L’Iran si è svegliato diverso all’indomani dell’annuncio del Presidente Trump di uscire dall’accordo sul nuclerare. Il JCPOA (Joint Comprehensive Plan of Action) che doveva risolvere i problemi del paese, togliere le sanzioni e ridare visibilità internazionale a Teheran è finito. Nell’agone politico questa situazione ha riaperto le ferite che già si erano prodotte nel 2015, con un solo grande cambiamento: la firma del JCPOA era stata l’arma in più dei moderati pragmatisti, la sua fine è il regalo di Donald Trump ai conservatori iraniani.
Le speranze infrante
La popolazione Iraniana all’indomani dell’accordo era scesa nelle strade di Teheran per festeggiare. Non vi erano state grandi manifestazioni, ma i giovani si erano dati appuntamento per gioire di un accordo che doveva portare dei risultati molto chiari: lavoro, benessere e libertà di movimento internazionale. Alcuni osservatori internazionali avevano parlato di un primo step verso un Iran democratico, si era sentito parlare di “contaminazione democratica”, fenomeno secondo cui uno stato che si apre e ha rapporti con altre democrazie tende a diventare una democrazia.
Tutto questo era arrivato nelle orecchie della popolazione iraniana e anche i più strenui difensori della Repubblica Islamica avevano in qualche modo accettato o appoggiato l’accordo. Gli unici che l’avevano fermamente condannato erano stati i militari e i gruppi paramilitari, tendenzialmente perché la trasformazione dell’economia iraniana da sommersa a legale, come parte dell’accordo prevedeva, minava profondamente i propri imperi economici nazionali. L’unica minaccia che era stata fatta all’indomani dell’accordo era una sola, ed era stata pronunciata anche abbastanza duramente dall’amministrazione Obama e dagli Europei: infrangete l’accordo e sarà chiusa ogni possibilità di dialogo sugli stessi termini.
A tre anni dalla firma del trattato, tutte le agenzie internazionali preposte hanno confermato che gli Iraniani hanno mantenuto pienamente le promesse da esso richieste. Anche la CIA lo ha sostenuto con la formula negativa “non ci sono prove che l’Iran non abbia rispettato le misure dell’accordo”. Gli unici che non hanno rispettato le misure sono stati gli Stati Uniti e gli Europei. A posteriori infatti si può notare come il punto 5 dell’accordo non sia mai stato rispettato.
V. This JCPOA will produce the comprehensive lifting of all UN Security Council sanctions as well as multilateral and national sanctions related to Iran’s nuclear programme, including steps on access in areas of trade, technology, finance and energy.
Le sanzioni del Consiglio di Sicurezza sono state tolte immediatamente come effetto giuridico, ma tutti i paesi hanno mantenuto all’inizio le proprie sanzioni per poi ridurle gradualmente, come hanno fatto gli Europei, o per non ridurle affatto come hanno fatto gli Stati Uniti.
Oltre a questo dato, rilevante è la questione delle minacce. Il motivo principale per cui l’accordo risulta di difficile applicazione risiede nel continua incertezza creata dagli USA. Le banche di conseguenza, non vogliono rischiare i loro capitali, vista la prospettiva di una immediata chiusura del trattato e il possibile congelamento dei fondi del Tesoro Americano.
L’annuncio di Trump cambia l’Iran
Ora che l’accordo sembra finito, gli Iraniani hanno cambiato la propria visione del mondo esterno: è passato il momento in cui la gente festeggiava alla vista di Zarif che stringeva la mano a Kerry. Adesso la visione è totalmente diversa, la disillusione e la diffidenza verso l’occidente è totale e non ne mancano le ragioni. Nonostante tutti gli sforzi fatti dall’Iran sia per preparare le condizioni ad entrare nel WTO, sia per mantenere le promesse contenute nel JCPOA, niente è servito per tenere gli USA nell’accordo. Inoltre, il fatto che Trump abbia citato Israele e le sue prove durante il discorso di uscita dall’accordo e che l’Arabia Saudita abbia avuto molta voce in capitolo nelle vicende ad esso riguardanti, fa sembrare ancora di più agli occhi degli Iraniani che gli USA abbiano solo voluto frenare l’espansione iraniana a favore dei propri alleati.
Questa visione è proprio quella che stanno cavalcano i conservatori iraniani, sebbene in modo diverso dentro le loro varie fazioni. Il tema comune che i media conservatori stanno passando è che l’accordo con gli Stati Uniti e l’Occidente sia l’unica vera ragione alla base dell’attuale periodo negativo dell’economia iraniana. Viene sostenuto che il governo di Rouhani aprendo in parte l’economia abbia fiaccato le energie interne della nazione. Questo discorso ha due obiettivi principali: il primo è quello di distruggere la credibilità del Presidente, mentre il secondo è quello di nascondere il fatto che una delle cause delle cattive prestazioni del settore economico iraniano sono le larghe parti di economia sommersa, legata proprio ad ambienti conservatori.
Due sogni per l’Iran conservatore del futuro
Dati per buoni questi due punti, sul terzo obiettivo i conservatori si dividono. I due contendenti sono Raisi, leader dei clerici conservatori, e Soleimani, generale delle forze iraniane in Medio Oriente.
Il primo vede nella fine dell’accordo il momento di rilancio per un gruppo che sembra avere sempre meno peso tra la popolazione, ma che comunque mantiene tutte le posizioni di potere nel paese. L’idea di Raisi è quella di usare questa vicenda per lanciare una nuova offensiva mediatica verso l’Occidente tornando alle origini della Rivoluzione. La vittoria di Hezbollah in Libano e la possibile vittoria degli sciiti in Iraq potrebbero significare l’inizio di nuova grande fase di espansione del messaggio rivoluzionario sciita. Inoltre, spera che il tradimento dell’Occidente sia di buon auspicio per i conservatori all’interno che potrebbero riavere la presidenza alla prossima tornata e riazzerare le concessioni fatte alla popolazione verso certi costumi occidentali.
Se Raisi vede in questa realtà una prospettiva per restaurare, molti sostengono che Soleimani sia pronto a rivoluzionare il tavolo. I militari sono convinti che il paese sia sempre più vicino ad una fase di conflittualità intensa, di nemici ce ne sono molti da Israele agli Stati Uniti passando per l’Arabia Saudita. Questo significherebbe la necessità che il paese sia guidato da un militare e per questo stia preparando la sua ascesa alla Presidenza. Le forze armate, e in particolare le milizie, in Iran hanno sempre avuto un peso centrale, ma mai hanno avuto un Presidente che proveniva dai loro più alti quadri.
Molti temono questa possibilità perché la popolarità di Soleimani e la fedeltà che gli è dovuta dalle forze armate potrebbero trasformarlo nel giocatore principale dell’Iran. I conservatori religiosi temono la possibilità che venga eletto un Leader Supremo debole e che Soleimani diventi presidente perché potrebbe essere il primo passo verso un sorpasso della figura presidenziale su quella religiosa, traghettando il paese verso una dittatura militare più che una Repubblica Islamica.
Fonti e Approfondimenti:
http://www.atimes.com/article/axis-of-atoms-washington-tehran-and-pyongyang/