la situazione venutasi a creare dopo la riforma del 2001. Vediamo quali cambiamenti vengono apportati ai vari articoli.
Il nuovo articolo 117 elenca le materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato, cancellando le materie concorrenti e attribuisce alle Regioni funzioni esclusive, oltre a mantenere la potestà di queste su quanto non esplicitamente stabilito. Tra le competenze statali figurano ovviamente materie come la politica estera, immigrazione, difesa e le varie materie che ovviamente lo stato e nessun’altro può gestire. Tornano alla competenza statale materie come la tutela della salute, la tutela alimentare e la tutela del lavoro, il commercio con l’estero. Anche il campo dell’energia è di competenza statale con l’attribuzione del trasporto, della produzione e della distribuzione dell’energia. Le grandi opere d’interesse nazionale e strategico come porti, aeroporti e reti di trasporto.
Alle regioni rimangono assegnate le materie di sviluppo locale, come pianificazione del territorio e mobilità al suo interno, promozione dello sviluppo locale. Si inseriscono all’interno delle competenze regionali materie come l’istruzione, la formazione professionale e la promozione del diritto allo studio, anche quello universitario. E’ opportuno ricordare che ogni altra materia non specificata ricade sotto la competenza regionale.
Inoltre su proposta del Governo la legge dello stato può intervenire in materie non riservate alla propria legislazione esclusiva(c.d. clausola di supremazia), qualora lo richieda la tutela dell’unità economica o giuridica della Repubblica o la tutela dell’interesse nazionale.
Il funzionamento del parlamento previsto dalla riforma fa sì che diversi tipi di leggi vengano utilizzate a seconda della materia in cui si legifera. Questi diversi procedimenti legislativi possono essere bicamerali o monocamerali, potendo, a seconda dei casi, coinvolgere l’una o l’altra camera oppure entrambe.
La legge dello Stato volta a intervenire su materie di competenza regionale rientra sicuramente nella categoria delle leggi bicamerali. Il Senato della Repubblica, quale sede di rappresentanza delle istituzioni territoriali e, dunque, anche delle loro prerogative costituzionali, sarà chiamato a partecipare al processo legislativo,potendo apportare delle modifiche, le quali saranno inefficaci solo se respinte a maggioranza assoluta dalla camera dei deputati.
Il nuovo senato potrà avere un ruolo decisivo, specie in considerazione del fatto che, non essendo legato al Governo da un rapporto di fiducia, quest’ultimo non potrà porre sulla legge la questione di fiducia. Per giungere al termine dell’iter legislativo, dovrà imporsi tra le due Camere un ‘clima’ collaborativo e aversi una effettiva co-decisione rispetto ai contenuti.
Per concludere, possiamo affermare che se il 4 dicembre il referendum dovesse passare, il governo ed i prossimi governi si troverebbero a operare scelte in materie precedentemente affidate alle regioni. Durante i 15 anni successivi alla riforma del 2001 le regioni sono spesso state accusate di rallentare procedimenti amministrativi, di pesare enormemente sulle casse dello stato, finendo molto spesso per dare un’immagine sbagliata a causa degli scandali dei gruppi regionali, immagine che non dovrebbe assolutamente sminuire il ruolo fondamentale che rappresentano.
Lo Stato dovrà garantire l’efficienza dei servizi e l’equa applicazione di politiche che possano coprire e beneficiare tutti i cittadini, solo così facendo la riforma del titolo V avrà un senso.
Fonti e approfondimenti:
http://federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=31965
http://federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?Artid=31959