Il Libano, conosciuto dagli anni Sessanta come la “Svizzera del Medio Oriente”, fu sconvolto per venticinque anni da un lungo conflitto armato che terminò con gli accordi di Ta’if del 1989.
Le radici della discordia
Senza dubbio eventi esterni sono stati determinanti per la storia del Libano, ma le radici del conflitto sono da ricercare nel sistema politico del Paese. La repubblica costituzionale libanese nacque con il sistema dei mandati della Lega delle Nazioni nel 1920. Alla fine della Prima guerra mondiale la Francia, volendo espandere l’area della provincia del Monte Libano a scapito della Siria, creò il Grande Libano (l’attuale Repubblica del Libano). Alla zona del Monte Libano, abitata perlopiù da cristiano-maroniti, furono aggiunte la zona delle città costiere e altre zone a sud, a est e a nord abitate da musulmani sunniti, sciiti, greci-ortodossi e drusi. Stando al censimento del 1932, il 50,4% della società libanese era cristiana – di cui il 29% maronita-, mentre il 49,1% era musulmana – 22,5% sunnita, 19,8% sciita e 6,8% drusa.
Secondo la logica del “divide et impera” il sistema politico libanese fu impostato come una democrazia confessionale, in cui i membri del Parlamento sono eletti sulla base di quote che rispecchiano il peso demografico dei rispettivi gruppi religiosi ed etnici. Nel 1943, con il raggiungimento dell’indipendenza, il Patto Nazionale stabilì che la carica di presidente sarebbe spettata a un cristiano-maronita mentre quella di Primo ministro a un sunnita. Inoltre i sunniti avrebbero accettato l’esistenza del Libano come uno Stato nazionale separato dalla Siria e il Paese sarebbe rimasto aperto sia all’influenza del mondo occidentale che a quella del mondo arabo.
Il nuovo sistema politico rivelò ben presto la sua debolezza. Nel 1957, non solo le elezioni furono caratterizzate da diversi episodi di corruzione ma il presidente, Camille Chamoun, tentò di emendare la Costituzione per garantirsi un secondo mandato (come già aveva provato a fare il primo presidente Bashar al-Khoury). Questi fatti portarono alla crisi libanese del 1958, che fu risolta solo quando i Marines degli Stati Uniti arrivarono a Beirut e destituirono Chamoun per sostituirlo con il generale Fuad Chehab.
Due fronti contrapposti
Il 13 aprile 1975, nel quartiere cristiano Ain al-Rummane di Beirut, una sparatoria – i cui mandanti rimangono ancora poco chiari – portò alla morte di alcuni membri delle Falangi, una milizia cristiano-maronita. Per rappresaglia il leader delle Falangi, Pierre Gemayel, decise di colpire un bus uccidendo ventotto civili palestinesi. Si formarono così due schieramenti. Il primo, il Fronte Libanese, supportato dagli Stati Uniti, comprendeva il Partito nazional-liberale e le milizie maronite organizzate nelle Forze libanesi. Il secondo vide i palestinesi unirsi al Movimento Nazionale Libanese assieme a un insieme di forze progressiste, come il partito druso di Kamal Jumblatt e gli sciiti, tra cui spiccava la milizia Amal. Il secondo fronte fu appoggiato dall’Unione Sovietica e dalla Siria, intervenuta subito nel conflitto. Nel 1976, tuttavia, la Siria cambiò fronte e si impegnò per impedire la sconfitta del fronte cristiano temendo che una frammentazione del Libano su base etnico-religiosa e un’eventuale entrata in guerra di Israele potessero ripercuotersi sulla propria stabilità. L’imminente sconfitta del fronte progressista portò a una tregua proposta al vertice di Ryad in Arabia Saudita nello stesso anno.
Le invasioni israeliane
Nel 1978, Israele diede inizio a una prima invasione del Libano con l’appoggio del neocostituito esercito del Libano del Sud di Saad Haddad, composto perlopiù da cristiano-maroniti, con l’intento di assicurarsi una fascia di sicurezza al di sotto del fiume Litani. Il tentativo israeliano di neutralizzare i guerriglieri palestinesi presenti nell’area fu tuttavia interrotto dopo pochi mesi per non minare i difficili negoziati di pace con l’Egitto.
Nel 1982, Israele invase nuovamente il Libano contando sull’appoggio statunitense del nuovo presidente Reagan. Il Primo ministro israeliano Menachem Begin e il ministro della Difesa Ariel Sharon misero a punto il piano segreto dei “Grandi Pini”. Il piano di Israele questa volta mirava alla distruzione del quartier generale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, all’espulsione dei palestinesi presenti in Libano e alla creazione di un governo fantoccio alleato di Israele che trasformasse il Paese in uno Stato unitario governato dai maroniti.
Tuttavia, nello stesso anno fu assassinato in un attentato il presidente della Repubblica Bachir Gemayel, figlio di Pierre e capo delle Falangi. I palestinesi furono ritenuti colpevoli e le milizie cristiane, con l’appoggio dei militari israeliani, massacrarono migliaia di civili nei campi profughi di Sabra e Chatila a Beirut. Nonostante i successi militari di Israele, le notizie del massacro ebbero un forte effetto sull’opinione pubblica israeliana e internazionale. Israele fu così costretto a ritirarsi fino alla fascia di sicurezza nel sud dove però avrebbe incontrato la forte resistenza di un nuovo attore politico: Hezbollah, che avrebbe costretto Israele al ritiro definitivo nel 2000.
Gli accordi di Ta’if
Nel 1982, Amin Gemayel, fratello di Bachir fu eletto nuovo presidente. Egli si rifiutò di firmare il trattato di pace con Israele proposto dagli Stati Uniti preferendo riconoscere la Siria di Hafez al-Assad come unica presenza straniera nel Libano. Negli anni tra il 1985 e il 1988 la guerra proseguì portando alla luce le rivalità tra sciiti e palestinesi e tra sciiti di Amal ed Hezbollah per il controllo del sud del Libano. La forte militarizzazione delle diverse comunità confessionali, la divisione e l’inefficienza della politica libanese impedirono di trovare una soluzione al conflitto. La fine della guerra in Libano fu piuttosto facilitata da una serie di eventi esterni: la prima Intifada, la nascita di Hamas, la fine della guerra tra Iran e Iraq e la morte dell’ayatollah Khomeini, le riforme politiche ed economiche nell’URSS di Gorbaciov. L’attenzione internazionale si spostò ben presto sull’invasione irachena del Kuwait del 1990.
Dunque, i negoziati condotti in Arabia Saudita e sostenuti dalla Lega araba, portarono agli accordi di Taif. Il sistema politico libanese non venne smantellato: si optò per un suo riequilibrio, garantendo la parità dei seggi e delle cariche per cristiani e musulmani. Inoltre fu stabilita la riduzione dei poteri del presidente della Repubblica e l’aumento dei poteri del Parlamento. In tal senso gli accordi di Ta’if non portarono al superamento del Patto Nazionale del 1943. Furono sanciti infine il disarmo di tutte le milizie su base confessionale e la sovranità del governo libanese su tutto il territorio nazionale. Tuttavia, nella realtà dei fatti il Libano rimase fortemente esposto all’influenza della Siria, soprattutto dopo la stipula dell’ ”accordo di Fraternità” nel 1991, e di altri attori esterni, non ultimo l’Iran.
Gli accordi di Ta’if oggi
Dalla crisi politica del 1958 a oggi, il sistema politico libanese non è riuscito a garantire stabilità politica al Paese. Ciò l’ha reso vulnerabile all’ingerenza di potenze straniere. Già prima della guerra civile degli anni 1975-1990, nel 1969 l’Egitto intervenne e pose fine a una crisi interna e nel 2008 un’altra crisi fu risolta grazie all’intervento del Qatar e della Lega Araba. Gli accordi di Ta’if, sebbene abbiano comportato un ribilanciamento dei poteri all’interno del sistema politico libanese, non ne hanno tuttavia modificato la struttura confessionale. Inoltre la demografia libanese ha subito dei profondi mutamenti nel corso del tempo. Secondo alcuni dati non ufficiali, gli sciiti hanno registrato un notevole incremento demografico negli ultimi decenni e si stanno affermando come la componente più numerosa della popolazione. Oggi il Libano rimane una fragile democrazia indebolita anche dalla pesante crisi economica: potrebbe essere questa l’occasione per rinnovare il sistema politico settario libanese?
Fonti e approfondimenti:
Marcella Emiliani, Medio Oriente – Una storia dal 1918 al 1991, Laterza, 2012.
Rashid Khalidi, Sowing crisis – The Cold War and American dominance in the Middle East, Beacon press, 2009.
Grafica: Marta Bellavia – Instagram: illustrazioninutili_