L’asse di ferro che domina la Siria

Siria
@Martijn Munneke - wikimedia commons - Licenza: Attribution 2.0 International (CC BY 2.0)

L’attacco americano alle installazioni siriane per la produzione di armi chimiche ha riportato per pochi minuti l’Occidente sul tavolo delle potenze che contano in Siria, per poi immediatamente lasciarlo quando si è scoperto che l’attacco era stato annunciato e che le installazioni erano totalmente vuote. L’alleanza più o meno stabile di Arabia Saudita, Giordania, Egitto e mondo occidentale ha condizionato le questioni principali del mondo mediorientale negli ultimi dieci anni, ma ormai sembra chiaro che una nuova alleanza sta diventando egemone nella regione: quella tra Turchia, Iran e Russia.

Russia, Turchia e Iran e le loro politiche estere realiste

Putin, Khamenei (a volte sostituito da Rohani) e Erdogan sono ormai i tre protagonisti centrali della crisi siriana e di conseguenza risultano essere la forza principale all’interno del quadro mediorientale. A guardarli bene i tre non sembrano essere invincibili, non hanno alle loro spalle quella forza militare o economica incontrastata, come hanno avuto i presidenti americani della Golden age quali Reagan o Bush. I tre hanno però le tre caratteristiche principali che Neumann assegna al suo “Attore razionale” in politica estera.

 

La prima è la ricerca di obbiettivi realistici e limitati fortemente incentrati sulla Ragion di Stato e compatibili con i mezzi a propria disposizione. Prendiamo tre esempi, uno per ognuno di questi attori, per chiarire e mostrare questo aspetto. Iniziamo dalla Russia, Putin non ha mai cercato di invadere il pezzo di paese controllato dai ribelli siriani, né tantomeno ha ideato una strategia che portasse a una vittoria immediata e totale. Il presidente russo ha invece sostenuto un impegno costante e graduale, senza porre alcun limite all’uso dei bombardamenti. Ha stretto accordi con gli Americani, quando ha potuto, e ha utilizzato ogni mezzo disponibile per raggiungere obbiettivi che erano stati definiti in anticipo, nell’ottica non di portare a casa una vittoria totale, ma in quella di garantirsi l’unico elemento a cui è interessato realmente: il mantenimento di Assad al potere.

Per l’Iran e la Turchia vale lo stesso ragionamento. Il primo aveva come principale obiettivo lo stesso dei Russi, mantenere in vita il governo di Assad. Per fare questo ha impiegato i suoi uomini con ogni mezzo, capendo anche quanto fosse necessario limitare la visibilità del proprio intervento per evitare di dare un pretesto agli Occidentali e agli Israeliani per intervenire. La Turchia forse è stata quella che dopo la sconfitta dell’ISIS ha seguito con più attenzione questa fede realista in politica estera. Ha chiaramente individuato come suoi antagonisti i curdi di Afrin e ha scatenato su di essi tutta la sua forza, scendendo a patti con coloro che fino a due anni fa sembravano i suoi peggiori nemici: la Russia di Putin (ricordiamoci il jet russo abbattuto) e il regime siriano (più volte minacciato da Ankara).

 

La seconda caratteristica del attore razionale in politica estera è quella di scegliere sempre i mezzi giusti per raggiungere i propri obiettivi. Questo è limpido nel comportamento dei tre paesi che stiamo analizzando. La Russia ha capito immediatamente che l’unico modo per difendere il regime Siriano era l’intervento armato, ha aspettato il tempo giusto per prepararsi e poi ha colpito, senza perdere neanche un minuto nella scelta di una soluzione differente. Erdogan invece è un esempio del motto “Se non riesci a batterli, unisciti a loro”. Quando nel 2015 il paese si è trovato nel mezzo tra mondo occidentale e l’unione di convenienza Russia e Iran, ha immediatamente capito che la strada meno costosa era la seconda. Ha ripianato i propri debiti con Putin, si è prostrato e adesso può permettersi il suo atteggiamento solo per il placet che arriva dal Cremlino. L’Iran è la forza che meno sorprende abbia questa caratteristica. Dopo anni di sanzioni americane, privazione e occhi puntati ha capito molto bene di dover scegliere i mezzi giusti per raggiungere i propri obiettivi. Nel suo caso Hezbollah e la sua esperienza di guerra irregolare è stata la chiave per il regime iraniano per difendere un bastione a lungo protetto come la Siria.

La terza caratteristica è invece data dalla grande flessibilità a cui questi tre attori internazionali sottopongono i propri obbiettivi. Questo significa che per loro non esistono punti inaccettabili, tutto è trattabile, tutto è negoziabile (al giusto prezzo). La Russia ha dimostrato questo nel suo atteggiamento verso il regime siriano nell’ultimo anno. Putin ha incominciato a capire che il suo coinvolgimento, in una modalità simile a quella del 2017, avrebbe portato ad un conflitto con gli Stati Uniti e che questo avrebbe complicato il suo tragitto verso il conseguimento del suo successo. Di conseguenza ha ridimensionato le sue aspettative, accettando di mantenere il regime siriano instabile per altro tempo pur di evitare uno scontro frontale con gli USA. La Turchia è forse quella che più ha dovuto ridimensionare le proprie mire. Tutti sanno che il supporto che il regime siriano ha dato alle forze ribelli, e anche all’ISIS, era in parte visto in previsione della costruzione di un futuro governo filo-turco post-Assad. Questa visione è dovuta necessariamente cambiare e Erdogan ha dovuto non solo accettare  la sopravvivenza di Assad, ma è anche dovuto scendere a patti con questo pur di poter lanciare la sua operazione Ramoscello di Ulivo. L’Iran è quello che forse ha dovuto ridimensionare di meno i propri obiettivi, perché in realtà da sempre adotta questa linea scegliendo traguardi a breve distanza e limitati.

 

Le caratteristiche dell’alleanza e le tensioni al suo interno

Il socio di maggioranza in questo gruppo è sicuramente la Russia di Putin, principalmente per la capacità militare e soprattuto per la sua capacità di operare in scenari differenti e lontani dai suoi confini. Turchia e Iran sono soci di minoranza, ma come in tutte le alleanze del Medio Oriente sono i soci minori a tirare il maggiore per il bavero della giacca. Teheran e Ankara contano moltissimo per Mosca in quanto sono gli unici che in realtà fanno il lavoro sul terreno permettendo alla Russia di gestire i cieli e l’arena diplomatica internazionale.

 

Allo stesso tempo è necessario capire come questa alleanza mantenga al proprio interno delle problematiche che potrebbero farla saltare da un giorno all’altro. La più grande di queste criticità è contenuta nelle tre caratteristiche, perché ognuna delle tre potenze potrebbe trovare più vantaggioso rompere l’alleanza per trovare più guadagni in altre linee diplomatiche. Allo stesso tempo vi sono delle fratture importanti, di fatto questo accordo è temporaneo e di convenienza attuale.

 

Iran e Turchia sono infatti due competitor nell’area regionale. In questo momento hanno trovato un accordo ma nei prossimi mesi qualcosa potrebbe cambiare con il futuro di Iraq e Libano, che andranno a votare a maggio, sul piatto. Nel caso in cui l’Iran trovi conveniente scendere a patti con i Curdi potrebbe rendere la situazione  molto tesa. Dalla parte della Turchia il rischio più grande sono le mire personalistiche di Erdogan. Questi infatti ci ha dimostrato come per lui è facile cambiare fronte e alleanza: l’occasione potrebbe arrivare da una rinnovata proposta di pace da parte dell’Arabia Saudita di Bin Salman, magari un offerta di un posto centrale al tavolo dell’alleanza sunnita pro-occidente.

L’Occidente tramonta sul deserto siriano

In tutto questo le potenze europee e occidentali sembrano sempre di più le imitazioni sbiadite di quelle che una volta erano. Le sorti del Medio Oriente si decidono sempre più ad Oriente, come ad Astana dove si incontrano i vertici di Iran, Iraq e Russia, e sempre di meno ad Occidente, come a Ginevra dove l’ONU e il mondo occidentale cercano di incastrare una pace tra le parti siriane in lotta.

 

La domanda che alcuni si pongono è se per ritornare in auge in Medio Oriente le forze europee dovrebbero avere un comportamento più simile a Russia, Turchia e Iran. Ci si chiede di conseguenza se sia lecito accettare il bombardamento di civili nel caso in cui garantisse un sicuro raggiungimento dei propri obbiettivi. La risposta è complessa e difficile, ognuno conosce la propria. Credo che la migliore sia quella che rispetti i valori fondanti di uno stato: le democrazie liberali europee possono tornare ad essere protagoniste in Medio Oriente solo capendo i propri limiti e rispettando la propria identità. 

 

Fonti e approfondimenti:

https://www.washingtonpost.com/world/iran-russia-and-turkey-meet-over-syrias-future-as-trump-mulls-troop-withdrawal/2018/04/04/c607e27c-3770-11e8-af3c-2123715f78df_story.html?noredirect=on&utm_term=.ab8287bb590b

https://www.theguardian.com/world/2017/nov/22/iranian-and-turkish-leaders-arrive-in-russia-for-syria-talks-with-putin

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