La Dichiarazione sui Difensori dei Diritti Umani: poche vittorie e poche tutele

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

In occasione del 50′ anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nel 1998, veniva adottata dall’Assemblea Generale la risoluzione A/RES/53/144, attraverso cui si portava a compimento un processo durato più di dieci anni dichiarando l’entrata in vigore della Dichiarazione sui difensori dei diritti umani. Venti anni dopo l’adozione di questa dichiarazione molti sono ancora i problemi che la comunità internazionale deve affrontare ogni giorno in varie parti del Mondo per difendere coloro che agiscono in protezione dei diritti umani.

La Dichiarazione nel 1998

La “Declaration on the Right and Responsibility of Individuals, Groups and Organs of Society to Promote and Protect Universally Recognized Human Rights and Fundamental Freedoms”, che viene comunemente abbreviata come “Declaration on Human Rights Defenders”, in quanto Dichiarazione non rappresenta uno strumento legalmente vincolante. Nonostante ciò è stata fortemente voluta in quanto va a stabilire e rimarcare principi e diritti fondamentali, già presenti in altre convenzioni e dichiarazioni, legandoli alla necessità di protezione di una particolare categoria di individui, ossia coloro che agiscono in difesa dei diritti umani e che sono costretti a subire ogni tipo di violenza e abuso.

Come viene riportato dal sito dell’OHCHR , infatti, un Difensore dei Diritti Umani è un individuo che: individualmente o in gruppo agisce per promuovere o proteggere i diritti umani. I difensori dei diritti umani sono identificati soprattutto da ciò che fanno, attraverso la descrizione delle loro azioni  e dei contesti in cui operano.

Tornando ora alla Dichiarazione la peculiarità è rappresentata dal fatto che si rivolga a chiunque, quindi non solo agli Stati o ai difensori dei diritti umani, in quanto, come affermato al primo articolo:


“Tutti hanno il diritto, individualmente ed in associazione con altri, di promuovere e lottare per la protezione e la realizzazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali a livello nazionale ed internazionale.”


E poi ribadito alla conclusione della Dichiarazione:


Articolo 18

1. Tutti hanno doveri verso e all’interno della comunità, nella quale soltanto il libero e pieno sviluppo della loro personalità è possibile.
2. Gli individui, i gruppi, le istituzioni e le organizzazioni non-governative hanno un importante ruolo e responsabilità nella salvaguardia della democrazia, nella promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali e nel contribuire alla promozione e al progresso delle società, delle istituzioni e dei processi democratici.
3. Gli individui, i gruppi, le istituzioni e le organizzazioni non-governative hanno inoltre un importante ruolo e responsabilità nel contribuire, ove appropriato, alla promozione del diritto di tutti ad un ordine sociale ed internazionale in cui i diritti e le libertà sancite dalla Dichiarazione universale dei diritti umani e dagli altri strumenti sui diritti umani siano pienamente realizzati.


Viene quindi sottolineato più volte come ci sia un diritto/dovere globale di agire in difesa dei diritti umani e che questo diritto/dovere non debba essere per nessuno motivo limitato o impedito e, anzi, vada incentivato e aiutato con ogni mezzo possibile.

Analizzando la Dichiarazione nei pochi e pragmatici articoli di cui è composta, si nota immediatamente come essa si vada a inquadrare in una cornice giuridica ben definita, composta dal diritto nazionale e internazionale e dai vari diritti umani che vengono in questi due definiti e tutelati. Ribadendo diritti già stabiliti in altri tipi di strumenti giuridici e sottolineando il fatto che sia totalmente subordinata al rispetto della Carta ONU e della Dichiarazione dei diritti umani (art.4), la Dichiarazione va quindi a svilupparsi in quello che è il suo scopo primario, ossia la difesa e il supporto dei difensori dei diritti umani nell’ambito delle loro missioni e incarichi. 


Dall’articolo 5 fino al 13 vengono, infatti, illustrati e ribaditi tutti i diritti di cui è titolare questa particolare categoria
, che spaziano dal diritto di associazione e riunione, di libertà di pensiero, ai diritti politici e associativi, fino ad arrivare al diritto alla protezione, all’equo processo e all’aiuto internazionale. Tutto ciò nella difesa del diritto primario in questo contesto, ossia quello di esercitare liberamente e senza alcun tipo di ostacolo, la propria professione (art. 11).

A questo elenco di diritti vanno ad accompagnarsi le responsabilità della comunità internazionale e, in particolare, di ogni singolo stato che:


Art 14.1

Lo Stato ha la responsabilità di prendere appropriate misure legislative, giudiziarie, amministrative o di altro genere, per promuovere la comprensione dei propri diritti civili, politici, economici, sociali e culturali da parte di tutte le persone che si trovano sotto la sua giurisdizione.
Gli stati devono inoltre provvedere alla rimozione di istituzioni nazionali indipendenti volte a proteggere i diritti umani, svolgere attività di promozione ed educazione al rispetto e alla difesa dei diritti umani, con il fine di creare una maggiore consapevolezza pubblica a tal riguardo. 


La Dichiarazione 20 anni dopo: poche vittorie e ancora troppi problemi da risolvere

Dopo l’adozione della Dichiarazione diversi sono stati gli incontri, soprattutto tra le organizzazioni non governative, volti a sviluppare meccanismi di controllo e applicazioni più incisive, al fine di ottenere una più completa applicazione di diritti e protezioni ivi previsti. Tra questi di notevole interesse è stato quello avvenuto nel 2000, in cui più di 50 ONG si sono riunite e hanno ribadito la necessità di colmare la mancanza di un meccanismo adatto ad affrontare il problema della protezione dei difensori dei diritti umani. Questa discussione ha portato, infatti, all’approvazione di un testo, la Res 2000/61,  che, con 50 voti a favori e tre astensioni (Cina, Cuba e Rwanda), stabiliva la decisione di nominare per un periodo di tre anni un Rappresentante Speciale che riportasse e analizzasse la situazione dei difensori dei diritti umani nelle varie parti del Mondo.

Nonostante tutti questi sforzi per migliorare la situazione, ad oggi non sembra cambiato molto. Nel 2017, infatti, l’organizzazione Front Line Defenders ha pubblicato un report “Human Rights Defenders at Risk” in cui si riporta che nel corso dell’anno sono stati uccisi più di 312 difensori in 27 diversi paesi del mondo. Tra questi l’80% sono concentrati in quattro paesi principali (Brasile, Colombia, Messico e Filippine) e si tratta nel 67% dei casi di persone impegnate nella difesa delle terre, dell’ambiente e dei diritti delle persone indigene nel contesto di grandi progetti e business e dell’industria estrattiva.

I difensori dei diritti umani vengono quotidianamente diffamati e subiscono ogni tipo di violenza, volte a intimidirli e marginalizzarli. Secondo il report la strategia che viene utilizzata con più frequenza è quella della criminalizzazione, attraverso processi non equi, lunghi e costosi, carcerazione e arresti preventivi. A ciò si accompagnano spesso campagne diffamatorie ben orchestrate, grazie anche al supporto dei mass media di proprietà statale, che contribuiscono a creare una figura distorta del difensore dei diritti umani quale nemico pubblico, permettendone così l’isolamento da parte della popolazione, che spesso arriva a supportare i mass media contribuendo con email minatorie ai danni dei difensori a cui viene affibbiato un target non corrispondente alla realtà. In questo ultimo contesto le vittime sono più donne che uomini.

Il dato più rappresentativo della situazione attuale e che, al tempo stesso, è anche il più sconvolgente, è rappresentato dalla bassissima risposta dei governi nazionali e della comunità internazionale in generale per combattere ciò che accade. Quello che si percepisce è, infatti, un grande senso di impunità, sottolineato ancora di più dal fatto che, nell’84% dei casi di omicidio, i difensori avevano ricevuto minacce e che solo nel 12% dei casi, a seguito di un omicidio, i sospettati sono stati arrestati. 

 

La situazione è quindi ancora molto precaria e molti devono essere gli sforzi atti a sviluppare un meccanismo di protezione più incisivo, soprattutto se si considera, come viene sottolineato anche dal report stesso, che ci si trova in un contesto internazionale sempre più complesso, con un’America guidata da un Presidente che supporta violatori dei diritti umani del calibro di Duterte, un’Unione Europea assente e disattenta, soprattutto nei confronti di Paesi che stanno regredendo come la Polonia e l’Ungheria e situazioni non migliori in Turchia, Egitto e in numerosi paesi del Sud America.

Ci sono, però, alcune speranze per il futuro, rappresentate dalle poche, ma comunque significative, vittorie dei movimenti in favore di diritti umani che hanno portato alla scarcerazione di difensori dei diritti umani in Camerun, Sudan, Tanzania e altri paesi, e dal fatto che, nonostante l’alto tasso di omicidi registrato nel solo 2017, ci si sia un aumento dei Difensori di Diritti umani in diversi paesi del Mondo.

 

 

Fonti e Approfondimenti

Fai clic per accedere a Report_IN_DIFESA_DI.pdf

https://www.osservatoriodiritti.it/difensori-dei-diritti/

https://www.frontlinedefenders.org

ANNUAL REPORT: https://www.frontlinedefenders.org/en/resource-publication/annual-report-human-rights-defenders-risk-2017

DECLARATION: http://www.ohchr.org/EN/Issues/SRHRDefenders/Pages/Declaration.aspx

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