L’appuntamento di oggi con Islam Insight è dedicato al Sufismo, ossia l’insieme di pratiche, riti e dottrine che vengono comunemente considerate il “cuore” mistico dell’Islam. Sebbene abbia alcuni aspetti in comune con lo sciismo, è necessario collocarlo all’interno del sunnismo, di cui si considera parte integrante. Infatti, dalla shari’a, che è la “via larga” percorsa dalla maggior parte dei musulmani, il mistico sufi è chiamato a percorrere la tariqa, la “via stretta” che da questa si diparte per raggiungere Dio.
Dottrina e pratica
Il fine ultimo della pratica sufi è la conoscenza diretta di Dio, l’esperienza del divino attraverso un percorso di purificazione interiore (Tariqa) che mira alla piena realizzazione spirituale. Questo traguardo è raggiunto nel momento in cui il discepolo, sapientemente guidato dal maestro (shaykh), arriva a discernere la Realtà per quello che è: un riflesso, un’illusione del Vero che Dio incarna. Per usare un’altra comune metafora, l’apice del percorso sufi è il superamento, nei limiti dell’umano, dei veli che dividerebbero l’uomo e Dio. Il discepolo sufi infatti procede lungo la Tariqa attraverso una serie di maqamat (tappe) che, una volta raggiunte, segnano il possesso definitivo della conoscenza e il passaggio alla maqama successiva. Il numero delle tappe che il discepolo deve far proprie variano da ordine a ordine e dipendono dalle predisposizioni del discepolo stesso. Pertanto, il viaggio lungo la Tariqa è per gran parte individuale.
L’esperienza delle diverse tappe lungo la Via è il risultato del perfezionamento di una serie di riti esoterici che iniziano con la baraka (benedizione) da parte del maestro, indispensabile al discepolo per beneficiare delle qualità purificatrici degli altri riti. Il fulcro di quest’ultimi è il dhikr (“ricordo”, “menzione” letteralmente). Il dhikr è compiuto in modalità diverse a seconda della confraternita ma, solitamente, l’esecuzione procede in crescendo ed è costituita dalla shahada, la professione di fede, e dalla menzione di alcuni dei nomi di Dio.
Nell’Islam si ritiene infatti che Dio abbia 99 nomi, ognuno dei quali si manifesta nel Creato e che solo Adamo, vicario di Dio in terra, li conoscesse tutti. Dunque, attraverso la menzione dei suoi nomi il discepolo può aspirare, al pari di Adamo, a raggiungere la Verità. Quando e se si raggiunge tale grado di conoscenza, si accede a uno stato di wilaya (santità) cioè della massima prossimità a Dio consentita agli uomini. Nel Sufismo tuttavia esistono gradi e tipi di santità diversi secondo una gerarchia dominata dal “Polo Supremo” (Qutb) al di sopra del quale siedono i Profeti.
Storia e sviluppo delle confraternite Sufi
Gli elementi fondanti del Sufismo emersero tra l’VIII e il X secolo di pari passo alla sistematizzazione della giurisprudenza e della teologia islamica (kalam); infatti il Sufismo nacque e si sviluppò all’interno dell’Islam sunnita. Nella storia che ne danno i sufi stessi, esso derivò dalla crescente ricerca di un livello di fede (ihsan) più profondo della semplice aderenza ai precetti della shari’a che comunque costituisce il punto di partenza del percorso spirituale.
Più precisamente, la shari’a è rappresentata come un cerchio la cui stabilità dipende dal perno che è la Verità divina, la quale tuttavia rimane irraggiungibile. Unica possibilità di avvicinarsi al centro è la Tariqa (la Via sufi), una retta che si allontana dalla circonferenza per raggiungere il centro. Dal momento che la Tariqa può partire da qualunque punto della circonferenza per raggiungere il centro, ogni discepolo è libero di scegliere il percorso che più gli si addice. Questa flessibilità è fondamentale per capire come dal XII secolo iniziarono a fiorire le diverse confraternite sufi come le conosciamo oggi.
La diffusione sempre maggiore del misticismo islamico creò la necessità di organizzarsi in Turuq o confraternite. A seconda delle esigenze del momento e del luogo, furono fondati ordini diversi e il discepolo era libero di spostarsi da un ordine all’altro a suo piacimento. Vi erano tuttavia due aspetti comuni a tutti gli ordini: l’importanza del fondatore e il ruolo del maestro nell’iniziazione e guida dei discepoli.
Le principali Turuq rimangono ancora oggi:
- Qadiriya: E’ la più antica tra le Turuq ed ebbe origine a Baghdad per diffondersi poi in Siria, Turchia, Corno d’Africa, Maghreb. Dal XV secolo, giunse in India e dal XIX nella zona del Caucaso.
- Rifa’iya: Ebbe una considerevole diffusione nel mondo arabo, Iran, Turchia e India dove attirò soprattutto i ceti medio – bassi.
- Shadiliya: Nasce a Tunisi da cui si diffonde nel Nordafrica, a sud del Sahara, nel Corno d’Africa e in Sri Lanka.
- Naqshbandiya: Si diffuse in Asia Centrale, India dove coinvolse le caste più alte, Kurdistan, Indonesia ed è oggi presente anche in Europa e negli Stati Uniti.
Il ruolo politico del Sufismo
Spesso quando si parla di Sufismo si tende a far riferimento al solo aspetto spirituale sottovalutando la dimensione politica. Sebbene il riferimento al misticismo potrebbe far pensare agli ordini monastici cristiani e ad un certo isolamento dalle vicende mondane, l’eremitismo è per lo più considerato negativamente dalla dottrina islamica e le confraternite sufi hanno in molti casi giocato un ruolo attivo nelle società in cui si sono radicate.
In alcuni contesti, ad esempio, sopperirono alle mancanze di enti politici assenti, come in Congo, dove la Qadiriya, giunta nel XVIII secolo, fondò diverse scuole; in altri, stabilirono connessioni durature con le elite al governo come nel caso della Naqshbandiya in India. O addirittura la Muridiya, fondata in Senegal da Amadu Bamba sullo stampo della Qaridiya, fu in grado agli inizi del XX secolo di organizzare i propri accoliti economicamente e politicamente, riuscendo a conservare fino a oggi un rilevante peso nella vita politica del Paese.
Inoltre il XIX secolo vide alcune confraternite sufi combattere in prima linea nella resistenza anticoloniale. Tra questi figura, ad esempio, la Senussia in Libia, che guidò la guerriglia contro l’esercito italiano. In Asia Centrale invece Qadiriya e Naqshabandiya combatterono contro l’invasione zarista prima e sovietica dopo. Mentre lo stesso Bamba fu costretto all’esilio a causa dell’invasione francese del Senegal prima di poter fondare la Muridiya.
Oggi l’importanza politica delle comunità sufi si articola soprattutto nella tensione con i gruppi di matrice salafita/wahabita. Sebbene l’ostilità estremista sia spesso ascritta a ragioni di tipo dottrinale, di frequente essa è motivata anche da frizioni locali a livello socio – economico e politico. Nel caso della Libia, ad esempio, i recenti attacchi ai siti sufi da parte di milizie salafite rispecchiano non solo divergenze religiose, ma anche il divario economico tra una classe urbana e benestante e una di provenienza rurale che nelle città rimase esclusa dalla rete clientelare di Gheddafi, l’ex dittatore ucciso nel 2011.
Per di più la dottrina sufi ha ispirato una certa apertura e tolleranza verso religioni diverse. Ad esempio, il contestato movimento di ispirazione sufi del clerico turco Fetullah Gulen, oggi in esilio negli USA e accusato del coup in Turchia del 2016, ha promosso nel tempo momenti di incontro con fedi diverse rifacendosi agli insegnamenti sui valori universali del poeta sufi Rumi, vissuto nell’XI secolo. Iniziative di questo tipo, orientate al dialogo interreligioso e di matrice sufi, hanno contribuito a promuovere in Occidente un’immagine di Islam moderato e tollerante in un periodo dominato dall’islamofobia post- 11 settembre.
Fonti e Appronfondimenti:
A. Scarabel, Il Sufismo, Carocci editore, Roma, 2007
http://carnegie-mec.org/diwan/75310
Fai clic per accedere a explaining-interfaith-dialogue-in-the-muslim-world.pdf
https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/00263200701348847?src=recsys