Il sistema settario che mette in scacco il Libano

Libano
@Tobias Jakobs - Dominio pubblico

Domenica per le strade del Libano molti manifestanti, al grido di “Kullun haramiyyeh” , sono tutti ladri, hanno percorso la città per rimarcare la voglia di cambiamento di una parte del popolo libanese.

Il paese dei cedri da molti anni sta assistendo da spettatore alle grandi crisi che si svolgono vicino a lui, come l’attuale conflitto siriano, bloccato da un sistema politico confessionale, nato dopo la guerra civile, che gli permette stabilità e pace ma non crea alcun grado di sviluppo politico e sociale nel paese, permettendo ai partiti religiosi di essere i padroni indiscussi del paese.

Attualmente in Libano ci sono 4 gruppi religiosi maggiori: i cristiani maroniti,che dopo essere stati per lungo tempo la maggioranza della popolazione stanno perdendo questo primato , i sunniti, guidati dal premier Hariri , gli sciiti, guidati da Hezbollah, e i drusi, una minoranza islamica molto chiusa che vive nel Sud Est del paese.

L’evento politico più importante dell’ultimo periodo in Libano è stata l’elezione del nuovo presidente, l’ex generale maronita Michel Aoun, molto famoso per essere stato l’ultimo primo ministro del paese prima della fine della guerra civile. Dopo due anni e mezzo di posto vacante l’ex membro delle forze armate è riuscito a mettere d’accordo le diverse forze del paese, il sunnita Hariri e il partito milizia Hezbollah, che hanno cooptato sul suo nome facendolo presidente di un paese ingovernabile.

Il sistema confessionale

Il paese è incastrato in un sistema confessionale che non permette l’esplodere di nuove violenze, ma che non crea le condizione di reale governabilità. L’ordine costituzionale libanese è stato sancito negli accordi di pace di Ta’if, cittadina saudita dove sono stati firmati dai rappresentati delle diverse fazioni, che avevano decretato la fine di 15 anni di guerra civile. La pace si fonda sulla garanzia del perfetto bilanciamento delle forze tra cristiani maroniti, sunniti e sciiti che si dividono le cariche istituzionali e i seggi parlamentari. La regola è che il Presidente della Repubblica spetta ai cristiani, il primo ministro ai sunniti e il Presidente del Parlamento agli sciiti.

Grazie a queste divisioni su basi identitarie ogni forma di politica reale è compromessa. I partiti non si sfidano tra di loro per cercare di raggiungere il più alto grado di consenso su base nazionale, ma hanno il solo bisogno di garantirsi il consenso nella propria rispettiva fetta di popolazione. Questa competizione, che si può definire intra-religiosa, ribalta totalmente il paradigma del buon governo ma porta i partiti a rimarcare le differenze con l’altra comunità e spinge una gara ad alzare i toni, sempre evitando l’esplosione di un nuovo scontro, così da  poter rafforzare l’unità della propria base.

Il sistema elettorale

La grande contraddizione del sistema libanese però risiede nel rapporto tra sistema elettorale e sistema settario. Solitamente i paesi con forte caratteristiche identitarie, per esempio l’Iraq, hanno sistemi elettorali proporzionali così da garantire ai diversi gruppi la rappresentanza reale.

Il sistema elettorale libanese è invece un rimasuglio della costituzione imposta dai francesi e dagli inglesi alla fine della guerra mondiale e quindi è un sistema maggioritario puro a collegi uninominali, così detto first pass the post. Le elezioni sono quindi una via non percorribile per rilanciare il processo politico libanese. Come si può intuire facilmente nessuna forza vuole perdere contro un avversario verso cui ha un così alto livello di conflittualità e  l’unica conseguenza possibile ad un eventuale elezione maggioritaria è il mancato riconoscimento della sconfitta da parte del perdente e il riaccendersi di violenze.

Il sistema proporzionale sembra essere l’unica riforma possibile, ma non tutte le forze politiche libanesi sono d’accordo.

Due gruppi sono particolarmente ostili a questa previsione, e come si può intuire sono i due gruppi meno numerosi: i drusi e i sunniti. Entrambi sanno che sarebbero assolutamente sfavoriti in una competizione elettorale demografica, in particolare nel lungo periodo.

I dati demografici parlano chiaro, anche se nessuno intende decretare un censimento ufficiale rischiando di dare il permesso ufficiale al gruppo più numeroso di definirsi più importante. Gli sciiti sono, secondo i dati informali, la popolazione che cresce di più e in pochi decenni rappresenteranno la maggioranza della popolazione.

Competizione elettorale e corruzione

Se il dato elettorale fallisce, il sistema continua in un circolo vizioso e l’unica competizione possibile è all’interno dei vari gruppi. Questa competizione ha come elemento fondante la concussione che porta al disfacimento della pratica democratica trasformando la corsa in un continuo scambio di voti.

Proprio per questo sistema la corruzione è salita a livelli altissimi mettendo il Libano al quarto posto tra i paesi mediorientali più corrotti, dietro solo a paesi come Iraq, Siria e Libia che difficilmente possono essere definiti stati attualmente. Solo nell’ultimo mese sono stati più di 10 gli scandali di corruzione gravi; l’ultimo nella lista ha coinvolto l’ex primo ministro libanese Fouad Siniora, invischiato in un procedimento riguardante i fondi dell’aeroporto di Beirut.

Queste pratiche hanno trasformato il mondo politico del paese in un grande mercato in cui servizi sociali e diritti costituzionali sono ormai in vendita. Attualmente in Libano l’unico modo per un cittadino di ottenere i servizi statali è affiliarsi ad un gruppo così che quest’ultimo fornisca i propri, come Hezbollah, o che si impegni affinché si possa godere di quelli statali.

Questo clima e l’impossibilità della popolazione di contare nel processo democratico hanno portato ad un forte senso di frustrazione da parte della popolazione. Il paese versa inoltre in una condizione di importante dissesto, il debito ha ormai raggiunto il 163% del PIL, i tassi di povertà crescono e nessuno dei gruppi politici sembra intenzionato ad agire.

La comparsa di forze laiche e i possibili sviluppi

Negli ultimi anni la situazione politica ha visto l’emergere di forze laiche, inter-settarie e appartenenti alla società civile, come nel caso di Beirut Madinati, ma difficilmente riescono ad attirare quelle fasce più povere della popolazione, le quali hanno sofferto maggiormente della guerra civile e che più rimangono legati alle fazioni che sanno potrebbero proteggerlo in un nuovo scontro.

I gruppi laici riesco ad attirare solo una piccolissima parte di popolazione, cioè quella parte di popolazione acculturata e borghese che non ha legami con le grandi famiglie, come quella Hariri che guida il mondo sunnita, o i quadri dei partiti, come quello di Hezbollah o dei cristiani maroniti.

Il dato di fatto reale che blocca l’intera situazione del paese è che ogni forza politica è più legata ai propri interessi o a quelli dei propri protettori internazionali più che all’interesse del Libano.

Prendendo ad esempio Hezbollah è innegabile che questo clima di immobilismo è perfetto per la milizia sciita, foraggiata dall’Iran. Ogni giorno il partito di Nasarallah sfama e fornisce supporto a buona parte dei cittadini della parte Sud del Libano, garantendosi un supporto molto forte anche perché lo stato libanese è totalmente paralizzato. L’immobilismo del Libano è un vantaggio anche perché la mancanza di controlli al confine permette alle milizie sciite di poter passare i confini senza alcun problema, usando il Libano in realtà come un territorio franco in cui costruire il proprio potere.

L’attuale situazione del Libano sembra non potersi risolvere nel breve periodo, ma fornisce molti spunti di riflessione. Il più importante è sicuramente il fatto che i sistemi di garanzia della pace e della stabilità, come un sistema settario, non garantiscono un pieno sviluppo della vita democratica e politica che invece si può sviluppare solo in un luogo dove il confronto, anche acceso, vi sia. 

Fonti e Approfondimenti:

http://www.mei.edu/content/article/lebanon-s-emerging-protest-movement

http://www.mei.edu/content/article/aoun-steps-lebanese-presidency

Lebanon Has a New President (Not That It Matters)

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