Gli effetti del cambiamento climatico non stanno risparmiando nemmeno l’Asia Centrale, area già perennemente afflitta da scarsità idrica, che ora deve fronteggiare anche i problemi legati allo scioglimento dei ghiacciai. Questo processo, in corso già dagli anni Sessanta del Novecento, può essere una minaccia non solo per l’ambiente ma anche dal punto di vista socio-economico e geopolitico, creando ripercussioni sugli assetti di stabilità della regione.
La ricchezza instabile del Tajikistan
La Repubblica del Tajikistan, situata nella parte sud-orientale dell’Asia Centrale, è la più piccola e più povera dell’Asia Centrale. Confina con Uzbekistan, Kirghizistan, Cina e Afghanistan e ha un territorio per oltre il 90% montuoso, composto principalmente da due catene: Trans-Alay nel nord, e Pamir nel sud.
Dalla dissoluzione dell’URSS, in campo economico il Paese può contare principalmente sull’esportazione di minerali e metalli non raffinati, ma basa grande percentuale del suo PIL (circa il 30%) sulle rimesse dei lavoratori all’estero. Ciononostante, possiede una grande ricchezza: l’acqua.
Il Tajikistan è dimora dei ghiacciai più imponenti dell’intera regione; secondo gli esperti sono più di 13mila, per un volume totale di 850 km cubi.
Non solo: il Paese detiene anche circa il 60% delle risorse idriche dell’intera regione, considerando 1300 laghi e oltre 900 tra fiumi e torrenti. I principali fiumi, il Syr Darya e l’Amu Darya, ricevono l’80% delle loro acque dallo scioglimento dei ghiacciai tajiki e alimentano svariate centrali idroelettriche capaci di garantire l’approvvigionamento di energia per il 95% dei consumi interni. Vanto del Tajikistan è anche la seconda più alta diga al mondo, la Nurek Hydro-Electric Station. E’ attualmente in costruzione anche una nuova diga a Rogun, che permetterà di esportare energia idroelettrica in Afghanistan e Pakistan.
Il posizionamento upstream (letteralmente a monte, dove si svolgono i processi operativi da cui ha origine l’attività di produzione) del Paese risulta strategico nella gestione degli impianti, consentendo in molti casi il controllo del flusso di acqua che prosegue oltre i confini e la relativa esportazione di energia idroelettrica alle altre Repubbliche. L’abbondanza delle risorse idriche tajike è molto rilevante per l’approvvigionamento dei vicini “a valle”, che necessitano di acqua anche per irrigare i campi.
La potenziale disponibilità idrica non si traduce però invece in effettiva equa distribuzione interna: secondo dati del 2020, dei circa 9 milioni di abitanti del Paese circa la metà non ha accesso all’acqua potabile, dati che si aggravano nelle aree montane e rurali raggiungendo l’80% della popolazione.
La situazione è destinata a peggiorare a causa dell’aumento delle temperature, che porterà all’ulteriore scioglimento dei ghiacciai e all’acuirsi delle lotte per la gestione delle risorse idriche nell’intera regione.
Gli effetti dell’innalzamento delle temperature
Negli ultimi sessant’anni, la temperatura media del Tajikistan è salita di circa 1°, determinando un incremento nella frequenza e intensità dei fenomeni naturali idrometeorologici, quali alluvioni e smottamenti, già tipici della zona, specie in aree fortemente disboscate. Secondo i dati della UN Framework Convention on Climate Change, è possibile che le temperature medie salgano ancora, con un aumento compreso tra 1.8° e 2.9° C entro il 2050. Il rischio principale per il Paese è che questo acceleri il processo di scioglimento dei ghiacciai, che già attualmente si attesta su una velocità di 80 metri all’anno. Entro il 2050, il volume dei ghiacciai tagiki potrebbe ridursi della metà.
Le conseguenze sarebbero disastrose: lo scioglimento di questi non garantirà necessariamente una maggiore quantità di acqua potabile. La disponibilità effettiva d’acqua, infatti, non aumenterà, poiché le maggiori temperature causeranno anche un’evaporazione più rapida. Il ciclo dell’acqua diventerà pertanto sempre più irregolare e porterà a eventi estremi, come inondazioni e siccità, con conseguenti danni all’agricoltura e minacce alla sopravvivenza delle popolazioni locali già provate dalla fallimentare distribuzione di acqua potabile.
Rilevanza per paesi limitrofi e possibili conseguenze
La disponibilità di risorse idriche rappresenta da tempo un motivo di tensione tra le Repubbliche dell’Asia Centrale, in particolare tra Tajikistan, Kirghizistan e Uzbekistan che, specialmente nella zona della Valle di Fergana, dove i confini tra i tre paesi sono più labili, si sono trovati più volte in contrasto anche per il controllo dei bacini idrici.
Violenti scontri si erano registrati già nel 2014 tra Tajikistan e Kirghizistan e nel 2016 tra Uzbekistan e Kirghizistan. E’ di aprile 2021 la notizia di nuovi conflitti armati con intervento degli eserciti tra Kirghizistan e Tajikistan, a causa di questioni di controllo di un bacino in territorio conteso, che hanno portato a decine di morti e alla distruzione di una serie di villaggi in territorio kirghizo.
Il Tajikistan vuole mantenere una posizione di superiorità dovuta alla sua ricchezza in termini di risorse idriche, grazie alle quali rifornisce anche i Paesi confinanti tra cui l’Afghanistan. Per quest’ultimo, specialmente in seguito al ritiro delle truppe statunitensi, svolge un ruolo strategico come fornitore per l’ambito idroelettrico.
La carenza idrica potrebbe quindi far degenerare le già presenti tensioni, trasformando l’acqua in una vera e propria arma per il controllo della regione. Del resto proprio Tajikistan e Kirghizistan, che dispongono delle risorse più consistenti, sono i due stati che subiranno maggiormente i cambiamenti climatici negli anni a venire: se dovessero decidere di non rifornire più i loro vicini, le scorte per gestione interna, causerebbero danni alle economie e ai mezzi delle altre Repubbliche oltre che pretesti per la nascita di nuovi contenziosi nella gestione dei bacini idrici.
Quali politiche per arginare
La questione della gestione delle risorse idriche non è nuova ai vertici della regione, che da decenni cercano soluzioni implementando politiche più e meno efficaci per tentare di risolvere problemi comuni. Dal 2009, Dushanbe può oltretutto contare sul supporto della Svizzera, attiva nell’area attraverso una strategia di “Blue Diplomacy” volta a salvaguardare e al contempo suddividere in maniera equa le riserve idriche regionali e nazionali delle cinque ex Repubbliche sovietiche.
L’aiuto dell’Agenzia Svizzera per lo Sviluppo e la Cooperazione è stato fondamentale per il lancio, in collaborazione con UNDP e OXFAM International in Tajikistan, del progetto TajWSS (Tajikistan Water Supply and Sanitation Project) per migliorare l’accesso all’acqua potabile e la sanificazione nelle aree rurali.
Il progetto ha portato nel 2015 alla firma di un programma di riforme per il settore idrico da parte del governo, punto di partenza fondamentale per gli obiettivi che il Paese si è prefissato di raggiungere entro il 2030.
Nel 2019 è stata approvata una nuova legge sull’approvvigionamento di acqua potabile e sul trattamento delle acque reflue, utile a fornire un quadro base per delineare responsabilità dei fornitori, garanzie legali, diritti di proprietà e regolamentazione economica. Sono stati inoltre stilati standard e norme in materia di salute e igiene, politiche di investimento per il miglioramento del clima e raccomandazioni su decentramento e demonopolizzazione dell’approvvigionamento idrico rurale.
L’ultimo incontro della rete di stakeholders legati al TajWSS si è tenuto il 18 maggio scorso, giusto in tempo per aprire poi le porte tra il 6 e il 9 giugno alla seconda edizione della conferenza internazionale Dushanbe Water Conference, a dimostrazione dell’interesse crescente per il tema anche in campo internazionale e del ruolo che il Tajikistan sta costruendo come leader del cambiamento. Il vertice si innesta nell’ambito dell’iniziativa ONU “Water for Sustainable Development 2018-2028”, promossa dallo stesso Tajikistan per il raggiungimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile (SDG) n°6 per l’Agenda 2030: Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie.
Se dal punto di vista dell’attenzione al cambiamento climatico e alla gestione dell’acqua ci sono sviluppi incoraggianti, pochi passi avanti sono invece stati fatti nel tentare di sedare i contenziosi geopolitici nell’area. Specialmente nella Valle di Fergana, risulta evidente la carenza di iniziative diplomatiche ufficiali, aggravata da continui scontri dovuti alla disomogeneità della distribuzione etnica tra i tre Paesi coinvolti e la mancanza di un riconoscimento decisivo dei confini.
In seguito ai drammatici fatti di aprile 2021, tuttavia, Kirghizistan e Tajikistan hanno optato per una soluzione comune, accordandosi per un controllo congiunto dei propri confini. La questione non è ancora conclusa; tuttavia, gli accordi bilaterali a risoluzione delle dispute territoriali possono essere un buon punto di partenza, in mancanza di intese diplomatiche più specifiche, per evitare il rischio di ulteriori escalation di violenze.
Fonti e approfondimenti
Dushanbe Water Conference, Sito ufficiale
Eshaliyeva, Kamila, What is happening on the Kyrgyz-Tajik border?, 6.5.2021, OpenDemocracy.net
Final network meeting of Tajikistan Water Supply and Sanitation Project held in Tajikistan, ReliefWeb, 24.5.2022
Khasanova, Savia, Rischi climatici e sicurezza alimentare in Tagikistan, caa network.org, 8.1.2018 (RU)
Rheinbay J., Mayer S., Wesch S., Vinke K., A Threat to Regional Stability: Water and Conflict in Central Asia, 20.4.2021, PeaceLab.org
Editing a cura di Elena Noventa
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