di Nura Alawia
Secondo l’ultimo report rilasciato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), il Libano ospita il maggior numero di rifugiati pro capite, cioè per numero di abitanti: su circa 7 milioni di abitanti, 1.5 milioni sono rifugiati siriani e approssimativamente 500,000 rifugiati palestinesi. Inoltre, in Libano ci sono 18,500 rifugiati provenienti da Etiopia, Iraq, Sudan e altri Paesi. Mentre l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) ha il compito di fornire assistenza sanitaria e accesso all’istruzione ai palestinesi; l’UNHCR sostiene i rifugiati siriani. A queste si aggiungono diverse ONG e associazioni internazionali attive nel settore umanitario. Tuttavia, il governo libanese ha mantenuto un atteggiamento di riluttanza verso l’integrazione dei rifugiati, con gravi conseguenze sulle condizioni di vita di questi ultimi. Il governo libanese non ha, ad esempio, firmato la Convenzione di Ginevra del 1951 e la definizione stessa di rifugiato rimane indefinita nell’ordinamento legale del Paese e, con essa, anche i diritti che lo status di rifugiato garantirebbe.
Rifugiati palestinesi in Libano
L’UNRWA nacque con la risoluzione 302 (IV) dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1949, in risposta allo scoppio del conflitto arabo-israeliano nel 1948. La guerra, definita dalla storiografia araba come ‘nakba’ (‘catastrofe’) determinò l’esodo senza ritorno di circa 750,000 palestinesi. Questi cercarono asilo nei Paesi limitrofi: in Giordania, Cisgiordania, Striscia di Gaza, Siria e Libano. In questi Paesi, l’UNRWA allestì campi profughi, scuole, centri sanitari e di distribuzione in aree anche al di fuori dei campi ufficiali.
Ognuno degli Stati ospitanti ha reagito in maniera differente all’arrivo dei palestinesi: in Giordania questi acquisirono subito la cittadinanza sebbene nella pratica continuarono a essere oggetto di discriminazione. In Siria, furono integrati nell’assetto socio-economico del Paese senza però che fosse concessa loro la cittadinanza. In Libano, ad oggi, i rifugiati palestinesi non hanno accesso alla cittadinanza e sono discriminati dal punto di vista legale ed economico. Essi, sono per la gran parte sostenuti dalle organizzazioni umanitarie attive nel Paese.
Esistono tre categorie di rifugiati palestinesi in Libano: i rifugiati registrati presso l’UNRWA e presso le autorità libanesi; i rifugiati che sono registrati solo presso le autorità libanesi, ma non lo sono presso l’UNRWA e i rifugiati che non sono registrati presso l’UNRWA o le autorità libanesi, comunemente indicati come rifugiati non identificati e privi di un documento di identità valido. Un rapporto di Amnesty International del 2006 ha denunciato come la discriminazione dei rifugiati palestinesi e dei loro figli violi gli obblighi del Libano ai sensi dell’articolo 2.1 della sua Costituzione, dal momento che il governo non estende la stessa protezione a “ogni bambino nella sua giurisdizione” – come definito dall’articolo – distinguendo, di fatto, cittadini libanesi e palestinesi e discriminando questi ultimi poiché apolidi.
La mancanza di uno status chiaro per i palestinesi è in gran parte dovuta alle tensioni settarie di lunga data che continuano a destabilizzare il Paese. I partiti politici cristiani, infatti, si oppongono all’integrazione della maggior parte della comunità palestinese in quanto musulmana sunnita, temendo che ciò possa destabilizzare l’equilibrio di potere vigente basato su una ripartizione delle cariche su base settaria. Di conseguenza, a seconda della legislazione, i palestinesi possono essere trattati come rifugiati, stranieri o apolidi. In particolare, numerose leggi impediscono ai palestinesi di possedere proprietà o di frequentare la scuola pubblica. I palestinesi in Libano non possono lavorare nel settore pubblico o in professioni che concernono la medicina, la legge o l’ingegneria, dove è obbligatoria l’adesione ai sindacati libanesi. A loro è negato l’accesso alle strutture mediche o educative dello Stato libanese.
Rifugiati siriani in Libano
Per i rifugiati siriani, la questione si delinea secondo dinamiche differenti. Nel primo anno della guerra civile, circa centomila persone trovarono rifugio in Libano. Il governo libanese reagì allo scoppio della guerra civile con una politica di apertura delle frontiere, aspettandosi che la crisi in Siria si concludesse rapidamente. Tuttavia, di fronte alla progressiva escalation del conflitto siriano, nell’estate del 2013, l’Organizzazione di sicurezza generale (OSG) libanese, che è responsabile del controllo delle frontiere, iniziò a rafforzare i controlli ai confini tra Siria e Libano. Nell’autunno 2014, il governo libanese introdusse nuove restrizioni e misure per i siriani, implementate da gennaio 2015.
I rifugiati siriani hanno bisogno di un visto per entrare in Libano e per loro è diventato difficile ottenere il permesso di soggiorno. L’ottenimento del suddetto permesso può avvenire in due modi: mediante documenti forniti da un datore di lavoro, o attraverso un’attestazione che certifichi la capacità di mantenersi economicamente durante il soggiorno in Libano. I richiedenti di età superiore ai quindici anni devono pagare alla OSG una tassa di 200 USD (circa 180 euro) a persona per un soggiorno di sei mesi. Questo è rinnovabile gratuitamente per altri sei mesi previa approvazione delle autorità competenti, ma dopo un anno i candidati devono pagare una nuova tassa, spesso molto onerosa per le famiglie siriane.
Da una valutazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) del 2014, è emerso, difatti, che i lavoratori siriani in Libano guadagnano molto meno delle loro controparti libanesi. Il reddito medio mensile per un rifugiato siriano in Libano era inferiore quasi del 40% rispetto al salario minimo di 675,000 LBP (448 dollari). Per questo motivo, alcuni scelgono di tornare in Siria – secondo l’UNHCR, dal 2016 alla fine del 2019, oltre 53mila persone – mentre altri rimangono nel Paese clandestinamente.
L’aspetto più preoccupante della condizione dei rifugiati siriani è la condizione in cui vivono i minori. Più della metà dei rifugiati siriani registrati sono bambini e tre quarti di questi hanno meno di dodici anni. Molti non sono accompagnati, separati dai loro genitori o orfani. Con oltre la metà non a scuola, una generazione sta crescendo senza un’istruzione formale e con poche prospettive per il futuro. Attualmente, infatti, se sono legalmente registrati, i siriani trovano lavoro soprattutto in tre settori in cui la concorrenza con il popolo libanese è considerata meno probabile: edilizia, agricoltura e nettezza urbana.
La necessità di una strategia di integrazione a lungo termine
Il Libano si caratterizza per dimensioni geografiche come uno dei Paesi più piccoli del Medio Oriente. Le condizioni economiche e politiche in cui versa sono tra le più problematiche. Con lo scoppio della guerra in Siria, nel 2011, il Libano è diventato la ”casa” di ulteriori rifugiati politici. E sebbene i rifugiati siriani possano godere del riconoscimento legale perché cittadini di uno Stato, sono, in ogni caso, oggetto di discriminazioni come lo sono i palestinesi: le politiche mirate a impedire ulteriori arrivi dalla vicina Siria si sono gradualmente inasprite; per i rifugiati palestinesi, l’assenza di una legislazione specifica che affronti la situazione peculiare in cui vivono li ha resi vulnerabili all’emarginazione all’interno della società libanese, sia come individui che come comunità.
Tuttavia, se il governo libanese fosse più aperto all’integrazione dei rifugiati, questi potrebbero rappresentare una risorsa per il Paese, tanto più se si considera la crisi economica che ha messo in ginocchio il Paese. L’integrazione dei rifugiati potrebbe aiutare il Paese a migliorare a livello economico e sociale, con una possibile riduzione dei tassi di povertà, emarginazione e criminalità. Poiché la crisi umanitaria non mostra segni di attenuazione e il conflitto continua senza sosta, devono essere sviluppate strategie a lungo termine che vadano oltre gli aiuti umanitari immediati. La pandemia da Covid-19 ha esacerbato la situazione di vulnerabilità in cui versano i rifugiati in Libano, sia per l’inefficienza dei servizi sanitari – perlopiù privati – sia per l’ulteriore contrazione del mercato del lavoro. Una piena integrazione dei rifugiati potrebbe rappresentare una risorsa per il Paese e contribuire a mitigarne l’instabilità politica. Per far ciò è necessario un cambio di rotta delle istituzioni libanesi che dovrebbero essere rafforzate, specialmente nella loro capacità di fornire assistenza tanto ai rifugiati, quanto ai cittadini libanesi.
Fonti e approfondimenti
F. Dionigi, “The Syrian Refugee Crisis in Lebanon: State Fragility and Social Resilience“, ResearchGate, febbraio 2016
Al Jazeera, “Seven Days in Beirut: Life Inside Burj al-Barajneh Refugee Camp“, 27 giugno 2018
UNRWA, Lebanon
L.E. Andersen, “The neglected: Palestinian refugees in Lebanon and the Syrian refugee crisis“, Danish Institute for International Studies, 2016
Briefing to the Committee on the Rights of the Child, Lebanon Limitations on Rights of Palestinian Refugee Children, maggio – giugno 2006
CARE, Syrian refugees in Lebanon eight years on, 2018