Baghdad nella disputa tra Washington e Teheran

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

di Samir Paravicini

Iran e Iraq, oltre alla prossimità geografica, sono Paesi legati da molteplici fattori: una storia condivisa, risalente ai tempi dell’Impero persiano e del Califfato abbaside, rende Baghdad più vicina a Teheran di quanto si possa pensare. Sebbene i due Stati si siano dissanguati durante la più recente guerra del 1980-88, iniziata in seguito al tentativo del governo di Saddam Hussein di annettere la regione di Shatt al-Arab, oggi Baghdad e Teheran sono a tutti gli effetti alleati strategici.

Gli interessi di entrambi i Paesi, infatti, convergono in diversi settori, da quello economico a quello energetico, nonché in ambito di sicurezza e lotta al terrorismo. Mentre le figure politiche iraniane stanno cercando di intensificare e potenziare le relazioni economiche con i propri Stati confinanti, queste si stanno al contempo scontrando con le pressioni provenienti da Washington.

 

Culla dello sciismo

Iran e Iraq sono legati innanzitutto dall’aspetto religioso. Circa il 60% degli abitanti iracheni e il 90% di quelli iraniani professa infatti la fede sciita, i cui principali centri del sapere sono identificati nelle città di Qom, in Iran, Najaf e Karbala in Iraq. In queste ultime due sorgono inoltre i mausolei degli imam Ali e Hussein, che costituiscono un punto di riferimento per i pellegrinaggi dei fedeli sciiti: ogni anno durante l’Ashura, un’importante ricorrenza religiosa islamica sciita, milioni di iraniani si recano presso i mausolei delle due città irachene, generando tra l’altro importanti introiti per il settore turistico.

 

Le milizie sciite

L’Iran riesce a esercitare una certa influenza sulla scena politica irachena grazie al sostegno a numerose milizie presenti sul territorio. All’indomani della Rivoluzione del 1979 nacquero infatti diverse milizie sciite e movimenti politici iracheni in opposizione al regime di Saddam Hussein: nel corso degli anni questi hanno trovato un appoggio crescente da parte della Repubblica Islamica, appoggio che si è intensificato ancora di più a seguito dell’invasione americana del 2003 a la caduta di Saddam. Più recentemente, poi, si è assistito alla formazione delle Forze di Mobilitazione Popolare (FMP),  o Hashd ash-Shaabi, costituitesi in risposta all’appello al jihad contro lo Stato Islamico pronunciato dall’Ayatollah al-Sistani nel 2014. Le FMP sono formate da un insieme di circa settanta milizie prevalentemente sciite, alcune nate solo recentemente, altre presenti da tempo sul territorio; queste forze sono armate, finanziate e coordinate da consiglieri militari iraniani e obbediscono al comandante delle Forze Al-Quds, Qassem Soleimani.

 

Le potenzialità del mercato iracheno agli occhi di Teheran

Dal momento che la presidenza Trump ha deciso di reintrodurre le sanzioni contro la Repubblica Islamica e ritirarsi dal JCPOA, Teheran sta cercando di rafforzare i legami con i Paesi confinanti nel tentativo di evitare ricadute negative sulla propria economia. Non a caso, all’alba della sconfitta dello Stato Islamico, la collaborazione tra la Repubblica Islamica e l’Iraq in materia di sicurezza si sta rapidamente allargando ad altri settori che coinvolgono energia, turismo, commercio e infrastrutture, nonché alla creazione di zone di libero scambio nei territori di confine.

Lo scorso marzo il presidente iraniano Hassan Rouhani si è recato in Iraq in visita ufficiale per incontrare diverse figure politiche, militari e religiose – compresi alcuni rappresentanti della comunità sunnita: durante i colloqui, Rouhani e le parti irachene hanno discusso diversi accordi, tra cui l’abolizione delle spese per visti; la costruzione di una linea ferroviaria tra Shalamcheh e Bassora; la creazione di una banca bi-nazionale, al fine facilitare le operazioni commerciali tra i due Paesi; la costruzione di centri medici nelle zone di confine; l’aumento della produzione di gas iracheno con il coinvolgimento di diverse compagnie iraniane; e così via.

Rouhani ha poi insistito sull’interesse da parte iraniana di incrementare il volume degli scambi commerciali tra i due Paesi nel prossimo futuro, che aumenterebbero idealmente dai 12 ai 20 miliardi di dollari annui. Un obiettivo realistico, se si considera che l’Iraq costituisce la destinazione principale dei prodotti iraniani non derivati del petrolio. Solo tra marzo e dicembre 2018 si è registrato un aumento del 48% delle importazioni dall’Iran. Inoltre, la Repubblica Islamica si posiziona al quarto posto come destinazione delle esportazioni irachene.

Le compagnie iraniane stanno anche cercando di assicurarsi una fetta di mercato nella ricostruzione delle città irachene. Apparentemente, Teheran vorrebbe ritagliarsi un ruolo di spicco all’interno dell’economia irachena, con l’obiettivo di riuscire a influenzarne anche le decisioni politiche e contrastare l’influenza americana. In tale contesto, attualmente sono al vaglio 49 progetti tecnici in diversi settori, dall’edilizia residenziale all’energia, passando per infrastrutture e trasporti in territorio iracheno.

Per quanto riguarda la produzione di energia elettrica, l’Iraq non può fare a meno del gas iraniano. La dipendenza di Baghdad dall’importazione di gas per generare energia è stata uno dei motivi che ha portato il presidente Trump a rimandare l’applicazione delle sanzioni di tre mesi.

Nel Parlamento iraniano sono attualmente in attesa di approvazione i progetti per la costituzione di due zone di libero scambio vicine al confine, una a Mehran e l’altra a Marivan, che si aggiungerebbero a quella di Arvand, nel Khuzestan.

 

Un allontanamento dagli USA?

Sembrerebbe quasi che, nonostante gli Stati Uniti stiano aumentando le pressioni contro Teheran, il governo iraniano stia riuscendo a imporsi come un attore sempre più rilevante sulla scena politico-economica irachena. Questa tendenza non è vista di buon occhio dall’amministrazione Trump, che invece preferirebbe di gran lunga un ruolo più attivo da parte dell’Arabia Saudita.

Finora la strategia degli USA per far aderire l’Iraq alle sanzioni contro l’Iran ha fatto leva quasi esclusivamente sugli aiuti militari e in ambito diplomatico. Da parte sua, invece, l’Iran sta puntando principalmente ai settori umanitario, infrastrutturale e commerciale, dove cerca di imporsi per mezzo di importanti investimenti finanziari. Questi investimenti hanno il potenziale di tradursi in benefici tangibili per la popolazione e, quindi, trasformarsi in leva politica, se si considera che il governo iracheno non è in grado di fornire i servizi di base a gran parte dei propri cittadini. Il fantasma dello Stato Islamico sembra oggi più che mai un problema secondario per la maggioranza degli iracheni.

L’insistenza di Washington sulle sanzioni contro Teheran a discapito delle priorità di Baghdad potrebbe perciò creare enormi contrasti negli interessi della classe politica. Ad esempio, due importanti blocchi del Parlamento iracheno hanno discusso una bozza di legge mirata all’espulsione delle truppe straniere presenti sul territorio, in quanto considerate come una limitazione della sovranità nazionale, sebbene l’obiettivo principale di queste sia la lotta al terrorismo.

Per Washington il rischio risiede in parte nella possibilità che i diversi attori dello scenario politico iracheno inizino a percepire la presenza americana e la vicinanza all’amministrazione Trump non più come funzionale ai bisogni degli iracheni, ma come un semplice strumento di politica anti-iraniana. Avvertendo queste discrepanze, alcune figure politiche irachene si sono espresse in modo piuttosto chiaro sui rapporti con gli Stati Uniti. Ad esempio, Abdel Karim Mostafa, consigliere del primo ministro, ha affermato durante un’intervista a febbraio scorso: “Siamo vostri amici, ma non siamo parte della vostra politica nella regione”; o ancora il primo ministro stesso, Adel Mahdi, a ottobre dell’anno scorso ha dichiarato che “quando discuteremo delle sanzioni americane, la priorità sara l’interesse nazionale”.

In questo contesto, lo scorso aprile il governo iracheno ha organizzato una conferenza a Baghdad con i parlamentari di Turchia, Kuwait, Siria e alcuni rappresentanti di Arabia Saudita e Iran. L’evento ha avuto luogo dopo la visita ufficiale del primo ministro Abdul Mahdi a Teheran e Riyad. Consapevole dell’importanza dei rapporti del suo Paese con la Repubblica Islamica, Mehdi sembra stia cercando di ritagliarsi un ruolo di mediatore tra i contendenti regionali.

Infine, le differenze tra la visita di Trump e quella di Rouhani in Iraq potrebbero essere un’anticipazione di come si evolveranno i rapporti futuri tra questi Paesi. Mentre il presidente iraniano si è recato in visita ufficiale per tre giorni, incontrando diverse figure di spicco del Paese, Trump ha fatto una visita informale a sorpresa, durata solo poche ore, in cui ha incontrato le truppe americane presenti sul territorio, per poi ripartire subito dopo.

Fonti e approfondimenti

How US sanctions could be boosting Iran’s presence in Iraq“, Al Monitor, 06/02/2019

Badawi T., “Iran’s Economic Leverage in Iraq“, Carnegie, 23/05/2018

Bourse and Bazar, With Focus on Economic Relations, Iran-Iraq Ties Move Into the ‘Daylight

Alfoneh A., “Tehran’s Shia Foreign Legions“, Carnegie, 30/01/2018

Dawood H., Geranmayeh E., “When Iran goes to Iraq: The significance of Rouhani’s trip“, ecfr.eu, 13/03/2019

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