Pochi giorni fa avevamo interrotto la ricostruzione della storia dei Paesi Baschi prima della sesta e decisiva assemblea che i membri di ETA svolsero all’inizio dell’agosto 1970. Prima di entrare nel dettaglio di questo evento, ricostruiamo brevemente il contesto in cui si svolse.
Abbiamo visto come, inizialmente, l’organizzazione indipendentista si limitasse a fare propaganda tramite scritte sui muri o attraverso piccoli atti di violenza che non sfociavano mai in episodi, per così dire, memorabili. Anche all’interno della stessa organizzazione la strada da perseguire non era scontata per tutti.
La violenza come arma politica venne presa in considerazione dai più soltanto dopo la V assemblea, quella del 1966. Fu il preambolo di ciò che accadde il 7 giugno 1968: mentre si dirigevano verso San Sebastian, Javier Etxebarrieta Ortiz, ‘Txabi’, e Iñaki Sarasketa si imbatterono in un posto di blocco della Guardia Civil, insospettitasi per la targa del veicolo sul quale viaggiavano i due etarras. Capendo di essere a rischio arresto Txabi non non ci pensò due volte e sparò al giovane José Pardines Arcay: fu il primo omicidio della storia di ETA.
La potente macchina repressiva del regime franchista non tardò molto a trovare i due responsabili: Txabi morì nello scontro a fuoco che ne conseguì, mentre Iñaki, ferito e in fuga, venne arrestato poco ore dopo in una chiesa della provincia di Guipúzcoa. Non passarono nemmeno due mesi che l’ETA contrattaccò: a cadere per mano dei militanti baschi fu il capo della polizia di Guipúzcoa, Meliton Manzanas. La spirale di violenza era iniziata.
VI Assemblea: la scissione definitiva
È in questo clima che si apre la sesta, decisiva, assemblea dell’organizzazione. Siamo agli inizi di agosto del 1970, nelle province basche francesi, precisamente a Bayonne. L’ala militare, che pretendeva di dare priorità assoluta all’avanguardia più che a un discorso di ‘lotta di classe’, era stata fortemente debilitata dagli arresti e dalle perdite avvenuti negli ultimi tempi per mano della Guardia Civil (da lì a pochi mesi, il 3 dicembre 1970, si aprirà il processo di Burgos).
A rispondere alle pretese dei militaristi è ancora il fronte ”operaista” che, nonostante l’espulsione di Iturrioz, continuava a permanere nell’organizzazione aspettando la propria opportunità di rivalsa.
Da queste due visioni contrapposte nascerà uno scontro che porterà alla formazione di due gruppi distinti: gli avanguardisti non riconosceranno la legittimità di questa sesta assemblea e si distaccheranno dal movimento creando il gruppo ETA V Asamblea; i ‘vincitori’, gli operaisti, si costituirono attorno al nome di ETA VI Asamblea.
Nei mesi che seguirono l’ultima assemblea la situazione di instabilità interna contribuì a far sì che molti abbandonassero l’ETA. Da una parte ETA V, che deteneva gli armamenti, prese il controllo dell’organizzazione arrivando, nel 1972, ad incorporare nella struttura il gruppo denominato Aintxina, proveniente dall’ala più radicale della gioventù del PNV; dall’altra ETA VI finirà per rimpinguare i partiti dell’estrema sinistra basca, orientando la propria politica su istanze lontane dalla lotta armata e dall’avanguardismo.
Processo di Burgos
Nel frattempo, come visto, si era aperto il processo di Burgos che vedeva alla sbarra 16 etarras considerati un pericolo per il regime spagnolo e perciò finiti sotto processo con l’accusa di ”ribellione generale continuata”. Tra loro anche tre donne e due sacerdoti. L’accusa chiedeva sei condanne a morte e 752 anni di carcere totali.
Due giorni prima del processo ETA sequestrò a San Sebastian il console tedesco Eugen Beihl Schaeffer, condizionando il suo rilascio alla sorte degli imputati. Questo fatto, insieme ad altri, contribuì a dare rilevanza internazionale al caso: manifestazioni in favore del rilascio dei militanti si ebbero in molte zone di Europa e anche nei confini del regime stesso (in Catalogna, ad esempio, trecento artisti e intellettuali catalani si barricarono nell’abbazia di Montserrat per lanciare un appello nel quale chiedevano l’amnistia immediata e il diritto all’autodeterminazione).
Nonostante la mobilitazione la sentenza fu durissima: nove condanne a morte, 519 anni di carcere e multe per un valore di sei milioni di pesos.
Il 30 dicembre, tuttavia, il Consiglio Dei Ministri presieduto da Franco accordò, sotto la spinta dell’opinione pubblica, la conversione delle condanne a morte nella pena immediatamente inferiore, ovvero l’ergastolo. Sette anni più tardi tutti gli etarras finiti alla sbarra furono liberati in ottemperanza all’amnistia generale promulgata dal presidente Adolfo Suárez. I cinque condannati per omicidio (alcuni avevano ricevuto più di una condanna a morte) prima di essere amnistiati furono espulsi dalla Spagna.
Nonostante ETA uscisse rafforzata dall’esito del processo, la situazione interna non vedeva ancora un’uniformità di pensiero. Gli anni 1973-1974 segnarono definitivamente le sorti di ETA e la risposta della popolazione.
Andiamo con ordine. Il Generalísimo Francisco Franco era da tempo malato di parkinson. Da ciò dipese la scelta di organizzare il nuovo assetto della dittatura nel caso egli fosse deceduto improvvisamente. Anche se non c’era niente di ufficiale, la persona designata a prendere il posto dell’ultimo dittatore europeo era il presidente del governo e uomo di fiducia di Franco: l’ammiraglio Luis Carrero Blanco.
La debolezza del regime, che come tutte le dittature si basava sul carisma del proprio leader, era palpabile. Fu allora che un gruppo di etarras della frazione militarista, senza consultare gran parte del gruppo, decise di porre fine alla dittatura in modo spettacolare.
Il 20 dicembre 1973, mentre usciva da una chiesa di Madrid per recarsi al palazzo del governo, Carrero Blanco fu fatto saltare in aria insieme alla sua auto con un’enorme quantità di esplosivo posto sotto il manto stradale. L’esplosione provocò la distruzione delle facciate di due edifici, della citata chiesa e di almeno trenta macchine parcheggiate nei paraggi. Nell’attentato persero la vita anche l’autista e l’agente di scorta. Il veicolo sul quale si trovava l’ammiraglio venne scagliato ad un’altezza di oltre trenta metri, scavalcò un palazzo e ricadde nel giardino di quest’ultimo. Blanco, rinvenuto agonizzante, morì in ospedale poco ore dopo. L’atto, denominato Operación Ogro (Operazione Orco) fu rivendicato dai membri di ETA.
Il franchismo ricevette così il colpo finale, ma l’organizzazione indipendentista non per questo smise di agire. Il 13 settembre 1974 un commando colloca una bomba nel Caffé Rolando di Madrid. I morti sono dodici, tutti civili. ETA non rivendicherà mai questo atto, ma fonti accreditate non lasceranno dubbi sui mandanti.
L’evento del settembre ’74 provocherà nell’organizzazione l’ennesima frattura tra i ”militaristi”, in favore della clandestinità e della lotta armata senza riferimenti politici, e le altre fazioni interne, che vedevano nella struttura politica un importante aiuto per l’azione militare. Da queste correnti sorgeranno ”ETA pm” (politico-militare) e ”ETA m”(militare).
ETA pm, a sua volta, si dividerà in ”ETA pm VII Asamblea”, che finì per dissolversi nel 1981, e ”ETA pm VIII Asamblea” che finirà per essere integrata nel fronte militarista puro sotto la sigla universale ETA. Il 20 novembre 1975, infine, morì anche Francisco Franco e, con lui, la dittatura.
Nonostante la fine del regime franchista e le conquiste ottenute (legalizzazione della ikurriña, legalizzazione dell’euskara, l’amnistia e l’autonomia amministrativa) ETA non cessò la propria attività. L’obiettivo dell’indipendenza, infatti, era ancora lontano.
Nel periodo di transizione, in particolare dal 1977 al 1979, la lotta armata si fece anzi più cruda arrivando, in un primo momento, a inglobare buona parte della gioventù basca.
Ai vertici dell’organizzazione troviamo José Antonio Urrutikoetxea (nome di battaglia Josu Ternera), Francisco Múgica Garmendia, Eugenio Etxebeste (Antxon), Domingo Iturbe Abásolo (Txomin) e José Miguel Beñarán (Argala).
Le azioni perpetrate da ETA seguono sempre due metodologie: da una parte ci sono i rapimenti e gli omicidi di personaggi noti della legge, della politica e della polizia; dall’altra, attraverso l’utilizzo di esplosivi, si prendono come obiettivi zone sensibili delle città. Ciò che spesso non viene ricordato (e ciò non vuole essere una giustificazione) è che gli attentati compiuti dall’organizzazione venivano, spesso, annunciati con anticipo. È il caso, ad esempio, dell’autobomba fatta esplodere il 19 giugno 1987 all’Ipercor di Barcellona. Circa 40 minuti prima, infatti, un membro dell’organizzazione chiamò da una cabina telefonica tre numeri (la Guardia Urbana, Ipercor e il giornale “Avui”) per avvisare di quello che stava per succedere. La zona non venne evacuata e nell’attentato rimasero uccisi ventuno civili e altri cinquanta furono feriti. La popolazione, anche quella rimasta fedele alla causa, prenderà definitivamente le distanze da ETA.
Dalla su fondazione al 2011 (anno in cui l’organizzazione ha rinunciato alla lotta armata) le vittime di ETA sono state oltre 800 (di cui più della metà tra poliziotti e militari), l’ultima delle quali nel 2007.
L’8 Aprile del 2017 , con il comunicato qui sotto, ETA, ormai ridotta a poche unità, si è definitivamente disarmata unilateralmente, consegnando alle autorità competenti la lista dei nascondigli di ogni suo deposito di armi.
Fonti e Approfondimenti
http://www.abc.es/especiales/eta/historia/02.asp
http://www.sapere.it/enciclopedia/ETA+%28gruppo+clandestino%29.html
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