di Samir Paravicini
Nonostante risalga a più di quattordici secoli fa, lo scisma della comunità musulmana tra sunniti e sciiti, minaccia ancora oggi la stabilità di molti Stati mediorientali, che sfruttano questo forte elemento identitario a beneficio della loro potenza. Nel corso del tempo, le divergenze tra le due correnti sono diventate sempre più profonde, fino a portare a una diversa interpretazione dei testi, dei rituali e della concezione stessa dell’autorità religioso-politica.
Oggi circa l’80% dei musulmani nel mondo sono sunniti, il 15% sono sciiti e il restante 5% è costituito da correnti minori. Gli sciiti rappresentano la maggioranza della popolazione in Iran, Iraq, Bahrein, Azerbaigian e Libano; i sunniti, invece, costituiscono la maggioranza in oltre quaranta Paesi, dal Marocco all’Indonesia.
Alle origini dello scisma
All’origine dello scisma vi fu la successione di Maometto: il profeta morì a Medina nel 632 d.C. senza lasciare eredi maschi e senza aver indicato il nome del proprio successore, aprendo così una controversia sulla sua eredità. Maometto era stato in grado di unire tutte le tribù dell’Arabia in un’unica comunità di fedeli, la ummah, per cui, alla sua morte, entrarono in gioco non solo la sua eredità religiosa e politica, ma anche l’enorme quantità di denaro costituita da tasse e tributi pagati dalle tribù unite sotto i vessilli dell’Islam.
La maggioranza dei seguaci di Maometto riteneva che il nuovo leader dovesse essere scelto per consenso della comunità. L’altra parte, invece, credeva che solo i discendenti del profeta (Ahl-al-Bayt) avessero il diritto di prendere il posto del califfo: dunque, in mancanza di figli maschi, era Ali ibn Abi Talib, cugino e genero di Maometto, ad essere l’erede legittimo.
I seguaci di Ali vennero chiamati Shiat Ali – il partito di Ali, da cui il termine sciita – mentre coloro che erano a favore dell’elezione di un membro della ummah in qualità di capo vennero chiamati sostenitori della sunna (tradizione). I sunniti insistettero sulla scelta di Abu Bakr, amico e suocero del profeta, come successore legittimo e quest’ultimo divenne a tutti gli effetti il primo califfo dopo Maometto. Gli Shiat Ali però, non riconoscendo Abu Bakr, sostennero la fedeltà ai discendenti del profeta.
Mentre le divergenze sulla guida della comunità continuavano, si succedettero i Governi dei primi quattro califfi, i Khilāfat al-Rāshidūn, ovvero i califfi “ben guidati”. Dal 632 al 661 d.C. la comunità fu quindi guidata da Abu Bakr, Omar ibn al-Khattab, Othman bin Affan e, per finire, da Ali bin Abi Talib. Dopo la morte di Ali nel 661 d.C, il figlio Hussein subentrò come leader spirituale degli Shiat Ali fino al 680 d.C.
Hussein e suoi seguaci si scontrarono con l’esercito del califfo sunnita Umayyade Yazid nella pianura di Karbala, in Iraq, nel 680 d.C. Le fonti storiche su questa battaglia narrano di come Hussein guidò un gruppo di 72 seguaci dalla Mecca a Karbala per affrontare il califfo Ummayade Yazid: gli scontri durarono una decina di giorni, al termine dei quali Hussein e la sua famiglia furono giustiziati. Il martirio di Hussein divenne così un tema centrale della fede sciita.
Credenze e rituali
Nel corso dei secoli, lo scisma tra sunniti e sciiti ha dato luogo a divergenze nell’interpretazione dei testi e dei rituali e a una concezione diversa dell’autorità politico-religiosa.
Entrambe le sette hanno in comune le credenze e le pratiche fondamentali tipiche dell’Islam. Seguono infatti il Corano come rivelazione di Allah e si attengono ai cinque precetti sacri della religione: la shahada, ovvero la testimonianza di fede verso un unico e solo Dio e la missione profetica di Maometto; praticare cinque preghiere rituali quotidiane; la zakat (purificazione), ovvero un atto di carità obbligatoria; il digiuno durante il mese di Ramadan e il pellegrinaggio alla Mecca.
Oltre ai cinque precetti dell’Islam sunnnita, gli sciiti osservano delle pratiche “accessorie della fede” (chiamate furu ad-dīn), ossia: Khums, la donazione di un quinto dei propri redditi alla beneficenza e ai chierici; Jihad, l’obbligo di comandare il giusto e proibire il male; Tawalla, l’amore per Ali e la famiglia del profeta, e Tabarra, l’opposizione ai nemici degli Ahl-al-Bayt.
Mentre i sunniti completano tutte le cinque preghiere rituali quotidiane, gli sciiti le riassumono in tre sessioni. Inoltre, i musulmani sciiti, nel momento in cui si prostrano per la preghiera, pongono il viso su una tavoletta di argilla chiamata turbah. La turbah è inscritta con i nomi di Hussein e di altri membri della famiglia del profeta: per gli sciiti, riverire la famiglia del profeta durante la preghiera li avvicina a Dio.
Un altro elemento importante per gli sciiti è la venerazione e il pellegrinaggio ai santuari-tomba degli Imam appartenenti alla Ahl-al-Bayt, i cosidetti Imamzadeh. Le città di Karbala e Najaf in Iraq, dove si trovano le tombe di Hussein ibn Ali e di Ali ibn Abi Talib, rappresentano i principali luoghi di culto e di pellegrinaggio per i musulmani sciiti, preceduti solo dalle città Sacre di Mecca e Medina in Arabia Saudita.
In generale, le dottrine sunnite sottolineano il potere di Dio nel mondo materiale, mentre per gli sciiti, data la loro storia travagliata e soggetta a lunghe persecuzioni, vengono maggiormente enfatizzati aspetti quali il martirio e il sacrificio. Ciò si riflette anche nel contenuto dei testi della dottrina sciita, dai quali traspare forte tristezza e lamento, e molti sciiti devoti vivono tutt’oggi in lutto simbolico, indossando il nero durante gran parte dell’anno. La più importante festività sciita è l’Ashura, che ricorda l’anniversario della morte di Hussein nella battaglia di Karbala. In questo giorno, i musulmani sciiti sfilano per strada cantando lamenti per la morte di Hussein e arrivando, alcune volte, ad autoflagellarsi.
Nella religione islamica vi è un personaggio fondamentale, il Mahdi, che si crede apparirà alla fine dei tempi per estirpare il male e completare l’opera di Maometto. Uno dei filoni maggioritari dello sciismo è quello dei Duodecimani, ossia di coloro che credono nell’Imamato dei dodici Imam dell’Ahl al-Bayt. Secondo la dottrina duodecimana, il dodicesimo e ultimo Imam, scomparso in Iraq nell’IX secolo, ritornerà nelle vesti del Mahdi, mentre per i sunniti, invece, il Mahdi non è ancora nato.
In ultimo, il sunnismo si caratterizza per l’importanza conferita alla Sunna, un “codice di comportamento” che racchiude gli hadith, i detti o atti del profeta, riportati dai suoi seguaci e compilati da studiosi nel IX secolo d.C. Secondo i sunniti, la Sunna permette la corretta interpretazione del Corano ed è alla base del pensiero giuridico islamico, articolato in quattro grandi scuole o madhab. Dal canto loro, gli sciiti non riconoscono gli stessi testi a cui fanno riferimento i fedeli sunniti, essendo considerati inaffidabili proprio in seguito alle discordie che hanno portato alla divisione delle due sette.
La leadership e il panorama geopolitico
Gli sciiti proclamano il principio dell’infallibilità dell’Imam, per il quale l’Imam viene guidato direttamente da Dio, mentre i duodecimani conferiscono all’Imam anche una dimensione divina. Inoltre, nel mondo sciita esiste una elaborata gerarchia clericale piuttosto ben definita, che spesso svolge un ruolo anche nelle questioni governative – l’Iran ne è un chiaro esempio.
Per i musulmani sunniti, d’altro canto, non vi è alcuna base nell’Islam per una classe ereditaria o privilegiata di leader spirituali e ancor meno una base per la venerazione o l’intercessione degli Imam. I sunniti sostengono che la leadership della comunità non sia un diritto di nascita, ma che invece si acquisisca attraverso la fiducia, che deve essere guadagnata e che può essere rimossa dall’ummah.
Per concludere, sono tre gli avvenimenti chiave che hanno rafforzato la divisione sunnita-sciita negli ultimi secoli. Il primo, l’ascesa della dinastia Safavide nel XVI secolo, che trasformò l’Iran da centro sunnita a roccaforte sciita del Medio Oriente. Il secondo, la fine dell’Impero Ottomano e la conseguente divisione del suo territorio dopo la Prima Guerra Mondiale, che hanno comportato la scissione di storiche comunità religiose ed etniche. Infine, nel 1979, la Rivoluzione Islamica in Iran, che ha creato una sorta di marchio radicale dell’Islam sciita, andatosi così a scontrare con il conservatorismo wahabita dell’Arabia Saudita.
Nel contesto della crescente politicizzazione dell’Islam e dell’ascesa di fondamentalisti provenienti da entrambe le parti, le tensioni settarie si intensificarono nuovamente all’inizio del XXI secolo, in particolare dopo il caos che seguì l’invasione americana dell’Iraq nel 2003 e le rivolte del 2011.
Tuttavia, non dovremmo cadere nell’errore di pensare che tutto possa essere spiegato attraverso la rivalità nata tra i due gruppi; storicamente, queste comunità hanno oscillato tra momenti di convivenza relativamente pacifica e periodi di feroce opposizione.
Fonti e approfondimenti
S. Pruitt, Islam’s Sunni-Shia Divide, Explained, History, 31/07/2019
M. Arthington, The Difference between Shiite and Sunni Muslims and Why It Matters, imb, 24/05/2019
M. Diez, Sunnis and Shiites: Their Differences and the Origin of an Ancient Divide, Oasis, 5/11/2015
Huda, Key Differences Between Shia and Sunni Muslims, Learn Religions, 23/04/2019