Oltre i confini: la cooperazione internazionale negli ultimi anni dell’Unione Sovietica

@Víctor Bugge - Wikimedia (CY 2.0)

All’inizio degli anni ‘80, dopo il sostanziale fallimento delle politiche pragmatiche di Brezhnev,, l’Unione Sovietica dovette riesaminare i suoi rapporti con i Paesi non allineati e rivalutare la strategia di cooperazione internazionale. Le opportunità di esercitare influenza tramite gli aiuti, infatti, diminuirono progressivamente e i beneficiari diventarono sempre più dipendenti dall’assistenza sovietica. Inoltre, la situazione economica sovietica registrò un sostanziale deterioramento che rallentò la crescita economica del Paese. 

La morte di Brezhnev, nel 1982, lasciò l’URSS in una situazione di incertezza politica. Il Politburo (l’Ufficio politico del Comitato Centrale del Partito comunista) non vide il ricambio generazionale sperato, testimoniato dal fatto che i Segretari Generali che seguirono, Yuri Andropov e Konstantin Chernenko, morirono nel giro di pochi anni, rispettivamente, nel 1984 e 1985. 

In quel periodo, l’assistenza fornita ai Paesi beneficiari non fu azzerata, ma fortemente ridotta. L’URSS si rivelò non più in grado di farsi carico né delle richieste economiche o materiali, né della loro crescente dipendenza dal supporto sovietico. Le difficoltà economiche, infatti, non permettevano una programmazione e assistenza economica a lungo termine. 

La cooperazione internazionale nel periodo di incertezza

Nonostante la crisi economica e la riduzione del volume di aiuti, l’URSS continuò a fornire assistenza, specialmente in Africa. L’esborso quasi triplicò tra il 1980 e 1985, per garantire, come durante la presidenza Brezhnev, il sostegno agli alleati o il supporto a Stati ricchi di risorse naturali. 

Il principale beneficiario fu l’Etiopia, considerata affine al blocco sovietico a livello politico, amministrativo e ideologico. Ampia assistenza fu anche fornita a Mozambico, Egitto, Madagascar, Congo, Angola e Tunisia.

Nonostante la riduzione nei volumi, l’URSS rappresentava ancora un donatore importante, con un contributo pari all’8,5% dell’assistenza mondiale. Tuttavia, tale valore era fortemente inferiore rispetto alla quota dei Paesi del blocco occidentale. Nettamente superiore era la fornitura degli Stati Uniti, pari al 22,2% dell’assistenza mondiale, cui seguiva Giappone (10,9%), Francia (10,6%) e Germania dell’ovest (8,4%).

Gorbachev e il novoe myshlenie

Quando Mikhail Gorbachev salì al potere, nel 1985, la politica estera del Cremlino subì un radicale cambiamento. Gorbachev, infatti, volle attenuare la competizione con il blocco occidentale, per migliorare i rapporti tra gli Stati. L’Occidente non fu più considerato responsabile del crescente divario Nord-Sud, che iniziò a rappresentare, anche per l’URSS, un problema globale che minava la sicurezza internazionale. 

La politica estera sovietica, quindi, non fondò più le sue basi sulla competizione ideologica. Seppur non del tutto abbandonata, la competizione divenne più moderata, orientata a ridurre le tensioni internazionali e promuovere un maggior coordinamento per risolvere i problemi globali per perseguire una sicurezza comune. Ciò fu alla base del novoe myshlenie (“nuovo pensiero”) di Gorbachev, che gettava le basi, almeno teoriche, per la coesistenza tra Stati con diversi sistemi sociali. 

In questo nuovo contesto, le politiche di cooperazione internazionale vennero accusate di aumentare le tensioni internazionali e furono considerate le principali responsabili del fallimento della distensione. Furono, pertanto, drasticamente ridotte. 

Reindirizzando all’interno il capitale destinato agli aiuti internazionali, da un lato, Gorbachev ambì a migliorare la situazione economica e promuovere riforme. Dall’altro, vi era la speranza che un minor contributo assistenziale avrebbe potuto incoraggiare gli scambi commerciali e gli investimenti esteri.

Gli effetti del nuovo indirizzo politico sui programmi di cooperazione

Il “nuovo pensiero” non eliminò tutte le forme di assistenza. I programmi educativi e le borse di studio, infatti, furono molto generosi, ma indirizzati specialmente ai Paesi considerati “strategici”. Tra questi vi furono Etiopia e Algeria, rilevanti per l’URSS per mantenere la sua influenza in Africa. 

L’assistenza economica ai Paesi socialisti – e di conseguenza la loro dipendenza da Mosca – diminuì drasticamente. Le relazioni con Cuba divennero progressivamente tese, anche in ragione del miglioramento delle relazioni tra Mosca e Washington. Anche il Nicaragua, che durante la presidenza Brezhnev era considerato un Paese strategicamente importante, fu fortemente criticato per la cattiva gestione della sua economia, ricevendo minor assistenza.

Parallelamente, l’URSS decise di stabilire contatti bilaterali con piccoli Paesi non comunisti dell’America Latina, quali Guatemala, Honduras e Repubblica Dominicana.

Infine, maggiore attenzione venne data alla regione del Pacifico, nel tentativo di.integrarsi nel dinamismo economico regionale e promuovere lo sviluppo delle regioni orientali. In tal senso, vennero promosse le relazioni con i Paesi dell’ASEAN, in particolar modo Indonesia, Malesia, Filippine e Thailandia.

Effetti sui tradizionali beneficiari della politica sovietica di cooperazione internazionale

La rimodulazione della strategia di cooperazione internazionale comportò un progressivo allontanamento dagli storici beneficiari del supporto sovietico. Di conseguenza, alcuni  Paesi, ad esempio l’Angola, decisero di rinunciare al socialismo per abbracciare il libero mercato. L’URSS perse così la sua influenza in Africa.

Inoltre, la crescente attenzione nell’Asia Pacifica comportò una riduzione nell’assistenza per i Paesi del Sud-Est Asiatico, originariamente considerato centrale per la logica conflittuale della Guerra Fredda. 

Nel Medio Oriente, invece, l’Afghanistan rimase un destinatario prioritario dell’assistenza sovietica, orientata alla realizzazione di infrastrutture elettriche, logistiche e di comunicazione. Nel 1987, il Cremlino aumentò il volume dell’assistenza umanitaria, economica e tecnica, fino a raggiungere un picco di 1,25 miliardi di dollari. Tale incremento ambì alla rimodulazione delle istituzioni afghane e il rilancio del settore privato, per rendere il Paese politicamente ed economicamente indipendente. Infatti, parallelamente, Gorbachev iniziò il processo di ritiro dell’esercito sovietico dall’Afghanistan, completato nel 1992.

Gli ultimi anni dell’Unione Sovietica: le critiche ai programmi di cooperazione

Neanche la strategia di cooperazione internazionale adottata durante la presidenza di Gorbachev portò ai risultati sperati. Il Segretario del Partito comunista fu accusato di non aver compreso la situazione economica del Paese e il suo ruolo nel panorama internazionale. Gorbachev fu, infatti, incolpato di non aver affrontato il “declino imperiale” che Mosca stava vivendo, ma di averlo, anzi, assecondato, portando, di fatto, l’Unione Sovietica a disintegrarsi nel 1991

Gli aiuti internazionali furono fortemente criticati, in particolar modo dall’opinione pubblica. Tali programmi furono accusati di aver alimentato la crisi economica sovietica. Nel 1990, infatti, l’URSS registrò un indebitamento pari a 85 miliardi di rubli. Tra i maggiori debitori figurarono numerosi Stati socialisti, in particolar modo Cuba, con un debito di 15.490,6 milioni di rubli, Mongolia (9.542,7 milioni di rubli) e Vietnam (9.131,2 milioni di rubli). Rilevanti anche i debiti contratti da India, Siria, Angola e Mozambico, oltre che – seppur in piccola parte – Nigeria, Zambia e Tanzania.

Ferocemente criticati furono anche gli aiuti militari, rei di aver contribuito a prolungare i conflitti regionali, senza generare un vero ritorno, economico o politico, per l’URSS. L’opposizione – anche militare – all’Occidente, infatti, risultò poco funzionale, a discapito di una possibile cooperazione economica e tecnologica, che sarebbe risultata vantaggiosa sia per il donatore che i Paesi beneficiari. Rilevanti, in tal senso, gli esempi dei beneficiari in Africa e Medio Oriente, dove la prevalenza di un’assistenza di carattere militare non consentì un reale sviluppo dei Paesi beneficiari.

 

Fonti e approfondimenti

Lawson, Colin W., (1988). “Soviet Economic Aid to Africa”. African Affairs. Vol. 87, No. 349, pp. 501-518.

Melvin A. Goodman (1990). “Gorbachev and Soviet Policy in the Third World”. The Institute for National Strategic Studies. MC Nair Papers N. 6, p. 5

Tsygankov, Andrei (2013). Russia’s Foreign Policy: Change and Continuity in National Identity. Lanham: Rowman & Littlefield Pub Inc.

 

Editing a cura di Elena Noventa

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