Nel primo articolo di Islam Insight sulla Fratellanza Musulmana abbiamo notato come il fine ultimo dei movimenti freristi sia quello di costituire uno Stato islamico regolato dalla Shari’a. Ma cosa è la Shari’a e come si compone? Perchè il diritto islamico è diverso da quello occidentale? Come si è evoluto il rapporto tra legge islamica e Stato? Cerchiamo di rispondere a queste domande e individuare le componenti essenziali della Shari’a e del diritto islamico.
Shar’ia e fiqh
La Shari’a è l’insieme di norme rivelate da Allah per guidare la vita dell’uomo musulmano in ogni suo aspetto, dai rapporti con Dio a quelli con gli uomini. Pertanto si tratta di indicazioni etico – morali che coprono tanto la sfera del culto (‘ibadat), quanto quella più strettamente legale (mu’amalat). In tal senso ogni atto deve essere categorizzato come obbligatorio, raccomandato, lecito, riprovevole o proibito. Di ciò si è occupato il fiqh, la giurisprudenza islamica che, attraverso una serie di espedienti logici, ha derivato dalle fonti della Shari’a le norme che compongono il diritto sostanziale islamico.
“La legge dei giuristi”
Quindi, mentre nel diritto occidentale come lo conosciamo è lo Stato a legiferare, in quello islamico solo i giuristi, provenienti dalla classe religiosa degli ‘ulema, ritenuti abbastanza esperti in materia religiosa da poter interpretare le fonti e stabilire il contenuto delle leggi. In particolare, il mufti si occupava di emettere una fatwa, un’opinione giuridica che, pur non essendo vincolante, assumeva autorità legale nel momento in cui impugnata dal giudice (qadi) in tribunale. Il contenuto della legge venne dunque a determinarsi come collezione delle diverse fatwas. Vi era poi la figura del giurista – autore che compilava commentari e aggiornava la raccolta delle fatwas. Invece il giudice, al pari dei giudici odierni, componeva dispute legali ed emetteva verdetti. Tuttavia non ci si aspettava che il qadi avesse la stessa preparazione del mufti o del giurista, mentre un mufti o un giurista potevano tranquillamente assumere la carica di qadi.
Le fonti della Shari’a
Nell’atto di analizzare un caso il giurista doveva rifarsi alle quattro fonti della Shari’a di cui le prime due materiali e le ultime due metodologiche:
- Corano: circa 500 versi hanno natura legale.
- Sunna: la Sunna è costituita dagli Hadith, racconti di ciò che il Profeta ha fatto, detto o tacitamente approvato.
- Consenso (‘igma’): in caso di ambiguità del testo coranico o degli hadith riguardo una certa materia, il giurista poteva far riferimento al consenso della comunità dei giuristi in un determinato periodo o generazione in merito alla stessa.
- Ijtihad (opinione): infine, il giurista poteva ricorrere al ragionamento e chiarificare il contenuto di una legge attraverso una serie di meccanismi deduttivi quali:
– QIYAS o Analogia: il giurista poteva far riferimento ad un caso presente nel Corano o nella Sunna o nel consenso per trovare la ratio legis, ossia un aspetto comune ad entrambi i casi che potesse giustificare l’applicazione della soluzione legale del primo caso al secondo.
– ISTILAH (Interesse pubblico): non si basava direttamente sui testi sacri ma era giustificato dalla convinzione che la Shari’a avesse come scopo il benessere comune, articolato secondo 5 principi – protezione della vita, della mente, religione, proprietà e prole. Dunque la deduzione di una norma che si conformi ad uno di questi principi non può essere in contraddizione con la legge islamica.
– ISTIHSAN (approvazione): partiva da Corano, Sunna o consenso ma implicando un ragionamento diverso dal qiyas, più flessibile perché ammetteva eccezioni a quella che sarebbe stata la regola analogica invocando uno stato di necessità.
Le scuole giuridiche
La formazione della dottrina legale islamica si realizzò dunque attraverso il periodo compreso tra l’esperienza a Medina del Profeta (622) e l’istituzionalizzazione delle quattro scuole giuridiche tra il X-XII secolo. Dopo, infatti, le “porte dell’jtihad” vennero dichiarate chiuse e i giuristi che seguirono, almeno in teoria, si rifecero soltanto a quanto detto in precedenza (taqlid).
E’ importante puntualizzare come, sebbene le scuole giuridiche si rifacciano ad un imam o fondatore, esse costituiscano una dottrina collettiva costruita nel corso di generazioni da giuristi precedenti e successivi all’eponimo. Inoltre, l’adesione ad una di esse comportava completa lealtà verso il suo paradigma metodologico e l’insieme di norme che ne derivava. Le quattro scuole sono:
- Scuola hanafita: l’imam è Abu Hanifa, attivo a Kufa. E’ accettato un ampio uso dei metodi di qiyas e istihsan. Numericamente è la più diffusa: subcontinente indiano, Asia Centrale, Afghanistan, ex impero ottomano (Turchia e Siria).
- Scuola malichita: l’imam è Anas ibn Malik, attivo a Medina. Viene privilegiato il consenso attorno alle pratiche medinesi e la preferenza verso un approccio più tradizionale, basato sulle fonti. Ciò non esclude l’utilizzo, sebbene più circoscritto, di qiyas e istislah. E’ diffusa soprattutto in Maghreb e Africa orientale.
- Scuola sciafiita: l’imam è al- Shaf’i che sintetizza tradizione e ragionamento, pur preferendo la prima. Presente in Egitto, Indonesia, Africa orientale, Arabia Meridionale.
- Scuola hanbalita: fondatore Ibn Hanbal, attivo a Baghdad durante il periodo di crisi dell’impero abasside. Egli propone il ritorno esclusivo alle fonti materiali – Corano e Sunna -. Data la rigidità metodologica, questa dottrina avrà un seguito limitato ad Arabia Saudita e alcune zone del Golfo.
L’esistenza di diverse dottrine suggerisce un’altra caratteristica della legge islamica in netto contrasto con il diritto occidentale: il pluralismo giuridico. Mentre nel diritto occidentale la legge è codificata e di conseguenza univoca, nella Shari’a solo le fonti e l’esistenza di Dio sono certe mentre le diverse interpretazioni delle fonti che compongono il fiqh, per quanto variegate e contraddittorie, sono ritenute parimenti valide. Infatti erano accettate non solo differenze tra le diverse scuole, ma anche all’interno delle scuole stesse.
Shari’a e stato
Fino al XIX secolo, l’autorità degli ‘ulema nel determinare il contenuto della legge rimase indiscussa. Tuttavia il governo aveva autorità nel settore giudiziario, potendo nominare e congedare i giudici, e il sultano poteva emanare regole (qanun) in ambito soprattutto fiscale e penale a complemento della Shari’a. Alla fine del XVIII secolo però, le sconfitte militari e lo spettro della modernità occidentale posero per l’impero ottomano la necessità di centralizzare la propria autorità per arginare l’invadenza delle potenze occidentali.
Ciò avvenne attraverso il processo di riforma amministrativa delle Tanzimat (1839 – 76) che, a livello legale, risultò nella creazione di codici sul modello occidentale e di nuovi tribunali indipendenti dalla Shari’a. La Shari’a assunse dunque un ruolo sempre più marginale, tanto più con la creazione degli stati nazionali nel XX secolo.
Oggi pertanto abbiamo quattro categorie di stati in relazione al ruolo della Shar’ia:
- Stati completamente secolarizzati come la Turchia dove la Shari’a rimane in qualche modo attiva solo nelle zone rurali e a livello informale
- Stati in cui vige la Shari’a nella sua forma non codificata quali l’Arabia Saudita
- Stati con un sistema legale ibrido dove la legge di ispirazione occidentale è prevalente tranne in alcuni ambiti quali lo stato di famiglia, quello di successione e il waqf. Tuttavia in questi casi la Shari’a è stata codificata (tranne in Egitto).
- Stati che sono stati re-islamizzati e dove la reintroduzione della Shari’a è evidente soprattutto in campo penale – vedi ad esempio Pakistan e Nigeria. Nonostante ciò, lo Stato rimane l’organo legislativo con la parziale eccezione dell’Iran che riconosce a livello costituzionale l’autorità degli ‘ulama.
In conclusione, il processo di codificazione della Shari’a ha comportato da un lato la perdita del pluralismo giuridico che la contraddistingueva in precedenza e l’affermarsi di declinazioni diverse della stessa su base nazionale. Dall’altro, la classe di specialisti religiosi, gli ‘ulema, ha perso il proprio status sociale e il dibattito sulla Shari’a è entrato nel discorso pubblico soprattutto con l’emergere dei movimenti islamisti che, come abbiamo iniziato a vedere e come approfondiremo in seguito, si sono fatti portavoce di un’interpretazione nuova dell’Islam e della Shari’a stessa.
Fonti e Approfondimenti:
Hallaq, Wael B., “The Origins and Evolution of Islamic Law“, Cambridge University Press, Cambridge, 2005
Hallaq, Wael B,. “An Introduction to Islamic Law“, Cambridge University Press, Cambridge, 2009