L’azzardo saudita su Israele: i rapporti arabo-israeliani tra pragmatismo e consenso

America latina, USA e Gerusalemme Ovest
@James Emery - wikimedia commons - Licenza: Attribution 2.0 International (CC BY 2.0)

Mohammad bin Salman, il principe ereditario che con le sue azioni sta scuotendo l’assetto del regno saudita nonché delle dinamiche mediorientali, ha recentemente infranto un nuovo tabù. In un’intervista rilasciata alla rivista statunitense The Atlantic, MbS ha, infatti, dato un segnale esplicito a sostegno della normalizzazione dei rapporti tra gli stati arabi e Israele, almeno in parte. Se di primo acchito le sue parole possono essere sembrate scioccanti e azzardate, non si è trattato di una presa di posizione improvvisa, né tanto meno di un cambio di rotta rispetto alle precedenti politiche saudite.

In realtà, agli occhi pragmatici del mondo arabo (sunnita) Israele si è trasformato gradualmente da “problema” a partner: sono diverse le circostanze in cui ormai gli interessi di alcuni stati arabi e dello stato ebraico coincidono, mentre l’irrisolta questione palestinese non sembra più occupare il posto prioritario che un tempo deteneva nelle faccende mediorientali.

Relazioni arabo-israeliane

Negli ultimi anni, infatti, diversi stati arabi hanno cooperato con Israele in ambiti che spaziano dalla sicurezza alla condivisione di risorse naturali. Nonostante molti degli impegni siglati siano rimasti volontariamente nell’ombra, si erano già presentate occasioni nelle quali sembrava evidente la possibilità e/o la volontà di un avvicinamento tra le parti, storicamente in conflitto fra di loro.

Il conflitto risale alla nascita di Israele e al rifiuto da parte del mondo arabo di riconoscere l’istituzione dello Stato Ebraico, che continuò ad essere visto come un intruso straniero e “passeggero”, anche dopo la sua vittoria nella guerra di indipendenza del 1948. Con la fondazione dell’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) nel 1964, gli stati arabi sposarono la causa palestinese, che fino a quel momento era rimasta solo uno dei tanti terreni di scontro tra le due fazioni, e ne fecero la principale arma contro lo Stato di Israele. Ciò permise ai regimi di incanalare i malcontenti interni verso un nemico esterno comune e, quindi, di rafforzare l’“identità araba”, in un contesto comunque caratterizzato da una moltitudine di differenze etniche, religiose, nonché tribali.

L’impegno a sostegno delle istanze palestinesi, quindi, è sempre stato tutt’altro che disinteressato e spesso si è concretizzato in maniera ambivalente. Per fare alcuni esempi, basta pensare al trattamento riservato ai palestinesi all’interno di altri stati arabi, dove sono spesso considerati come cittadini di serie b, oppure al disimpegno dell’Egitto nei confronti della Striscia di Gaza già prima che questa venisse conquistata da Israele nel 1967.

Nel corso del tempo, tuttavia, la questione palestinese ha perso la sua rilevanza a causa di una serie di sfide che sono emerse nello scacchiere mediorientale, tra cui le recenti vicende legate a Libia, Siria, Yemen, ISIS, ecc., nonché l’inabilità e l’inconsistenza dimostrate dai leader palestinesi stessi, soprattutto per quanto riguarda la lotta politica intestina. Se quindi da un lato l’interesse verso le istanze palestinesi da parte del mondo arabo sunnita è diminuito, dall’altro sono aumentate le opportunità per una cooperazione tra i paesi arabi e lo stato ebraico.

Esistono prospettive in diversi settori, come quello economico e degli investimenti, per cui peraltro sono già stati firmati alcuni accordi di cooperazione, nonché di attività congiunte legate al cambiamento climatico e nel campo della sicurezza, ad esempio in chiave anti-ISIS come accade nel Sinai.

Normalizzazione e consenso

La direzione pare dunque essere quella della normalizzazione delle relazioni tra gli stati. Persiste però un problema non indifferente: l’opinione pubblica araba. Mentre i regimi arabi sunniti hanno tutti gli interessi a normalizzare i rapporti prima della risoluzione del conflitto israelo-palestinese, che si trova ormai in una impasse, l’opinione pubblica potrebbe percepire il fatto come un tradimento della causa palestinese e in generale della retorica pan-araba sfruttata in passato. Da ciò dipende la stabilità interna dei singoli stati coinvolti, nonché quella regionale.

È sicuramente sensibile all’argomento il Regno saudita, custode dei Luoghi Santi di Mecca e Medina, che non è di certo nella posizione di poter disattendere le aspettative dei musulmani che dal 1948 continuano a credere nella possibile liberazione della Palestina. Per questo motivo, nonostante l’Arabia Saudita abbia sempre seguito la linea della normalizzazione filo-statunitense, il suo atteggiamento è sempre stato cauto.

Un primo riavvicinamento tra Israele e Arabia Saudita era stato operato nel 2002, in piena Intifada, con la proposta di un piano di pace da parte dall’allora erede al trono Abdullah al Saud (l’Iniziativa di pace araba). Questa prevedeva una soluzione politica al conflitto arabo-israeliano richiedendo ad Israele, in cambio di un trattato di pace e della normalizzazione dei rapporti con i paesi arabi, di ritirarsi dai territori occupati nel 1967 (Golan, Striscia di Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme Est), trovare una soluzione sulla questione dei rifugiati palestinesi e consentire la formazione di uno stato sovrano e indipendente di Palestina. La proposta tuttavia venne rifiutata.

Prudenza e nuove convergenze

Le nuove dichiarazioni di MbS, quindi, non sono altro che l’ultimo atto di un processo di avvicinamento verso lo stato ebraico a cui il giovane principe – perfettamente in linea con le sue politiche – ha palesemente offerto nuove aperture. L’avvicinamento tra i due stati si deve leggere anche in chiave anti-Iran, il “nemico comune”, che MbS annovera in quello che definisce il “triangolo del male” (nella fattispecie: il regime iraniano, la Fratellanza Musulmana e il terrorismo – ISIS e Al Qaeda).

Le parole del principe sono state le seguenti: “Credo che ogni popolo abbia il diritto di vivere pacificamente nella propria nazione. Credo che sia i palestinesi che gli israeliani abbiano diritto alla loro terra”. Una dichiarazione un po’ meno scioccante alla luce dell’evolversi delle relazioni tra il regno e lo stato ebraico; la linea saudita è supportata da altri stati arabi, come UAE, Bahrein, Egitto, Giordania, sebbene non trovi il consenso del resto degli stati a maggioranza musulmana che fanno parte dell’OIC (l’Organizzazione della Cooperazione Islamica).

Per quel che riguarda le sorti del conflitto israelo-palestinese, sembra che bin Salman sostenga un nuovo processo di pace formulato da Jared Kushner, i cui dettagli non sono ancora stati resi noti. Tuttavia, data la vicinanza dell’amministrazione Trump nei confronti di Israele, rimane da vedere quanto questo nuovo accordo possa giovare egualmente a entrambe le parti in gioco.

 

Fonti e approfondimenti

https://www.theatlantic.com/international/archive/2018/04/mohammed-bin-salman-iran-israel/557036/

http://www.limesonline.com/la-normalizzazione-tra-arabia-saudita-e-israele-non-e-piu-un-tabu/105814

https://www.foreignaffairs.com/articles/israel/2018-01-26/israel-and-arab-states

https://www.cfr.org/blog/saudis-and-israel-1

https://www.aljazeera.com/programmes/upfront/2017/11/saudi-arabia-danger-region-171117084122989.html

https://eastwest.eu/it/opinioni/open-doors/arabia-saudita-stati-uniti-conflitto-israele-palestina-kushner-bin-salman

 

Leave a comment

Your email address will not be published.


*


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: