Le vie per uscire dallo stato di insolvenza: come sanare i propri debiti

Da Marchionne al vicino di casa, tutti potremmo passare per una delle tante vie proposte dal nostro ordinamento per sanare i nostri debiti. C’è bisogno, quindi, di entrare nel mondo della crisi dell’impresa, per comprenderne il funzionamento.

Individuando cinque protagonisti, possiamo usarli per farci accompagnare in questo percorso. Uno è già stato nominato: Marchionne, amministratore di una grandissima impresa com’è la FCA. Se la FCA dovesse entrare in crisi, quale procedura dovrebbe adottare per uscirvi?

La risposta sta nell’amministrazione straordinaria. Tale procedura fu prevista per la prima volta nel 1979 (l. Prodi) per risolvere la crisi di grandi gruppi italiani, avendo come obiettivo la conservazione del complesso aziendale attraverso il mantenimento dell’attività economica. Nel 1999 vi fu una nuova modifica con lo stesso obiettivo, anche però attraverso riattivazione o riconversione delle attività medesime. In questa procedura vi è un ruolo predominante del Ministero (oggi dello Sviluppo Economico), quindi del potere politico.

Le imprese, definite dalla legge grandi, (cioè quelle imprese che abbiano almeno 200 dipendenti, compresi quelli in cassa integrazione), possono entrare in questa procedura quando:

a) abbiano debiti non inferiori ai due terzi sia dei ricavi che dell’attivo dello stato patrimoniale (secondo l’ultimo esercizio);

b) si trovino in stato di insolvenza;

c) abbiano prospettive di recupero.

Quest’ultimo punto è verificato nella fase di osservazione: il tribunale (del luogo dove ha sede l’impresa) deve accertare se tali prospettive siano o meno esistenti. Se ci sarà un accertamento positivo, il tribunale dichiarerà l’apertura dell’amministrazione e la palla passerà al Ministero.

Nella stessa categoria si aggiungono, ed è qui che la FCA alzerà le “antenne”, le grandissime imprese. Esse sono state previste dal decreto Marzano (d.l. n.347/2003 convertito nella l. n. 39/2004) per fare in modo che tali attività non debbano passare per la fase di osservazione aprendo immediatamente l’amministrazione straordinaria (quindi passare direttamente nelle mani del Ministero). I requisiti in questo caso sono:

a) lavoratori dipendenti non inferiori a 500 unità (compresi quelli in cassa integrazione);

b) un ammontare di debiti non inferiore ai 300 milioni di euro.

L’amministrazione straordinaria quindi vuole essere un tentativo politico per salvare le grandi imprese, cercando di non farle giungere al fallimento (esempi notissimi sono stati quelli di Parmalat, 2003, o Alitalia, per ultimo nel 2017).

“La banca è l’emblema della ricchezza…” queste sono tra le parole usate dal ragazzo noEXPO divenuto famoso per l’intervista data a Meridiana Notizie. Ebbene, partendo da lui, si può cercare di capire come le banche e altre imprese con forte connotazione pubblicistica possano uscire dalla situazione di crisi. Se tale ragazzo fosse stato a capo di banca Etruria, cosa avrebbe potuto fare?

L’art. 2 della legge fallimentare parla di liquidazione coatta amministrativa. Il fine di tale procedura è lasciar gestire la situazione di crisi non tanto all’autorità giudiziaria (quindi al tribunale), ma a quella amministrativa. Questo perché tali imprese portano interessi pubblicistici (cioè interessi della comunità) ed il legislatore ha voluto toglierle dalla procedura generale del fallimento, prevedendo una legge speciale per ognuna di esse (in base agli interessi che portano con sé). Tutte le varianti della liquidazione coatta hanno però un requisito comune, oggettivo: la necessaria dichiarazione dello stato di insolvenza da parte del tribunale (e quindi dell’autorità giudiziaria).

L’art. 2 legge fallimentare sostiene che le leggi speciali debbano indicare: i soggetti sottoponibili alla liquidazione e le autorità amministrative competenti. Tra questi si troveranno quindi banche, assicurazioni, fondi pensione, casse di risparmio ecc… E le autorità competenti saranno la Consob, l’IVASS, la Banca d’Italia ecc…

Le medie imprese invece, cosa possono fare? Prendendo ad esempio Mattia, un imprenditore Veneto di abbigliamento. Se la sua impresa entrasse in crisi, come potrebbe uscirne?

L’art. 1 legge fallimentare dispone che tutte le imprese, individuali o collettive (società), che esercitano un’attività commerciale ricadono sotto la procedura generale del fallimento. Ma attenzione, Mattia sa che il fallimento non ha il significato che il linguaggio comune gli affibbia. Infatti fallimento non vuol dire cessazione dell’impresa, morte. Con esso si tenta di sanare tutti i debiti dell’imprenditore e di far continuare l’attività mantenendo il più possibile intatta l’azienda. Non a caso, alla fine di tale procedura, se rimangono ancora altri debiti non rientranti nel piano di riparto, il debitore potrà beneficiare dell’esdebitamento: i debiti residui si estingueranno. Ovviamente quest’ultimo non è automatico ma l’imprenditore dovrà rientrare in determinati canoni, tra i quali l’aver collaborato con il tribunale.

Vi è una categoria di mezzo, come le cooperative esercenti attività economica, che possono utilizzare sia la liquidazione che il fallimento per via dei loro connotati pubblicistici sfumati.

Il consumatore, invece, nel momento in cui entra in stato di insolvenza, come ne può uscire? Nel 2012 il legislatore ha introdotto a favore dei soggetti ritenuti più deboli il sistema del sovraindebitamento. Esso ricalca le fasi del fallimento e, come premio finale, soddisfatti i requisiti della meritevolezza, si può ottenere anche qui l’esdebitamento. Ma, oltre ai consumatori, chi altro vi può rientrare?

L’art. 6 primo comma della legge n.3/2012 (che ha introdotto il sistema del sovraindebitamento) dice che vi sono delle situazioni non soggette ne’ assoggettabili alle vigenti procedure concorsuali (intendendosi quelle sopra dette). Quindi non elenca quali siano i soggetti che rientrano nel sovraindebitamento. E’ necessario cercarli ad exlcudendum, guardando quali siano le procedure concorsuali vigenti e scartandone i soggetti. Il sovraindebitamento si applicherà quindi: alle imprese individuate dalle soglie dell’art. 1 secondo comma della legge fallimentare (i piccoli imprenditori in senso lato); agli imprenditori agricoli; a noi consumatori; al professionista intellettuale (avvocati, ingegneri, medici…); alle associazioni, alle fondazioni ed ai comitati non esercenti attività di impresa; alle start-up; al socio non fallibile.

Infine vi è la procedura che potrebbe essere definita “jolly”: il concordato preventivo. Esso può essere svolto sia dalla grandissima impresa che dalla banca che dalle piccole-medie imprese. Serve ad evitare di entrare nelle relative procedure sopradette cercando un accordo preventivo coi creditori, sacralizzato dall’omologazione del tribunale.

Quindi, che si parli di Della Valle o Mario Rossi, l’ordinamento offre una tutela cercando di non far sfociare la situazione di crisi nella cessazione dell’attività, salvando posti di lavoro, macchinari, PIL… Ovviamente la cura avrà efficacia diversa in base al numero delle frodi commesse o alla quantità di debiti assunti.

Fonti

L. De Angelis, Diritto commerciale, Volume II, Wolter Kluwer 2017

Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare)

Legge 27 gennaio 2012, n. 3 Capo II (http://www.gazzettaufficiale.it/gunewsletter/dettaglio.jsp?service=1&datagu=2012-01-30&task=dettaglio&numgu=24&redaz=012G0011&tmstp=1327998015987)

Video – ragazzo noEXPO https://www.youtube.com/watch?v=wYozZNd8g0o

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