La Cannabis è utilizzata in Medio Oriente da secoli: inizialmente impiegata in campo medicinale, è diventata gradualmente una sostanza assunta a scopo prevalentemente ricreativo. Tra le zone dove questa pianta viene coltivata spicca la valle libanese della Beqaa.
Medici, mistici e assassini: la Cannabis in epoca pre-contemporanea
In Medio Oriente, la Cannabis sativa e le sue molteplici funzioni erano note fin dall’Antichità. I botanici e medici arabi chiamavano la pianta qinnab (probabilmente un calco dall’accadico qunnab, derivante a sua volta dal greco); mentre le fibre erano impiegate per la fabbricazione di tessuti e cordami, semi, resina e foglie erano usati come analgesico, antiparassitario, carminativo e per il trattamento di diverse patologie. L’hashish, un composto dei derivati della pianta preparato in diversi modi a seconda del luogo e dell’epoca, era consumato principalmente in forma di pastiglie edibili.
Insieme alle proprietà medicinali, anche gli effetti psicoattivi della pianta erano ben conosciuti. Diverse fonti associano le confraternite Sufi all’uso del qinnab nelle cerimonie mistiche e, intorno al XIII secolo, l’hashish iniziò a essere consumato anche a scopo ricreativo. Come in ambito medico, il metodo di assunzione principale era per via orale; solo a partire dal XVI secolo, con l’introduzione del tabacco, si diffuse l’uso di fumare Cannabis.
Tuttavia, già nei secoli precedenti, l’uso di questo prodotto, al pari di quello degli alcolici, era considerato riprovevole proprio a causa dell’alterazione mentale indotta dalla sostanza. Il nome “ḥašīšiyya” era infatti utilizzato per indicare in modo dispregiativo il gruppo ismailita dei nizariti, attivo tra XI e XIII secolo; questo termine divenne la base in molte lingue europee per il termine “assassino”. Tramite i crociati l’idea che i membri della setta consumassero sostanze psicoattive prima di commettere gli omicidi politici per i quali i nizariti erano noti si diffuse anche in Occidente, dove si radicò. Ad esempio, ne Il Milione, Marco Polo racconta come il leader del gruppo, noto come “Il vecchio della montagna”, fornisse ai suoi adepti pastiglie di hashish per indurli in uno stato confusionale e spingerli a uccidere; l’idea è stata poi ripresa negli anni Trenta del Novecento dallo scrittore sloveno Vladimir Bartol nel suo romanzo Alamut, che a sua volta ha ispirato la nota ma storicamente poco accurata serie di videogiochi Assassin’s Creed.
La valle della Beqaa
Come per gli alcolici, nonostante la condanna morale, la Cannabis e i suoi derivati rimasero largamente in uso. Tuttavia, a partire dall’inizio del Novecento, vennero introdotte le prime proibizioni su coltivazione, uso e commercio della pianta.
Nella valle libanese della Beqaa, la coltivazione di Cannabis è un’attività piuttosto recente rispetto ad altre aree della Regione. La data esatta dell’introduzione della pianta è incerta, ma sicuramente è successiva all’annessione dell’area nell’Impero ottomano (1516). Durante il mandato francese su Siria e Libano, la produzione e la vendita dei ricavati della Cannabis erano un’importante fonte d’introiti per le tribù locali shiite. Dal momento che queste ultime si opponevano alla dominazione straniera, Parigi bandì la produzione di hashish nel 1926. Tuttavia, ciò non impedì alla valle della Beqaa e ai suoi abitanti di specializzarsi proprio nella coltivazione della Cannabis. Dopo l’indipendenza, la produzione della pianta e i conseguenti guadagni divennero una risposta locale all’incuria dello Stato centrale nei confronti dell’area, marginalizzata e sottosviluppata.
Fu solo a partire dalla guerra civile libanese (1975-1990) che la coltivazione della Cannabis nel Paese crebbe a dismisura, tanto da arrivare a una produzione stimata di circa 1.000-2.000 tonnellate all’anno di resina di Cannabis.
Una produzione altalenante
Nonostante la coltivazione della Cannabis si fosse radicata e consolidata durante i quindici anni di guerra civile, fra il 1991 e il 1993 un programma delle Nazioni Unite ne bloccò quasi interamente la produzione, che venne ufficialmente messa al bando nel 1992, sotto pressione degli Stati Uniti. Da allora, il Central Drug Enforcement Office (DEO) del governo iniziò una serie di campagne annuali contro i produttori di Cannabis, che ebbe però effetti limitati. Al contrario, in alcune zone del Paese, fra cui la valle della Beqaa, la produzione e il commercio di Cannabis e derivati divenne prerogativa di poche e influenti famiglie e clan locali, che ne gestiscono tutt’oggi il mercato, in una sorta di monopolio illegale.
Gli anni Duemila furono tratteggiati da numerosi eventi che ebbero pesanti conseguenze su produzione e commercio della Cannabis, tanto che gli ettari di terreno coltivati passarono dai circa 6.400 nel 2005 a poco più di 1.000 nel 2010. Il vero punto di svolta del mercato della Cannabis in Libano fu però lo scoppio della guerra civile siriana nel 2011. Proprio in quell’anno, l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine (UNODC) classificò il Libano come il quinto produttore mondiale di resina di Cannabis. Con una sempre maggiore preoccupazione per la sicurezza interna e il controllo dei confini a causa della guerra in Siria, il mercato della Cannabis riuscì a espandersi a dismisura. Il Libano divenne il quarto Paese a livello mondiale per produzione di resina di Cannabis nel periodo 2015-2019, dopo Marocco, Afghanistan e Pakistan. Le stime di UNODC riportano un picco di 40.000 ettari coltivati a Cannabis nel 2017 e con produzioni costanti e redditizie negli ultimi anni.
La strada verso la legalizzazione
È difficile fare stime precise sugli indotti del mercato della Cannabis, ma una cifra indicativa per il Libano potrebbe aggirarsi attorno ai 200 milioni di dollari annui. Il successo della Cannabis coltivata nel Paese è sicuramente da riportare alla sua alta qualità, ai costi relativamente bassi di produzione e a un alto rendimento. I Paesi verso cui si rivolge il mercato libanese sono principalmente i vicini Israele, Palestina, Giordania e Siria, fino ad arrivare ai Paesi del Golfo (Oman fra tutti), a quelli del Mediterraneo (Cipro, Turchia e Italia) e addirittura in Sud America (Brasile). Pre-crisi del 2019, la coltivazione di un dunum, un decimo di ettaro, costava fra i 100 e i 150 dollari, mentre il rendimento si aggirava attorno ai 3.000 dollari per dunum. Tuttavia, tale potenziale rimane nelle mani di poche e potenti famiglie o clan locali, soprattutto nella valle della Beqaa, l’area più fertile del Paese, e dove la coltivazione della Cannabis è maggiormente diffusa.
Nel luglio 2018, Nabih Berri, speaker del Parlamento libanese, comunicò l’intenzione del governo di commissionare uno studio sul rilancio economico del Paese, che doveva concentrarsi anche sulla fattibilità economica e legislativa di iniziare un percorso per la legalizzazione della “produzione di Cannabis per uso medico alla maniera di molti Paesi europei e degli Stati Uniti”. La ditta di consulenza McKinsey & Company fu commissionata per lo studio, che venne pubblicato l’anno successivo, con il titolo Lebanon Economic Vision. Fra le numerose proposte dei consulenti americani ci fu di particolare interesse per la cronaca quella di legalizzare la produzione industriale di Cannabis a uso medico, che avrebbe potuto generare fino a un miliardo di dollari di profitti per il governo. La risposta politica non tardò ad arrivare e, nel 2020, venne approvata la legge 178, che consente “la coltivazione di Cannabis, nella forma di semi o piante, per la produzione di prodotti, incluse le fibre a uso industriale, prodotti cosmetici, olii, estratti e composti per scopi medici, farmaceutici e industriali”. La legge regola anche le modalità e gli enti che si possono occupare di tali pratiche: la produzione è possibile esclusivamente tramite licenza governativa e possono essere coltivate solo piante con una percentuale di THC inferiore all’1%.
Dal 2020, il Libano diventa il primo Paese arabo a legalizzare la coltivazione della Cannabis per scopi medici e industriali. Purtroppo, l’attuale crisi in cui si trova il Paese impedisce di sfruttare appieno questo potenziale economico, dal momento che l’aumento dei costi di produzione ha messo in seria difficoltà i coltivatori, creando di fatto un circolo vizioso.
Fonti e approfondimenti
Afsahi Kenza, Darwich Salem, Hashish in Morocco and Lebanon. A comparative study in “International Journal of Drug Policy”, 2016.
Danilo Marino, Hashish and Food: Arabic and European Medieval Dreams of Edible Paradises, in Kirill Dmitriev, Julia Hauser, Bilal Orfali (ed), Insatiable Appetite. Food as Cultural Signifier in the Middle East and Beyond, Brill, 2020, pp 190-213.
Laila Bassam, Dominic Evans, Lebanon’s cannabis farms flourish while army looks away, Reuters, Maggio 2014.
UNODC, World Drug Report.
Richard Hall, Budding business: how cannabis could transform Lebanon, The Guardian, Luglio 2018.
Timour Azhari, Lebanon set to legalise medical, industrial cannabis cultivation, Aljazeera, Marzo 2020.
Editing a cura di Niki Figus
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