Islam Insight: ibadismo, la “terza via” dell’islam

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

 di Viola Pacini

All’interno delle correnti religiose minoritarie islamiche vi è l’ibadismo. Seguito da meno dell’1% dei musulmani, viene considerato come una “terza via” tra sunnismo e sciismo. L’ibadismo è stato fondamentale nella storia dell’Oman: basandosi sui suoi principi, il Sultanato ha adottato nei decenni un atteggiamento conciliante verso le diverse forme di Islam e le altre religioni.

Le origini e l’Imamato omanita

L’ibadismo è l’unico ramo sopravvissuto del kharigismo, la prima setta dell’islam nata nel 657 d.C. come movimento di opposizione durante le controversie per la successione al potere nel Califfato. A seguito dell’assassinio del terzo Califfo ‘Othman, Mu‘awiyya bin Abi Sufyan, suo parente e governatore della Siria, insorse contro il nuovo capo della umma, ‘Ali ibn Abi Talib, genero e cugino di Maometto. A seguito della sanguinosa battaglia di Siffin, Mu’awiyya chiese di risolvere la questione tramite un arbitrato. ‘Ali accettò, ma alcuni dei suoi seguaci contestarono la sua scelta: i dissidenti divennero noti con il nome di kharigiti (dall’arabo ḫaraǧa, “uscire”).

Il gruppo riteneva che solo Dio avesse il potere di scegliere il legittimo Califfo e che la guida della comunità dovesse essere un esempio di virtù e giustizia. Avendo accettato l’arbitrato, ‘Ali aveva sfidato Dio, macchiandosi di un peccato imperdonabile e divenendo quindi inadatto a governare. I kharigiti non riconobbero mai la legittimità del Califfato omayyade fondato da Mu’awiyya dopo aver vinto l’arbitrato ed essere succeduto ad ‘Ali. I membri della setta compirono numerosi attacchi ai danni di altri musulmani, ritenuti eretici, e ‘Ali stesso morì per mano di un kharigita nel 661 d.C. Per questo motivo, pochi anni dopo, a Bassora, in Iraq, un gruppo di kharigiti prese le distanze dal resto dalla setta elaborando una nuova dottrina che verrà denominata ibadismo, dal nome del fondatore ‘Abd Allah ibn Ibad.

La nuova dottrina trovò terreno fertile in alcune zone periferiche del dar al-Islam e, in particolare, nell’Oman centrale: complice l’isolamento geografico, l’ibadismo divenne il collante di una nuova società, con capitale Nizwa. Gli omaniti rifiutarono l’autorità dei Califfi di Damasco e Baghdad, affidando il potere spirituale e temporale al proprio imam. L’istituzione dell’imamato è uno dei punti centrali del pensiero ibadita e si ispira alle strutture di potere tradizionali della Penisola Arabica, aggiungendovi una connotazione religiosa. L’imam, leader politico e religioso della comunità, veniva eletto dai capi delle principali tribù come un primus inter pares; qualora si fosse dimostrato un tiranno o un peccatore, il popolo aveva il dovere di rifiutargli l’obbedienza e detronizzarlo. Gli imam ibaditi, quindi, non devono essere confusi con quelli sciiti: questi ultimi sono considerati infatti leader infallibili in quanto discendenti di Maometto.

Nel 1783 l’unitarietà della leadership politica e religiosa si interruppe. Alla morte dell’Imam Ahmad ibn Sa‘id, uno dei due figli assunse il ruolo di guida spirituale, mentre all’altro venne affidata l’autorità politica. Quest’ultimo prese il titolo di Sultano e spostò la capitale da Nizwa a Mascate, uno dei principali centri di commercio marittimo. Tuttavia, il secolo successivo vide la graduale erosione del potere sultanale a favore della Gran Bretagna, interessata alla regione per la sua posizione strategica. Il malcontento dei leader tribali delle regioni interne per la crescente influenza britannica sfociò in un conflitto armato che portò, nel 1920, al trattato di As Sib. Formalmente l’Oman rimase unito, ma di fatto l’Imamato di Nizwa diventò un’entità politica semi-autonoma.

Negli anni Cinquanta l’arrivo delle compagnie petrolifere occidentali nelle regioni interne riaccese gli attriti tra Sultanato e Imamato, fomentando l’indipendentismo di Nizwa. Nel 1954, il conflitto tra le due istituzioni causò delle nuove ribellioni che si conclusero con la soppressione dell’Imamato e la riunificazione del Paese. Fu poi Qaboos bin Sa’id, Sultano dal 1970 al 2020, a mettere fine alle tensioni tra le due regioni e a riunire in un’unica figura la leadership politica e religiosa. Egli detronizzò il padre Sa‘id bin Taymur, considerato un tiranno, e riallacciò i contatti con i vari leader locali, riaffermando il ruolo del sovrano come primus inter pares. Qaboos dimostrò quindi di avere i requisiti necessari a guidare la comunità secondo la tradizione ibadita.

Pur riconoscendo le origini della propria dottrina nel 657 d.C., gli ibaditi considerano un insulto essere chiamati kharigiti: già Ibn Ibad e i suoi seguaci avevano preso le distanze dalla brutalità della setta. Oggi il termine kharigita è infatti usato spesso in maniera dispregiativa per designare un musulmano violento e intollerante: per esempio, è stato adottato per indicare i membri dell’ISIS e altri gruppi terroristici.

La dottrina

L’ibadismo riesce a conciliare il rigore morale ereditato dal kharigismo e l’impegno nel seguire l’insegnamento di Maometto con una teologia razionale e un atteggiamento tollerante verso le altre fedi.

Uno dei punti principali della dottrina è il ruolo attribuito alla purezza delle azioni: le intenzioni devono essere accompagnate da una corretta condotta. La professione di fede non è quindi sufficiente per essere considerati dei veri musulmani. Questo si riflette anche nei rapporti con persone di fede diversa: gli ibaditi mettono al centro la condotta virtuosa del singolo, piuttosto che la religione di affiliazione. Secondo il teologo ibadita Abu Muslim al-Bahlani, stimare o avere rapporti di amicizia con una persona onesta ma di credo diverso non solo è lecito, ma segue l’esempio del Profeta.

La teologia ibadita è razionalista. Secondo l’ibadismo, i versetti coranici che danno a Dio attributi antropomorfi devono essere interpretati come metafore: se il Creatore fosse simile a qualcosa da lui creato, perderebbe la propria unicità, minando le basi del monoteismo. Per quanto riguarda il dogma sunnita del Corano increato ed eterno, a partire dal XIX secolo si radicò l’idea del testo sacro come espressione della parola di Dio, quindi creata.

Il fiqh (la giurisprudenza) è molto simile a quello degli altri musulmani; tuttavia presenta due importanti differenze rispetto al sunnismo. Primo, la giurisprudenza ibadita ha mantenuto aperte le “porte dell’ijtihad (il ragionamento individuale): l’esperto legale può riflettere su quale sia l’azione più giusta da compiere qualora non trovi risposte nel Corano o nella Sunna. Secondo, l’ibadismo rifiuta il taqlid sunnita, ovvero l’obbligo di seguire le prescrizioni degli ulema del passato.

Infine, l’esecuzione della salat, la preghiera, è diversa dalla maniera sunnita ma simile a quella sciita: stando in piedi, gli ibaditi pregano tenendo le mani all’altezza delle cosce, senza piegarle sul petto o alzarle all’altezza delle orecchie. Altre piccole divergenze riguardano le formule conclusive della salat, i passi coranici recitati e le abluzioni rituali. Nonostante queste differenze, in Oman non è insolito trovare fedeli sunniti pregare con un imam ibadita, o viceversa.

L’ibadismo nel mondo musulmano

L’Oman è l’unico Paese a maggioranza ibadita: qui l’islam è professato dall’85.9% degli abitanti e di questi circa i tre quarti sono seguaci dell’ibadismo. Nel resto del mondo, i fedeli di questa dottrina esistono come minoranze a Zanzibar, nel Jabal Nafusa (Libia), sull’isola tunisina di Djerba e nella valle algerina dei Bani M’zab. Nel Maghreb, l’ibadismo è professato da alcuni gruppi amazigh (berberi). La presenza in Africa orientale è un retaggio dell’impero omanita, mentre l’arrivo in Maghreb avvenne nell’VIII secolo grazie a predicatori missionari. In quanto minoranze, questi gruppi sono stati vittime di discriminazioni, anche in tempi recenti.

Per molto tempo la maggior parte dei musulmani si è rifiutata di considerare l’ibadismo una forma di islam, accusando i suoi seguaci di aver distrutto l’unità della umma. La situazione iniziò a cambiare alla fine del XIX secolo, sotto l’influenza del Salafismo modernista. Questo movimento affermava la necessità di porre fine alle divisioni settarie all’interno dell’islam per poter affrontare la minaccia del colonialismo e le sfide della modernità. Ispirandosi a questa corrente, gli intellettuali ibaditi – soprattutto in Africa settentrionale – cercarono di riconciliarsi con gli altri musulmani. All’inizio del XX secolo, l’operato del libico Sulaiman al-Baruni aprì il dialogo con le altre dottrine. Oggi, la maggior parte dei musulmani segue le linee concilianti promosse dall’Università al-Azhar del Cairo.

Nel Maghreb i rapporti tra ibaditi e sunniti rimangono tuttavia difficili poiché alle differenze religiose si uniscono quelle etniche. Ad esempio, i mozabiti algerini si sono spesso ritrovati in conflitto con i vicini arabi. Gli scontri più recenti si sono scatenati tra il 2013 e il 2015, lasciando diversi morti da entrambe le parti: questa crisi riflette la tensione tra arabi e popolazioni amazigh a livello locale. Nel 2017 la commissione per gli affari religiosi di Tobruq ha definito l’ibadismo professato dagli amazigh una perversione dell’islam. Il governo di Tripoli ha però preso le distanze da questa posizione, che potrebbe innescare ulteriori violenze per motivi etnico-religiosi in un contesto già pericolosamente teso.

Conclusioni

Abbiamo visto come la dottrina ibadita si sia sviluppata e intrecciata alla storia dell’Oman: abbracciando un principio di tolleranza, ha influenzato profondamente il Sultanato dal punto di vista interno ma anche sotto il profilo delle sue relazioni estere. L’Oman è rimasto estraneo ai conflitti tra sunnismo e sciismo e alle loro implicazioni geopolitiche: è infatti noto il suo ruolo di mediatore tra Arabia Saudita e Iran. Inoltre, le autorità religiose di Mascate, benché ibadite, hanno promosso un islam “generico”, in modo da sfumare le differenze con il sunnismo: gli stessi omaniti affermano di non sentirsi diversi dagli altri musulmani, vedendosi tutti parte della stessa umma. In Oman è considerato inopportuno chiedere a qualcuno la dottrina di appartenenza e i libri di scuola evitano di dividere la storia lungo linee settarie, in favore di un approccio pan-arabo e pan-islamico.

 

Fonti e approfondimenti

V. J. Hoffman, The Essentials of Ibadi Islam, Syracuse University Press, 2012

NYU Abu Dhabi Institute, Ibadi Islam: Its Origins and Place in Islamic Thought, Feb. 2015

A. T. Fiscella, Neither Shi‘a nor Sunni: An Interview with a Mozabite, in Nidaba, vol. II n. 1, 2017

J. Berkey, The Formation of Islam: Religion and Society in the Near and Middle East, 600-1800, Cambridge University Press, 2003

S. Erich, Sultanate and Imamate in Oman, Institute of Current World Affairs, 1/09/2016

A. N. Ghazal, The other frontiers of Arab Nationalism: Ibadis, Berbers and the Arabist-Salafi press in the interwar period, in International Journal of Middle East Studies, vol. XLII, n. I, pp. 105-122, 2010

E. Boulter, Violent sectarianism on the rise in Algeria, Global Risk Insights, 24/07/2015

H. Najjair, New takfiri fatwa sparks outrage among Libya’s Amazig, The Libya Observer, 9/07/2017

 

Leave a comment

Your email address will not be published.


*


%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: