Il modo migliore per apprezzare lo spirito del libro è forse quello di avere accanto una tazza di caffè fumante, e scoprire come dalle sue pagine e da quell’inconfondibile aroma affiorino la storia di un sogno e di un progetto personale, le vicende di un Paese martoriato e un esempio del complesso processo produttivo e di commercializzazione che sta dietro alla bevanda globale per eccellenza.
Il protagonista, Mokhtar, è un giovane cittadino statunitense di origini yemenite, che fa il portiere in un palazzo residenziale di lusso a San Francisco e che, scoperta la passione per l’antica storia del caffè, inizia a inseguire il suo “American dream”. Intuisce che il Paese dei suoi antenati potrebbe tornare a produrre e a esportare “il vino dell’Islam”, il caffè, e decide di tornare nello Yemen, proprio alla vigilia dello scoppio della guerra civile. Dave Eggers, dopo tre anni di colloqui con Mokhtar Alkhanshali, ne Il Monaco di Mokha racconta, con ironia e accuratezza, la storia degli eventi visti e vissuti dal suo protagonista.
Mokhtar è cresciuto nel Tenderloin, il quartiere-ghetto di San Francisco «che insegnava a pensare e a parlare svelto». Mosso da un tormentato desiderio di realizzazione personale, proprio come suo nonno emigrato negli Stati Uniti «per avere delle possibilità», dopo essersi cimentato in vari lavori e messa da parte l’istruzione accademica, intravede la sua vocazione: impegnarsi per riportare in commercio il caffè yemenita.
La semplice visione di una statua, quella di un uomo con in mano un’enorme tazza di caffè, di fronte al palazzo dove lavora, genera in Mokhtar una sorta di epifania. Il giovane mette per iscritto su un grande rotolo di carta bianca i dettagli del suo progetto, anzi della sua “missione” – «creare nello Yemen un’impresa economicamente redditizia e sostenibile allo scopo di migliorare la qualità e la costanza nella produzione del caffè locale» – e torna nel suo Paese d’origine. «Un americano yemenita, forse, avrebbe potuto fungere da ponte tra le inaccessibili montagne e il caos politico del Paese, da un lato, e il mercato mondiale del caffè dall’altro».
La guerra civile yemenita
Nel 2014, quando Mokhtar Alkhanshali arrivò nello Yemen, i conflitti tribali erano di nuovo in pieno corso e gli abitanti del Paese erano ormai abituati ai bombardamenti statunitensi con i droni alle basi del gruppo jihadista al-Qaeda nella penisola araba (AQAP). Quello stesso anno, il presidente Hadi e i delegati della Conferenza nazionale per il dialogo avevano trovato un accordo sui principi di una nuova Costituzione ma i ribelli Houti proseguivano con la loro avanzata nel Nord.
Il Monaco di Mokha racconta, quindi, anche la storia di un Paese da sempre diviso, distrutto dalla guerra, travolto dalla più grande crisi umanitaria al mondo secondo le Nazioni Unite.
Nel 1990 venne annunciata la nascita di uno Yemen unito – a seguito dell’unificazione tra la Repubblica democratica popolare dello Yemen e la Repubblica araba dello Yemen – ma le elezioni del 1993 e la guerra civile scoppiata nel 1994 rivelarono come fosse ancora consolidato tra gli yemeniti un senso di appartenenza regionale più che nazionale. Tra il 2011 e il 2012 ebbe luogo una complessa transizione politica e, anche a seguito delle ondate di protesta della cosiddetta “Primavera araba”, si verificò la deposizione di Saleh (capo del Paese dal 1978) in favore di Hadi. Il nuovo governo yemenita appoggiò la lotta contro il terrorismo islamico, ottenendo il supporto di Arabia Saudita e Stati Uniti, e venne riconosciuto dai Paesi arabi e dalla comunità internazionale. Le riforme militari e federali del nuovo presidente rivelarono l’ostilità del gruppo armato degli Houti che, appoggiati da Saleh, condussero un colpo di stato. A partire dal 2015 una coalizione a guida saudita iniziò a bombardare i ribelli. La regionalizzazione che assunse questa prima parte del conflitto era dovuta alla pluralità di attori, locali e regionali, e agli interessi in gioco: la contrapposizione tra nuovo e vecchio regime, così come quella tra centro e periferie o tra Nord e Sud, e in ultimo la competizione geopolitica regionale tra Arabia Saudita e Iran.
Mokhtar è al culmine del successo, tra gli esploratori ed esportatori di caffè, quando scoppia la guerra civile in Yemen. Viene fatto prigioniero dalle milizie ad Aden, scappa dai bombardamenti, l’ambiasciata statunitense chiude ed è costretto a trovare un modo per fuggire dal Paese. Dopo un rocambolesco viaggio e dopo aver superato blocchi e frontiere riesce a tornare negli Stati Uniti, dove parteciperà alla più grande fiera del settore con il ‘suo’ caffè. Il lieto fine, come scoprirà chi arriverà all’ultima pagina, è degno della più classica sceneggiatura hollywoodiana. Eppure è tutto squisitamente reale…
Il caffè, una risorsa per il Paese
Nel romanzo l’autore racconta come, secondo la leggenda sull’origine della varietà di caffè Arabica, considerata la più pregiata, il primo caffè venne preparato a Mokha, città portuale dello Yemen, da un religioso sufi – la corrente più spirituale dell’Islam –, poi soprannominato il Monaco di Mokha. Da Mokha iniziò il viaggio della bevanda come bene di consumo internazionale. La produzione di caffè yemenita destinata ai mercati esteri però con il tempo scomparve e il commercio divenne ostile per i viaggiatori occidentali date le condizioni in cui verteva il Paese.
Prima dello scoppio della guerra civile si sperava ancora in una ripresa dell’economia favorita anche da un nuovo sviluppo della tradizionale coltura del caffè. Negli anni Novanta, prima dell’unificazione, la popolazione del Sud sperava ancora nell’aiuto di quella del Nord, più esperta nella coltivazione di caffè. L’avanzata dei ribelli sciiti Houti e i continui conflitti interni, soprattutto quelli con Al Qaeda, oltre a causare fame e povertà, allontanarono gli acquirenti stranieri. La mancanza d’acqua e di infrastrutture idonee sono da tempo tra i fattori che determinano una scarsa produttività, aggravata dai blocchi sulle importazioni e dal controllo straniero sui porti e i confini.
Non è da escludere, però, che l’economia del Paese possa risollevarsi proprio grazie al caffè. Con l’obiettivo di rilanciare l’agricoltura yemenita, compresa la filiera del caffè, nel 2016, le Nazioni Unite hanno varato un programma congiunto triennale di aiuti, a sostegno di un Paese lacerato da anni di guerra civile. Il programma Enhanced Rural Resilience in Yemen (ERRY), finanziato dall’Unione europea e attuato da FAO, ILO, UNDP e WFP, ha perseguito l’obiettivo di migliorare la resilienza e l’autosufficienza delle persone colpite dalla crisi nelle comunità rurali in alcuni governatorati yemeniti.
L’autore stesso rivela che il libro «parla di americani, come Mokhtar, che mantengono forti legami con i Paesi dei loro antenati e che con passione imprenditoriale creano ponti indispensabili tra il mondo sviluppato e quello in via di sviluppo, tra le nazioni che producono e quelle che consumano».
E racconta di un esempio di economia globale ma tendenzialmente sostenibile, che tenta di conciliare la tradizione, il legame col territorio, il lavoro esperto e ben remunerato delle persone del posto, la ricerca della qualità con un marketing adeguato per un consumo del caffè più consapevole e non solo dettato da tendenze di mercato.
Mokhtar Alkhanshali è forse il più famoso esempio – ma non l’unico – di businessman di origine yemenita che ha scelto di credere nel rilancio di questo antico prodotto, riaccendendo la speranza per una ripresa economica del Paese.
Fonti e approfondimenti
Ardemagni, E., “Yemen: l’escalation saudita-emiratina e gli intrecci regionali”, Aspeniaonline, 16/10/2015.
Eggers, Dave. 2018. “Il Monaco di Mokha”. Mondadori.
Pacini, Viola, “Ricorda 1990: l’unificazione dello Yemen”, Lo Spiegone, 20/08/2020.
UNDP, All Projects, Yemen. “Enhance Rural Resilience in Yemen”. 2016.
Editing a cura di Elena Noventa
Copertina a cura di Simone D’Ercole
Be the first to comment on "Leggere tra le righe: “Il Monaco di Mokha”, il commercio di caffè e la guerra in Yemen"