La controversia tra Australia e Giappone sulla caccia alle balene

Anti-whaling
@JohnEnglart - Flickr - CC BY-SA 2.0

La mattanza delle balene ad opera del Giappone ha provocato, negli ultimi sei mesi, la morte violenta di 333 esemplari (balenottere rostrate) nelle acque dell’Oceano Antartico e ciò sarebbe già sufficiente a far rabbrividire, ma a questo si aggiunge il fatto che 122 di queste fossero femmine e incinte di 114 cuccioli.

Ciò che sta accadendo non costituisce però un episodio isolato di caccia alla balena, seppur regolamentata dalla Convenzione sulla caccia alle balene, bensì di uno step fondamentale che si inserisce nel sedicente programma di ricerca scientifica “Newrep-A” , il quale sostituisce il precedente programma “Jarpa II”, dichiarato illegittimo dalla Corte internazionale di Giustizia nel 2014, in quanto ritenuto un vettore per camuffare scopi tutt’altro che scientifici.

Nonostante questa pronuncia della Corte, il Giappone ha disatteso quanto richiesto dalla stessa e ha iniziato un nuovo programma scientifico. Questo, stando a quanto riportato dal rapporto scritto al termine dell’estate antartica, in cui si effettuano le ricerche, ha come scopo principale quello di indagare la fauna marittima, i comportamenti delle balenottere e il loro habitat. Tutto ciò è però compiuto con estrema crudeltà a causa degli strumenti utilizzati per procacciarsi i campioni, in quanto le balene sono colpite da arpioni con granate. Proprio per questo continuano a sussistere numerosi dubbi sulla legittimità del programma.

Convenzione e Commissione Internazionale sulla Caccia alle Balene

La caccia alle balene affonda le sue radici in tempi ormai remoti ed è tutt’oggi oggetto di numerose controversie etiche ed economiche.

Si è pertanto presentata l’esigenza di regolamentare la caccia e le sue conseguenze immediate e lo si è fatto con la stipulazione della Convenzione Internazionale sulla Caccia alle Balene , conclusa a Washington il 2 Dicembre 1946 ed entrata in vigore nel 1948.

Inizialmente questa Convenzione aveva il solo scopo di fungere da accordo tra i paesi balenieri più importanti del tempo, quindi Giappone, Norvegia e Islanda, per regolare l’attività di caccia alle balene, che fino a quel momento si era compiuta in maniera incontrollata. Fu così l’attività aumentò esponenzialmente, creando seri rischi per la sopravvivenza di intere specie. Preso atto della gravità della situazione, la Convenzione mutò radicalmente natura poiché, per l’avanzare di nuove idee e pressioni da parte di attivisti ambientalisti, oggi ha acquistato struttura e natura di una Carta di regolamentazione per la salvaguardia delle balene, avendo poteri di tutela e monitoraggio delle attività di caccia delle balene da parte di tutti gli Stati firmatari, che oggi ammontano a 52 contro i 14 iniziali. Solo in tempi recenti ha dato corretta applicazione a quanto si ritrova nel suo preambolo, che infatti riporta: “Riconoscendo che le nazioni del mondo hanno interesse a salvaguardare, per le generazioni future, le grandi risorse naturali costituite dalle specie di balene”.

Merito di questa convenzione è stata la creazione della Commissione Internazionale della Caccia alla balena, come disposto dall’Art. III: I Governi contraenti hanno convenuto di creare una Commissione internazionale della caccia alla balena, […] che sarà composta di membri designati dai Governi contraenti, in ragione di un membro per Governo. Ciascun membro disporrà di un voto; egli potrà essere accompagnato da uno o più periti o consulenti”.

Alla stessa vengono riconosciuti ampi poteri, come stabilito dal’Art. IV, che riporta come compiti della Commissione quelli di:
“incoraggiare, raccomandare e, occorrendo, organizzare studi ed inchieste sulle balene e la caccia alla balena; riunire ed analizzare dati statistici circa la situazione attuale e l’evoluzione delle popolazioni di balene, come anche circa le ripercussioni delle operazioni di caccia sulle medesime; studiare, valutare e diffondere informazioni sui metodi utilizzabili onde preservare e ricostituire le popolazioni di balene” nonché la possibilità della stessa di formulare, di quando in quando, in favore di uno qualsiasi o di tutti i Governi contraenti, raccomandazioni circa le questioni riguardanti sia le balene e la caccia alla balena, sia gli obiettivi e gli scopi della presente Convenzione”, Art. VI.

La Convenzione presenta anche un allegato al quale è stata riconosciuta pari validità ed efficacia rispetto alla Convenzione e che è stato oggetto di revisioni e obiezioni. In esso infatti sono scientificamente regolati limiti, periodi e tipi di campionario che ogni Stato firmatario è tenuto a rispettare e in esso si ritrova la famosa moratoria oggetto di controversia sin dal suo inserimento nel testo. Preso corpo nel luglio del 1982, ma in vigore nel 1986, la convenzione venne votata con la maggioranza necessaria di ¾ dei votanti e stabilì che il limite di caccia alle balene al solo fine di commercio della carne dovesse essere inderogabilmente pari a zero. Impose quindi un divieto assoluto di compiere qualsiasi attività al solo scopo commerciale. Ciò ovviamente attirò le obiezioni di Giappone, URSS e Perù, che posero una dispensa a questa disposizione, basando la loro critica sul fatto che questo limite mancasse totalmente di una giustificazione scientifica, come se il calo drammatico degli esemplari che si era verificato fino a quel momento non fosse da sé sufficiente.

Sempre nel 1986 fu istituita la Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, CITES, che proibì il commercio di carne di balena e al contempo riconobbe uno status di protezione alle specie più a rischio, tra cui la balenottera azzurra e la balenottera minore.

Grazie alla pressante ma necessaria presenza di Stati anti whaling, nel 1994 si è arrivati alla creazione del cosiddetto “Santuario Baleniero del Pacifico Meridionale” che conta una superficie di 50 milioni di kmq, approvato nonostante l’unica opposizione del Giappone.

Sfortunatamente la moratoria si è rivelata un fallimento poiché gli Stati contrari hanno ripetutamente violato il divieto stabilito. In particolare il Giappone ha concertato una serie di “missioni scientifiche” con le quali ha ucciso, eviscerato e commercializzato numerosi animali.

 

La controversia

Proprio per questo motivo nel 2010 l’Australia ha adito la Corte Internazionale di Giustizia per sottoporre alla sua attenzione il comportamento illegittimo del Giappone nei confronti delle disposizioni della Convenzione e dell’allegato.

In particolare l’Australia fa riferimento all’Art VIII della Convenzione che dispone, al paragrafo I: “Nonostante qualsiasi disposizione contraria della presente Convenzione, ogni Governo contraente potrà accordare ai propri cittadini un permesso speciale autorizzante l’interessato ad uccidere, catturare e trattare le balene per le ricerche scientifiche, tale autorizzazione potendo essere subordinata alle restrizioni quantitative e alle altre condizioni che il Governo contraente riterrà opportune; in questo caso, le balene potranno essere uccise, catturate o trattate senza che ci si debba conformare alle disposizioni della presente Convenzione. Ogni Governo contraente dovrà immediatamente notificare alla Commissione tutti i permessi di siffatta natura da esso accordati. Un Governo contraente potrà annullare in ogni momento un permesso speciale accordato.”

Stando a quanto sostenuto da questo Stato, la dispensa dell’art VIII è stata illegittimamente utilizzata dal Giappone, il quale ha ammantato da “ricerca scientifica” attività di caccia tutt’altro che fondate sulla necessità di campionamenti e di ricerche, soprattutto con riguardo ai metodi violenti utilizzati dal paese per compiere queste ricerche. L’Australia ha poi ricordato la vigenza, seppur debole, della moratoria che, come detto, impone un divieto assoluto di commercio della carne di balena con il cosiddetto “limite zero”.

La controversia, a cui ha preso parte anche la Nuova Zelanda nel 2012 in favore dell’Australia, ha avuto da subito un inizio burrascoso, in quanto il Giappone ha eccepito l’incompetenza della Corte sulla materia di riferimento, ma l’eccezione è stata rigettata dalla stessa che ha invece dichiarato la propria giurisdizione sul caso.

Al tempo il Giappone aveva in corso la missione JARPA II, sostitutiva della precedente JARPA I, e stava procedendo alla caccia nelle acque dell’oceano Antartico. L’Australia chiedeva pertanto che la Corte accertasse la violazione giapponese e che condannasse lo  stato alla cessazione immediata dell’attività. Il Giappone però fornì tutte le documentazioni scientifiche necessarie, dalle quali sarebbe dovuto emergere il carattere puramente scientifico della sua condotte, sia per quanto riguarda i metodi utilizzati sia per il numero di campioni necessari.

Dopo aver raccolto e analizzato tutto il materiale fornito dalle parti, il 31 marzo 2014 la Corte è arrivata alla sua conclusione (qui l’intera decisione). In primis ha ritenuto che “il campionamento con l’uso di metodi letali non è di per sé irragionevole all’interno del programma JARPA II, ma risulta sproporzionato sia in relazione al numero di animali presenti nelle acque considerate sia rispetto alla portata generale degli obiettivi del programma di ricerca, per cui non vi è necessità né tanto meno idoneità di procedere all’eviscerazione degli animali”. Ha aggiunto poi che “i metodi utilizzati per procedere con la ricerca sono assolutamente carenti di trasparenza e chiarezza e che gli obiettivi richiesti nella stessa avrebbero potuto essere ottenuti con un numero molto inferiore di esemplari da sacrificare, senza che il Giappone sia riuscito a motivare questa scelta incauta.

Seppur sia possibile considerare questa missione scientifica, anche se in linea generale, la Corte ha ritenuto che non si potesse applicare la dispensa dell’art VIII all’attività complessiva del Giappone, poiché è emersa la mancanza del “carattere scientifico” che sta alla base della disposizione. Infine ha stabilito la revoca di qualsiasi autorizzazione futura per il programma e di impedire garanzie e dispense ulteriori in base all’art. VIII durante il programma.

Anche in questo caso, come nel caso della moratoria, si è trattato di una vittoria di facciata visto che il Giappone ha già intrapreso una nuova campagna di ricerca chiamata NEWREP-A, iniziata nell’estate australe del 2015/2016 che, come dichiarato prontamente nei documenti di presentazione, è del tutto rispettosa dei limiti imposti dalla pronuncia della Corte. Dati gli eventi accaduti però si nutrono molti dubbi su queste affermazioni, dato che, anche se sono stati uccisi meno esemplari, i metodi e le giustificazioni rimangono gli stessi del passato.

 

 

Fonti e Approfondimenti:

http://hsi.org.au/go/to/681/international-whaling-commission.html#.WxucXPXOMy4

Fai clic per accedere a 18160.pdf

Fai clic per accedere a 0.922.74.pdf

Fai clic per accedere a SC_67B_SCSP_08_2018.pdf

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