L’estate 2019 verrà sicuramente ricordata come la più irta di tensioni nei rapporti tra Israele ed Hezbollah. Gli attacchi israeliani contro obiettivi militari di Hezbollah sono stati all’ordine del giorno e, in risposta, il Partito di Dio ha lanciato moltissimi razzi verso le zone di confine. Rapporti così tesi non si vedevano dalla fine dell’invasione israeliana del 2006, che lasciò un Israele indebolito e stanco e un Libano in rovina, con un’economia che ancora non si è ripresa.
I rischi di escalation provengono dai comportamenti azzardati che tutti e due gli attori stanno portando avanti ormai da anni, ma che stanno passando i limiti da ambedue le parti. A questo quadro va, però, aggiunto un dato in realtà fondamentale: entrambi sono sicuri di non poter vincere questo scontro.
Resta quindi la domanda più importante di tutte: perché le due parti stanno continuando ad alzare la tensione, se sanno che questo confronto non può portarli ad alcuna vittoria? La risposta è legata alla sopravvivenza politica di chi decide, e questo è noto a tutti coloro fuori dalle stanze dei bottoni in Libano e in Israele.
La sopravvivenza politica di Netanyahu attraverso un’escalation?
Più si avvicinano le elezioni di settembre, più sembra chiaro che il primo ministro non può cedere di un centimetro nei confronti di Hezbollah – pena, essere sorpassato a destra da Avigdor Lieberman. Infatti, mentre le vicende giudiziarie e il partito White and Blue attanagliano Netanyahu a sinistra, il suo ex ministro della guerra sta costruendo una campagna per distruggere il suo consenso all’interno del Likud.
Per questa ragione, le azioni contro Hezbollah e contro l’Iran in Siria si sono intensificate, nonostante i ripetuti consigli del Mossad di non andare oltre con il rischio di scatenare una guerra. Il Libano, però, resta fondamentale per le chance di rielezione di Netanyahu, il quale vede accorciarsi sempre di più le proprie opzioni.
È infatti vero che Lieberman punta sempre di più su due temi: la guerra contro i nemici di Israele – Hamas ed Hezbollah – e il servizio di leva per gli ebrei ortodossi. Netanyahu sa di non poter accettare il secondo punto, visto che sarebbero proprio i partiti religiosi ortodossi, contrari alla leva, che potrebbero renderlo primo ministro. Per questo motivo, può accettare la sfida di Lieberman solo rispetto ai nemici del Paese, da affrontare senza esclusione di colpi.
L’unica opzione strategica che resta al leader del Likud è, quindi, quella di alzare l’asticella della tensione il più possibile senza scatenare una guerra, sperando di non far esplodere niente prima delle elezioni.
Le giovani leve del Likud, però, non capendo questa strategia, vedono nello scontro un’occasione più unica che rara. Chi non supporterà il primo ministro che ha deciso di distruggere coloro che vogliono vedere la fine dello Stato di Israele? Mentre queste bramosie guerrafondaie si rafforzano nei giovani membri del Likud, i più esperti e i vertici militari sanno perfettamente perché questa non può e non deve essere un’opzione.
Mentre i giovani vivono nel mito di un Israele invincibile, coloro che hanno una sguardo chiaro sanno che la situazione è molto diversa dal 2006, i rapporti di forza tra Israele ed Hezbollah non sono più quelli di una volta. Il Partito di Dio ha, infatti, dalla sua parte anni e anni di esperienza di combattimento in Siria, e da tempo prepara la trappola per Israele nel Sud del Paese dei cedri. Le stime dicono che Israele potrebbe perdere il doppio degli uomini caduti nel precedente conflitto e, questa volta, il territorio israeliano non sarebbe immune dai combattimenti. Gli insediamenti israeliani sono arrivati molto vicini alla zona di sicurezza tra Israele e Libano: Hezbollah, non avendo i mezzi limitati di Hamas, potrà colpire con forza in quei territori.
I rapporti sono unanimi a proposito di un possibile scontro. Quindi, nonostante la volontà della giovane intellighenzia del Likud, Netanyahu ha una sola stretta via tra Lieberman e la guerra con Hezbollah e dovrà percorrerla attentamente, se non vuole autodistruggersi portando con sé l’intero Paese.
Neanche Hezbollah ha le mani libere
Se Netanyahu non può azzardare un’offensiva per il rischio di trovarvisi invischiato e indebolito, né può tirarsi indietro, Hezbollah si trova nella stessa situazione. Il Partito di Dio, infatti, non è più il piccolo attore libanese del 2006 e ormai è visto dalla gran parte del Libano come una sorta di protettore: questo ruolo porta con sè oneri e onori.
L’equilibrio che si è instaurato negli ultimi anni ha dato un’importante responsabilità in mano a Nasrallah. Questi, infatti, sa che se con le sue aggressioni dovesse far scattare una nuova invasione israeliana, anche il precario equilibrio interno potrebbe saltare.
Le altre comunità hanno accettato la situazione con grande riluttanza, ma non vedono l’ora di poter accusare Hezbollah di aver messo in pericolo il Libano. È per questa ragione che, negli ultimi mesi, il Partito di Dio ha accettato gli attacchi israeliani senza praticamente mai rispondere al fuoco. Tuttavia, Hezbollah non potrà continuare a non rispondere per sempre e, per di più, dovrà occuparsi anche delle richieste di Tehran – che vuole un Israele sotto continua pressione.
Nasrallah non può accettare alcuna accusa di debolezza verso il nemico storico e, quindi, non si sa quanto ancora potrà evitare di accettare lo scontro e far scattare l’escalation. È chiaro che uno scontro sarebbe, in questo momento, estremamente pericoloso anche sul versante libanese: Hezbollah ha ancora un contingente numeroso impegnato in Siria e fa molto affidamento sull’economia di guerra e sui finanziamenti che arrivano dall’Iran. Se dovesse scoppiare un confronto, il Sud del Libano si trasformerebbe in un campo di battaglia – con moltissimi profughi in arrivo a Beirut – e molti dei proficui traffici di Hezbollah sarebbero interrotti chissà per quanti mesi.
Un accordo sarebbe la cosa migliore, ma (per adesso) non è percorribile
Nonostante Netanyahu e Nasrallah siano due uomini decisi e sempre pronti allo scontro, in passato hanno dimostrato che (a volte) sanno quando è giusto accordarsi. Questa situazione sarebbe facilmente risolvibile con un accordo, ma quest’ultimo sembra lontanissimo al momento.
Mentre tutti si preparano allo scontro, però, si dice che alcuni abbiano tra le mani una bozza di accordo, basato sullo scambio di territori in cambio di una pace duratura. Al centro del piano, ci sarebbe la piana della Shebaa, da sempre reclamata dal Libano, ma invece occupata da Israele e amministrata come parte delle alture del Golan.
In questo modo, Tel Aviv sarebbe sicura di accontentare e ingabbiare Hezbollah, che non potrebbe rifiutare un accordo del genere per evitare le critiche del resto del Libano, che lo vedrebbe così rifiutare un pezzo di territorio nazionale. Dall’altra parte, Nasrallah diventerebbe l’uomo che ha riportato alla patria un pezzo cospicuo del proprio territorio, assicurandosi un consenso anche maggiore.
L’unico ostacolo a questo accordo è il clima che si creerebbe intorno a Netanyahu. Il primo ministro sa – avendo già fatto qualcosa del genere con Hamas in passato – cosa vuol dire firmare un accordo con il nemico per la politica interna del partito. Lieberman vi costruirebbe la sua campagna e, molto probabilmente, creerebbe un’intesa con il partito White and Blue di Benny Gantz – il quale, nonostante sappia che l’accordo è la soluzione migliore, si guarda bene dal dirlo in pubblico. Nei prossimi mesi, sapremo se la sopravvivenza politica prevarrà e l’escalation diventerà realtà, o se il confine libanese rimarrà inviolato.
Fonti e approfondimenti
Haaretz, Yotam Berger, Bar Peleg e Jack Khoury, Two Israels Stabbed in West Bank Terror Attack, Army Says, 7 settembre 2019.
Al Monitor, Netanyahu’s chaos strategy, 6 settembre 2019.
Al Monitor, IDF spokesman’s deceit about effects of Hezbollah attack costs Israel credibility, 4 settembre 2019.