Il post-elezioni dell’Iraq: i nove mesi di stallo politico di Baghdad

Ali-Khamene e Moqtada Sader, due dei principali esponenti della scena politica dell'Iraq
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Il post-elezioni legislative dell’Iraq, iniziato dopo l’ultima tornata elettorale del 2021, è stato caratterizzato da nove mesi di stallo politico. Il Paese, al momento, è ancora privo di un governo che rispecchi la ripartizione dei seggi, mentre il persistente equilibrio tra le formazioni politiche presenti in Parlamento fa presagire un prolungamento della crisi, sviluppata su più fronti.

Il verdetto delle urne di ottobre: sadristi premiati e filo-iraniani puniti

Lo scrutinio dei voti espressi il 10 ottobre scorso, nonostante i vari ricorsi e le accuse di brogli pervenute da una parte e dall’altra, ha sancito la sfiducia e la delusione della popolazione nei confronti dei partiti sciiti filo-iraniani. Stato di diritto, la coalizione dell’ex premier Nouri al Maliki, considerato da molti eccessivamente vicino a Teheran e avvezzo alla corruzione e al clientelismo, è riuscita a guadagnare 33 seggi, pochi in più rispetto ai 25 del 2018 e decisamente meno rispetto a quelli vinti nel 2010 e nel 2014, rispettivamente 89 e 92, quando risultava essere di gran lunga la fazione più influente del Paese. Gli altri partiti sciiti sostenuti dagli iraniani, Al Fatah e Alleanza della Vittoria, hanno ottenuto rispettivamente 17 e 4 seggi.

La “sconfitta” dei partiti sciiti alleati della vicina Repubblica islamica ha coinciso con la vittoria del Movimento sadrista, anch’esso un partito sciita ma di stampo nazionalista, ovvero avverso sia alle ingerenze statunitensi sia a quelle iraniane. Guidati dal religioso ed ex ribelle (condusse la lotta armata contro l’occupazione statunitense nel post-Saddam) Muqtada al-Sadr, i cosiddetti sadristi hanno portato a casa 73 seggi, divenendo il partito di maggioranza dello Stato arabo.

Lo scontro ideologico tra le due correnti sciite, con i filo-iraniani unitisi nel Quadro di coordinamento sciita per compattarsi contro il fronte sadrista, ha rappresentato fin dall’inizio il nodo della questione. Da un lato, il Quadro ha minacciato più volte di boicottare governo e Parlamento se i rivali sadristi avessero deciso di procedere con la formazione di un esecutivo di maggioranza nazionale anziché di unità, ovvero coinvolgendo tutti i partiti del Paese; dall’altro, il Movimento sadrista ha stabilito da subito che tutti i partiti erano benvenuti all’interno del governo, meno il partito di al-Maliki, considerato da al-Sadr una delle cause dei mali dell’Iraq degli ultimi dodici anni.

In un crescendo di tensioni politiche, i due blocchi principali, quelli sciiti, hanno dato via a due coalizioni più o meno formali e avverse: da un lato, il Movimento sadrista è riuscito a dare vita alla coalizione Salva la Patria, formata dai 73 deputati sadristi, i 51 sunniti (37 del partito Taqqadum, 14 del partito al-Azim), i deputati turcomanni e i 31 curdi del Partito democratico del Kurdistan (Pdk); dall’altro, ai 54 deputati del Quadro si sono alleati in maniera informale (non è una vera e propria coalizione) i 17 della Coalizione curda, blocco politico guidato dall’Unione patriottica del Kurdistan (Upk), in rottura con lo storico amico-nemico Pdk.

Con entrambe le forze impossibilitate, quantitativamente, a formare un governo di maggioranza, molto spazio è stato lasciato alle trattative inter-coalizione, ma anche con gli “esclusi” dai due blocchi ufficiali: gli indipendenti, le forze nate dalla contestazione politica del 2019 e i partiti cristiani. Tuttavia, la rigidità dei due blocchi rispetto ai temi principali del dibattito hanno reso ugualmente impossibile la formazione di un esecutivo a causa della mancata maggioranza da ambo le parti.

Dall’elezione del presidente del Parlamento di Baghdad alle dimissioni dei deputati sadristi

Secondo l’implicito accordo che regola la vita politica irachena dalla caduta del regime di Saddam Hussein nel 2003, le principali confessioni ed etnie del Paese si ripartiscono le più importanti cariche istituzionali, con lo scopo di garantire a ogni componente sociale il perseguimento dei propri interessi e la propria rappresentanza. Si tratta di una caratteristica politica che in diverse occasioni ha favorito la formazione di esecutivi coinvolgenti tutti i partiti, un tipo di governo che favorisce il dialogo inter-partitico, ma che non presenta una vera e propria opposizione nel Parlamento, in quanto ogni formazione politica fa parte dell’esecutivo. Se ai curdi spetta la presidenza della Repubblica (solitamente ottenuta con un candidato congiunto), al momento coperta da Barham Salih (Upk), e agli sciiti il premeirato, attualmente il primo ministro ad interim è Mustafa al-Kadhimi, alla minoranza sunnita tocca eleggere il presidente del Parlamento di Baghdad. Quest’ultima carica è stata conferita a gennaio al leader del partito Taqqadum, Mohammed al-Halbousi, e tuttora rimane l’unica carica istituzionale di rilievo assegnata.

La presidenza del parlamento di al-Halbousi ha permesso all’organo legislativo iracheno di procedere alla formulazione e votazione di leggi come il calmieramento dei prezzi dei cereali, seguita all’invasione russa dell’Ucraina, o la legge che criminalizza i rapporti diplomatici con Israele. Tuttavia, lo scontro intra-sciita ha reso impossibile il proseguimento del processo politico: i deputati del Quadro, infatti, hanno eluso ogni pericolo di rimanere fuori dal governo di Baghdad boicottando le sessioni parlamentari dedicate all’elezione del presidente della Repubblica. L’assenza dei filo-iraniani e dei loro alleati ha di fatto impedito più volte, tra febbraio e maggio, il raggiungimento del quorum minimo costituzionale per la validità delle sessioni parlamentari stesse. Con la mancanza di un capo di Stato, la nomina di un primo ministro risulta impossibile dal momento che è il presidente della Repubblica a conferire l’incarico a un membro della maggioranza

La mancata validità delle sessioni incentrate sul capo dello Stato iracheno ha impedito non solo di nominare un  premier, gradito dal Quadro, ma anche di eleggere un presidente della Repubblica avverso ai curdi dell’Upk, alleati del Quadro: nonostante il candidato sia solitamente presentato congiuntamente dalle fazioni curde, il Pdk aveva i numeri (contando anche sugli alleati sadristi e sunniti) per eleggere un nome proveniente dai propri ranghi, sancendo la totale supremazia sui rivali.

Lo stallo è perdurato così a lungo da spingere più volte al-Sadr a stabilire ultimatum politici ai rivali, proponendo di auto-esiliarsi dal dibattito per quaranta giorni per lasciare mano libera al Quadro nella formazione del governo e procedere alla formazione di un governo di maggioranza nel caso i filo-iraniani avessero fallito. Nonostante i ripetuti fallimenti dei rivali, la decisione sadrista non ha mai scosso la scena, e nessuna delle due fazioni è riuscita a produrre significative trattative e cambi negli equilibri di potere.

In tale contesto si arriva al 12 giugno, una data che rappresenta uno spartiacque nell’attuale processo politico iracheno: i 73 deputati sadristi, in linea con la decisione presa dal loro leader, hanno rassegnato in blocco le dimissioni uscendo dalla scena politica. In seguito, ex Costituzione, i seggi lasciati liberi dagli sciiti nazionalisti sono stati ripartiti in maniera proporzionale sulla base delle etnie e delle confessioni, riflettendo successivamente un equilibrio di forza simile a quello che ha impedito la formazione del governo per mesi.

Un partito di maggioranza fuori dal parlamento: i rischi per il futuro dell’Iraq

Dietro la scelta di al-Sadr si cela una strategia ben precisa e non solo l’esasperazione di un processo politico che rispecchia la suddivisione settaria e tribale del Paese. Con le dimissioni presentate dai deputati sadristi, il Movimento del religioso sciita esce dalla politica solo di facciata, a livello ufficiale. Al momento, in un Paese attraversato da un forte malcontento dovuto alle difficili condizioni economiche, al-Sadr ha mantenuto la propria credibilità agli occhi dell’elettorato: prima delle elezioni aveva promesso di non scendere a patti con l’élite corrotta in nessuna circostanza e così ha fatto. Inoltre, col passare dei giorni e la persistenza dello stallo, al-Sadr è stato in grado di traslare il consenso ottenuto in questi anni dal Parlamento alle piazze, come nel caso delle proteste organizzate oggi, venerdì 15 luglio, nelle principali città irachene.

Infine, le alleanze strette in Parlamento rimangono. I partiti sunniti, così come il Pdk, rimangono interlocutori privilegiati di al-Sadr e, presumibilmente, uno strumento di pressione per mettere con le spalle al muro il Quadro di coordinamento qualora riuscisse a formare un esecutivo. Tuttavia, gli sciiti filo-iraniani hanno fatto sapere che, qualsiasi governo venga formato, il parere di al-Sadr sarà richiesto e tenuto in considerazione, in linea con i principi di equilibrio, rappresentanza e collaborazione che caratterizzano la politica irachena, non tanto per virtù democratica quanto per garantire a ogni partito, specchio della frammentarietà del Paese a livello etnico, confessionale e tribale, il perseguimento dei propri interessi. Lasciare fuori dal processo di policy-making una qualsiasi forza politica rischia di generare ulteriori disuguaglianze, crisi e tensioni in grado di innescare conflitti, anche armati.

 

 

Fonti e approfondimenti

Abbas, Akeel, “Iraq: Once again, Muqtada al-Sadr stirs up the entire political system“, Middle East Eye, 21/6/2022.

Agenzia Nova. Iraq: ridistribuiti i seggi dei deputati dimissionari, i partiti verso la formazione del governo. 23/6/2022.

Al-Monitor. Sadr withdrawal from Iraqi parliament challenges Shiite rivals. 13/6/2022.

Schiavi, Francesco Salesio, “Iraq: lo stallo politico peggiora le conseguenze della guerra ucraina“, ISPI, 6/6/2022.

Yuan, Shawn, “Sadrists quit Iraq’s parliament, but al-Sadr isn’t going away”, Al Jazeera, 15/6/2022.

 

 

Editing a cura di Niki Figus

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