Le immagini dell’atterraggio dell’ayatollah Khomeini all’aeroporto di Teheran, il primo febbraio di quarant’anni fa, sono passate alla storia. Quel momento rappresentò il primo trionfo sullo Scià di Persia e fu seguito dalla seconda rivoluzione, che annichilì le fasce più laiche e socialiste dei moti che da mesi infiammavano quella che sarebbe diventata la Repubblica Islamica dell’Iran. Oggi, nel quarantesimo anniversario dell’evento, si vedono riaffiorare condizioni, idee e situazioni presenti anche allora, utili nell’analizzare la direzione che sta prendendo il Paese.
Le cause della Rivoluzione saranno la sua fine?
Tra le molte cause che hanno innescato la rivoluzione del 1979 vi sono sicuramente le disuguaglianze sociali e la repressione politica. Mentre infatti una parte del Paese prosperava, un’altra andava sempre più perdendo il proprio benessere, la propria ricchezza, e sentiva crescere un senso di deprivazione e frustrazione. Tutto questo era accompagnato da violenza e repressione costante.
I dati attuali ci raccontano di una situazione molto simile. Un’analisi dell’Atlantic Council riporta esattamente questi fatti: viene infatti detto che se da una parte la povertà assoluta è stata quasi completamente eradicata, la povertà relativa resta un problema molto diffuso. A questo si può aggiungere un dato molto interessante: metà della ricchezza della nazione è concentrata nelle mani del quintile più ricco (che corrisponde al 20% della popolazione). Nel frattempo, l’economia non cresce come dovrebbe: continua a essere trascinata dalle esportazioni di petrolio, mentre soffre in modo pesante le numerose sanzioni imposte al Paese.
Questa situazione porta grande malcontento e una nuova frustrazione che il governo non sembra riuscire a risolvere: paiono così riaffiorare quegli stessi sentimenti che abbiamo visto nel ’79. Le promesse dei progressisti dell’«onda verde» del 2009 si sono spente con la repressione da parte del governo, e le promesse del “moderato” Rouhani sono invece crollate con l’elezione di Trump e i veti incrociati di Pasdaran e religiosi.
Questi due fatti hanno dato l’ennesima spallata a una popolazione che si sente in grande difficoltà. Il membro del Parlamento Jafarzadeh Imanabadi ha più volte affermato che il Paese avrebbe bisogno di una nuova rivoluzione, non politica ma economica, con una riforma del sistema bancario e del rapporto di dipendenza dal petrolio.
In tutto ciò, le cronache dalla prigione di Evin, luogo dove vengono tenuti prigionieri e oppositori politici a Teheran, parlano di una repressione che non si ferma e che, nell’ultimo periodo, è addirittura aumentata. Frustrazione, politiche redistributive quasi nulle e repressione politica sono un mix pericoloso, in particolare per un Paese che non è nuovo a rivoluzioni.
Il disegno di politica estera khomeinista si è compiuto?
Se la crisi interna sembra preoccupante, la posizione in politica estera pare, invece, non essere mai stata così forte. Il sogno di Khomeini di esportare la rivoluzione all’estero sembra essere in via di compimento, e senza nemmeno usare le tecniche e le strategie che l’ayatollah aveva immaginato.
Il Leader Supremo aveva dettato una direzione a testa alta, sfidando apertamente i nemici del Golfo: un’immagine che può esser facilmente capita guardando allo scontro con l’Iraq negli anni ’80. Gli iraniani, nonostante fossero stati aggrediti, hanno sempre poi usato tecniche aggressive, facendo uso per esempio degli assalti alla baionetta contro gli iracheni, e mantenendo tale approccio anche in diplomazia.
A quarant’anni anni dalla rivoluzione, l’Iran ha lasciato lo scontro per una tecnica da ventre a terra: ha costruito negli ultimi decenni una strategia efficace che, come dicono fonti americane, gli ha permesso di influenzare quattro capitali mediorientali (in Yemen, Siria, Libano e Iraq). In questo momento Teheran va considerato nel novero degli attori principali nella geopolitica dell’area, ma bisogna sottolineare come questo abbia allo stesso tempo esposto l’Iran.
La guerra in Siria e le influenze in Iraq e Libano hanno condizionato e stanno tuttora condizionando le scelte dei Paesi della regione e non, i quali si vedono costretti a prendere una decisione su Teheran. Se per adesso la strategia iraniana è riuscita a tenere insieme un’alleanza tra Russia, Turchia e Siria, con la fine dell’urgenza della guerra nel Levante questo potrebbe risultare più difficile. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti, i Paesi del Golfo e i Paesi europei stanno iniziando ad analizzare con maggiore attenzione le strategie e a predisporre contromisure importanti.
Proprio tali contromisure stanno portando grande caos all’interno della Rivoluzione. Quando non tutti gli obiettivi possono essere raggiunti, bisogna scegliere; ma i vari centri di potere iraniani vogliono tutti vedere il proprio interesse in cima alla lista. I leader sciiti, alla cui guida vi è il leader supremo Khamenei e i conservatori religiosi come Ebrahimi Raisi, vorrebbero cristallizzare l’attuale situazione; i Pasdaran e i militari, invece, vorrebbero affondare ancora di più il colpo, magari destabilizzando altri Paesi. Attualmente i riformisti veri e propri non hanno alcuna presa sul governo, mentre i moderati di Rouhani, che vorrebbero riaprire il dialogo con europei e americani, sembrano essere i più in difficoltà di tutti.
Che ruolo vi è nella Repubblica per i religiosi, i Pasdaran e i moderati?
Il Presidente, in effetti, sembra essere sempre di più all’angolo: la chiusura dell’Occidente sta uccidendo le sue politiche, mettendo in crisi totale quella promessa di benessere economico che lo ha portato a vincere nelle varie tornate elettorali. I riformisti islamici lo hanno abbandonato dopo che questi non si è opposto a una nuova tornata di repressione nel Paese contro di essi, mentre i riformisti laici, dopo il 2009, centellinano il loro peso politico.
I due poteri forti, quello religioso e quello paramilitare, che fino a questo momento erano andati molto d’accordo, sembrano aver intrapreso la strada del confronto. Da una parte vi sono i religiosi che, va sottolineato, mantengono la presa sulla ricchezza del paese, essendo ai vertici delle fondazioni statali, e hanno una forte influenza sulla parte anziana della popolazione, cioè quella che ancora vive nel mito della rivoluzione e conserva la memoria delle torture dello scià. L’altro potere è invece quello paramilitare delle varie sigle connesse ai Pasdaran: questi hanno come vantaggio il controllo delle grandi industrie e sono saliti alla ribalta grazie allo scontro in Siria.
La retorica iraniana ha infatti cantato le lodi di questi soldati, che nella propaganda di Teheran combattono per difendere il proprio Paese dai terroristi. Nell’immaginario collettivo, i generali come Qassem Soleimani sono diventati degli eroi, sempre più staccati dal lato religioso e sempre più legati al ramo nazionale. Questo fatto sta consegnando nelle loro mani il potere di attrarre verso il sogno nazionalista la parte di popolazione giovane, frustrata, che dà la colpa del proprio fallimento economico ai leader attuali, all’Occidente, ma non all’Iran.
A quarant’anni dalla rivoluzione iraniana, il Paese, nonostante sul piano esterno si sia rafforzato, sembra mostrare ancora criticità e debolezze strutturali. Durante gli anni di Obama, la popolazione iraniana aveva mostrato come vi potesse essere la possibilità di un contagio democratico, dato dal rapporto con gli USA, in grado di aprire la corazza del Paese mediorientale; tuttavia, con la chiusura di Trump, questa esperienza sembra essere finita. Il ’79 sembra essere lontano, ma le sue dinamiche devono essere tenute in mente da tutti gli attori dentro e fuori il Paese.
Fonti e approfondimenti
Al Monitor, Revolution at 40: Same old structural problems still plague Iran, Febbraio 11, 2019: https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2019/02/iran-revolution-40th-anniversary-economic-goals-republic.html
Atlantic Council, Iran’s Economic Performance Since the 1979 Revolution, Febbraio 11, 2019: https://www.atlanticcouncil.org/blogs/iransource/iran-s-economic-performance-since-the-1979-revolution
IAI paper, Winning Back the “Left Behind”: Iran’s New Nationalist Agenda, Emanuele Bobbio, Maggio 2018, https://www.iai.it/it/pubblicazioni/winning-back-left-behind-irans-new-nationalist-agenda.
Al Monitor, Revolution at 40: Have Iranian regional policies come full circle?, , Febbraio 11 2019, https://www.al-monitor.com/pulse/originals/2019/02/iran-revolution-republic-regional-policies-shah-iraq-syria.html