Dalla fine della sanguinosa guerra fratricida nel 1990 alla fine del 2019, il Libano era riuscito a mantenere una certa stabilità economica anche in momenti difficili, come, ad esempio, l’assassinio del primo ministro Rafīq al-Harīrī nel 2005; o la guerra di luglio 2006 tra Hezbollah e Israele. Infatti, nonostante l’instabilità politica, dal punto di vista finanziario il Paese veniva considerato molto solido. Proprio per l’apparente stabilità economica e il ruolo di polo bancario della regione, il Libano era stato etichettato come la “Svizzera del Medio Oriente”.
L’effettiva forza dell’economia libanese è stata però messa in dubbio nell’ottobre del 2019, quando decine di migliaia di manifestanti, al grido di “thawra” (rivoluzione), hanno protestato nelle principali città, chiedendo a gran voce una soluzione alla precaria situazione economica e politica.
Una bomba a orologeria
Situato al centro di un coacervo di conflitti e tensioni geopolitiche, il Libano è fortemente soggetto alle tensioni che affliggono il Medio Oriente. Il caos regionale si aggiunge a una difficile situazione a livello interno, peggiorata dalla corruzione “istituzionalizzata” del sistema confessionale che attualmente tiene in scacco il Paese. Queste difficoltà strutturali si sommano all’alto numero di rifugiati, soprattutto siriani e palestinesi, presenti sul territorio libanese e all’ormai egemone ruolo di Hezbollah nel Paese.
A inizio giugno, dopo settimane di lockdown, la svalutazione della lira libanese e la disoccupazione crescente hanno innestato nuove proteste. La crisi sanitaria ha contribuito, infatti, a esacerbare la situazione e ora ci si domanda quanto ancora il Libano possa reggere. Per capire come mai l’economia libanese sia deteriorata al punto da portare il Paese alla crisi sociale e quali sono i possibili scenari che il Paese dei cedri ha davanti a sé, bisogna fare un passo indietro e analizzare i fattori che hanno condotto il principale hub finanziario mediorientale sull’orlo del baratro.
Cosa è successo al modello economico libanese?
La mossa vincente che ha garantito il corretto funzionamento dell’economia libanese è stata la decisione della Banca centrale, la Banque du Liban (BdL), e del suo presidente, Riad Salameh, in carica da 27 anni, di ancorare la valuta locale, la lira libanese, al dollaro statunitense. Dal 1997 la valuta libanese è rimasta ancorata al cambio fisso di 1’507 lire libanesi per dollaro. Questa strategia, che Salameh stesso aveva definito di “ingegneria finanziaria”, ha reso l’autorevole tecnocrate uno dei maggiori economisti mondiali e ha garantito al Paese di beneficiare dei vantaggi di una valuta forte. L’ancoraggio della lira libanese al dollaro statunitense ha infatti assicurato un agiato stile di vita ai cittadini e garantito alle aziende, fortemente dipendenti dall’import, di interagire con l’economia globale.
Il perno su cui si reggeva l’economia del sistema libanese ha però ceduto nell’agosto 2019. L’ancoraggio, pur esistente ufficialmente, è saltato e sul mercato nero la lira libanese è crollata. Contemporaneamente sono calati drasticamente gli investimenti, l’inflazione è schizzata alle stelle e le riserve libanesi in valute estere si sono ridotte in modo allarmante.
L’inizio della fine: le cause
Individuare le cause specifiche che hanno portato al declino dell’economia libanese è un compito arduo ed estremamente tecnico. Dopo che il Paese era incredibilmente riuscito a crescere durante la crisi del 2008, l’inizio del crollo della “Svizzera del Medio Oriente” può essere datato al 2011 con lo scoppio della crisi siriana. Lo sconfinamento parziale del conflitto ha ridotto drasticamente le entrate e gli investimenti esteri. Questo ha causato una decrescita impressionante del PIL, sul quale hanno gravato contemporaneamente oltre un milione e mezzo di rifugiati siriani. Le tensioni regionali hanno però solo accelerato il declino dell’economia libanese, rendendo evidenti le enormi falle strutturali che la classe dirigente non è stata in grado di sanare.
Corruzione
Il grande problema del Libano rimane la corruzione endemica. Nel Corruption Perception Index del 2019, il Libano occupa una bassissima posizione (137/180) e nella regione mediorientale è davanti solo a Paesi dilaniati da conflitti, come Iraq, Siria e Yemen. Secondo la percezione popolare, sarebbero proprio i gravi problemi di corruzione e clientelismo che avrebbero impedito all’economia libanese di risollevarsi. La stretta commistione tra la politica e i settori chiave dell’economia ne sono prova. Il settore bancario e dei servizi, che trainano l’economia libanese, sono di fatto dominati dai vari potentati politici. Questo ha portato a iniziative in settori non produttivi e molto spesso a sprechi, deficitari per le finanze pubbliche. Un esempio lampante è l’inefficiente e dispendiosa industria elettrica, gestita dallo Stato, che erode fondi pubblici con un debito corrente annuo di più di un miliardo di dollari.
Indebitamento piramidale e corsa agli sportelli
Il Libano è il secondo Paese più indebitato del mondo, con il rapporto debito/PIL che ha ormai raggiunto il 170%. I titoli di debito pubblico sono prevalentemente detenuti dalle banche, che operano in stretta collaborazione con la BdL. La garanzia di copertura dei debiti attraverso il settore bancario privato ha fatto però assumere al sistema una forma di “schema Ponzi” (ovvero la tecnica – insostenibile sul lungo termine – di coprire il debito pregresso con l’emissione di debito nuovo).
Le banche libanesi hanno offerto per anni tassi d’interesse esorbitanti grazie agli interessi maturati sul denaro che hanno prestato allo Stato, che a sua volta non impiegava il capitale nella produttività economica ma, piuttosto, si perdeva in sprechi e per fornire un ancoraggio stabile dollaro-lira. Il sistema piramidale è crollato quando, a seguito delle ampie proteste, sono calate la credibilità interna e, soprattutto, quella internazionale.
Il rischio che il Libano sia a corto di liquidità si fa ora più che concreto. Le banche hanno imposto severe limitazioni ai trasferimenti internazionali e soprattutto ai prelievi, motivo per cui i manifestanti hanno attaccato gli istituti di credito. Ad oggi, la capacità di prelievo, con il valore della lira che cade a picco, rende difficile il sostentamento e la situazione è in continuo peggioramento.
Svalutazione della moneta e isolamento internazionale
Le restrizioni sugli scambi in valute forti e i prezzi iperinflazionati del mercato nero hanno minimizzato la capacità delle aziende libanesi (al 95% piccole e medie imprese) di importare beni dall’estero. La dipendenza del Libano dalle importazioni, anche per i beni di prima necessità, spiega il motivo per cui un deprezzamento della moneta porti a un incremento ancora maggiore dei prezzi di questi beni.
Per aiutare il Libano a sostenere gli aumenti di spese dovute all’improvviso incremento della popolazione, aumentata quasi del 40% nell’ultimo decennio a seguito dell’immigrazione di massa di rifugiati siriani, nel 2018 era stata organizzata a Parigi una conferenza per raccogliere fondi. Qui erano stati garantiti circa 11 miliardi di dollari di aiuti e prestiti agevolati, a patto che il nuovo esecutivo stipulasse concrete riforme strutturali. La prospettiva della coalizione internazionale era quella di sostenere un governo di larghe intese, che potesse unire le maggiori forze politiche sciite, sunnite e cristiane. Un governo sostenuto da tutti gli schieramenti avrebbe infatti potuto rassicurare gli investitori.
Tale prospettiva si è ribaltata con lo scoppio delle proteste che hanno portato alle dimissioni del primo ministro Saad Hariri. Il nuovo esecutivo guidato da Hassan Diab è infatti sostenuto principalmente da forze politiche vicine ad Hezbollah, considerata sia da USA che dall’UE un’organizzazione terroristica. Per questo motivo è assai improbabile che i partner internazionali riunitisi a Parigi siano ancora disposti a garantire il sostegno finanziario che sarebbe vitale per un Libano sempre più isolato.
Possibili sviluppi
Oltre a questi fattori, la recente pandemia ha chiuso i battenti di molte imprese, costringendo alla disoccupazione una larga fetta della popolazione libanese. Per scongiurare l’aumento del disagio sociale tra le classi medio-basse, pericoloso per la tenuta del Paese, in marzo scorso il Libano non ha onorato i propri debiti per la prima volta nella storia. Il rischio di default è ora più che concreto.
Le opzioni sul tavolo sono varie. Al tentativo di ristrutturazione di 30 miliardi di dollari del debito che vorrebbe ottenere il governo si è opposta la BdL e il suo influente governatore, più incline a utilizzare le magre riserve in valuta estera per onorare i debiti con i creditori stranieri. Qualora l’esecutivo di Diab si ostinasse a non pagare i creditori internazionali, si potrebbe aprire anche la possibilità di azioni legali nei confronti del Libano. L’unica certezza è che attualmente il duro scontro istituzionale non fa che peggiorare la situazione di stallo.
Un intervento massiccio di finanziamento esterno ridurrebbe il rischio di default, ma costringerebbe le autorità libanesi a prendere delle decisioni di austerità con l’auspicio di scongiurare una nuova crisi. Nelle ultime settimane, a seguito di una richiesta formale da parte dell’esecutivo, emissari del Fondo Monetario Internazionale (FMI) sono sbarcati a Beirut. Il timore però è che la popolazione non sia disposta ad accettare dolorose riforme strutturali dell’economia, insostenibili per quasi i tre quarti di libanesi che necessitano un aiuto immediato, per non parlare delle classi più povere composte da emigrati siriani e palestinesi.
Inoltre, va considerato anche l’ostacolo Hezbollah. Il partito-milizia che sostiene l’esecutivo di Beirut è contrario a ogni accordo con l’FMI, considerato la longa manus iraniana del “Grande Satana” statunitense. Qualche giorno fa, il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah ha assicurato che la Cina, già primo partner importatore del Libano, è disposta a iniettare liquidità investendo in grandi progetti infrastrutturali per salvare l’economia libanese. La Russia smentisce categoricamente le indiscrezioni che ne prevedevano un intervento sul breve termine. Al momento, l’unica cosa che evolve è la gravità della crisi economica e le proteste.
La questione è se le decisioni economiche che verranno prese, insieme all’ascesa dei sunniti, il potere degli Hezbollah e dei suoi influenti partner e la povertà dei rifugiati siriani e palestinesi significhi che una nuova crisi umanitaria in Libano sia inevitabile.
Fonti e approfondimenti
Andrews, John. 2016. The World In Conflict. London: Profile Books Ltd, pp.61-70.
Noueihed, Lin & Khraiche, Dana, “Nationwide protests erupt in Lebanon as economic crisis deepens“, Bloomberg, 18/10/19.
Dacrema, Eugenio, “Libano: le dimensioni di una crisi“, ISPI, 21/02/2020.
Al Monitor Staff, “Lebanon’s central bank to inject dollars as currency crashes“, Al Monitor, 12/06/2020.
Bongiorni, Roberto, “Libano, ecco come la «Svizzera del Medio Oriente» è finita in default“, Il Sole 24 Ore, 11/03/2020.
Vohra, Anchal, “The Death of Lebanon’s Middle Class“, Foreign Policy, 21/05/2020.
Ghosh, Palash, “Can China Instead Of The IMF Save Lebanon’s Crippled Economy?”, International Business Times, 17/06/2020.
The editorial board FT, “Bankrupt Lebanon’s turn to IMF is overdue“, Financial Times, 04/05/2020.
Image: Bahlo, Freimut, “2019 protests in Lebanon“, Wikipedia Commons, 23/10/2019.