Festeggiare il Lavoro nel tempo della gig economy

Oggi, come ogni anno, si celebra la Festa dei Lavoratori, una giornata internazionale per commemorare la lotta per la riduzione della giornata lavorativa. In un periodo di ristrutturazione profonda del mercato del lavoro questa giornata potrebbe evocare un passato ormai lontano, in cui le parole d’ordine erano differenti. Il Primo Maggio però non è solo un monumento al passato, il futuro puó essere ancora promettente ma solo se le politiche dell’occupazione si dimostreranno all’altezza: chiedere che lo facciano è il senso di questa festa nel 2018.

Il lavoro sta cambiando e questo processo non diventerà reversibile o arrestabile solo perché lo si desidera. Il risultato delle lotte che si commemorano il Primo Maggio è stato eroso, è vero, ma l’assottigliamento dei diritti non è una conseguenza automatica dei processi di rinnovamento. Se il lavoro corre più veloce dei legislatori bisogna chiedere a questi di tenere il passo, non rifuggiarsi nella nostalgia di un periodo storico limitato e, per certi versi, atipico.

Per capire lo stato odierno delle cose dobbiamo guardare ad occupazione e qualità del lavoro, ma anche alle novità che si presenteranno nei prossimi anni.

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I dati sull’occupazione

La crisi economica del 2007-2008 ha interrotto un trend della disoccupazione in calo, facendo registrare una forte sofferenza del mondo del lavoro. Da allora la situazione è andata migliorando, sebbene con fasi alterne, tornando quasi in tutta Europa almeno agli stessi livelli di allora. Per avere un’idea quantitativa della disoccupazione nei paesi dell’Unione Europea possiamo guardare ai dati della piattaforma Eurostat.

Secondo i numeri più recenti lo scorso febbraio erano disoccupati 17,6 milioni di europei, il numero più basso in assoluto dall’inizio della crisi. Questo numero significa che il tasso di disoccupazione si aggira intorno all’8,6% ed è ancora più in basso nell’Euro-zona, con il 7,2%.

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Tassi di disoccupazione, UE in blu (EUROSTAT)

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Numero di disoccupati, in milioni (EUROSTAT)

I risultati della ripresa dell’occupazione non sono però omogenei tra tutti i paesi del continente. I tassi di disoccupazione più bassi si registrano in Repubblica Ceca (2,4%), Malta, Germania e Ungheria, mentre ad avere i risultati peggiori sono Spagna e Grecia. Quest’ultima è comunque uno dei paesi che nell’ultimo anno ha ridotto di più i suoi problemi di occupazione, passando dal 23,4% al 20,8%, ma, dal febbraio scorso, tutti i paesi tranne l’Estonia hanno registrato una crescita dell’occupazione.

Il tasso di disoccupazione giovanile risulta più alto di quello generale, con cui però condivide lo stesso andamento. Questo numero riflette le difficoltà incontrate dai giovani nell’entrare nel mondo del lavoro, ma è spesso sovrastimato. Molti giovani infatti sono studenti a tempo pieno, non rientrando quindi nelle statistiche sull’occupazione: va da sè che i dati segnalino un fenomeno più grave di quello reale.
Anche la differerenza tra occupazione maschile e femminile si è progressivamente assottigliata: se 20 anni fa le separava più di un punto, oggi si attestano a 8.1% per gli uomini e 8.4% per le donne. Oltre alle distanze nell’occupazione sono in calo anche i dislivelli di reddito tra generi, il cosiddetto Gender Pay Gap.

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Occupazione in Europa (EUROSTAT)

In Italia il trend è stato tutto sommato in linea con quello del continente, anche se il calo della disoccupazione è stato fino ad ora più lento e discontinuo. Questa differenza con altri paesi ricalca anche le differenze nella crescita economica tra essi e l’Italia, che ha avuto un’espansione modesta rispetto, ad esempio, all’Europa Centrale.

L’occupazione è migliorata in maniera eterogenea: ci sono stati buoni risultati per i giovani mentre si è assistito ad un leggero peggioramento per gli over50. Il dato resta comunque alto (intorno all’11%) e con gravi differenze regionali. La situazione peggiore è nel Mezzogiorno (19,4%) mentre la migliore nel Nord (6,9%), con un risultato intermedio nel Centro (10,0%).

Nel 2017 però il +1,2% di occupati che si è registrato ha riguardato soprattutto le categorie più vulnerabili a livello lavorativo: gli under30, le donne e gli abitanti del Mezzogiorno, un fatto decisamente incoraggiante.

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Qualità del lavoro

La ripresa dell’occupazione dopo la crisi è avvenuta in un periodo di crescente penetrazione della globalizzazione e soprattutto dell’avanzamento tecnologico in tutti gli aspetti della vita, lavoro compreso. In questa fase le aziende hanno usato la loro influenza perché si procedesse verso una maggiore flessibilità del lavoro, di fatto scaricando proprio sui lavoratori gran parte del rischio d’impresa. Buona parte della ripresa dell’occupazione è infatti rappresentata da contratti a tempo determinato, a progetto o di altre forme atipiche con poche o nulle tutele.

Al fianco delle altre trasformazioni si è poi sviluppata la cosiddetta gig economy, un particolare sistema in cui si lavora on demand, ovvero solo quando c’è effettivamente la necessità delle nostre competenze. Alcuni corrieri o i driver di Uber, sono esempi di professionisti della gig economy. Soprattutto dalla crisi molte persone stanno sfruttando queste opportunità occupazionali offerte da siti, applicazioni e piattaforme web, anche se molto saltuarie. Non essendoci dei veri e propri contratti è però difficile che le persone ricevano lo status di dipendenti con le conseguenti agevolazioni pensionistiche, sanitarie o di altro tipo.

Mentre avanzano le nuove forme di lavoro è necessario che si creino nuove forme di regolamentazione, supporto e tutela, ma questo non avverrà se non sarà richiesto con forza dai lavoratori stessi. Preso atto che le forme “tradizionali” di salvaguardia come i sindacati “storici” o i contratti nazionali fatichino a tenere il passo nell’epoca della flessibilità non resta che chiedere nuove leggi ai governi nazionali. Il fatto che la vecchia rete di protezione sia inadeguata non obbliga a rassegnarsi ad un lavoro insoddisfacente, significa che serve uno sforzo collettivo per costruirne una nuova adatta a questo secolo.

Prospettive future

Esiste un legame molto interessante tra occupazione e demografia. La popolazione europea è mediamente molto più anziana rispetto a quella di altre parti del mondo, in particolare in Italia, Spagna e Germania. Soprattutto in questi paesi, decine di migliaia di persone usciranno dal mercato del lavoro nei prossimi dieci anni, lasciando i loro impieghi alle nuove generazioni, meno numerose e forse nemmeno in grado di coprire tutti i posti vacanti in alcuni settori.

I nuovi lavoratori, tra l’altro, sono molto diversi da quelli ormai prossimi alla pensione. La generazione dei cosiddetti Millennials è quella più istruita di sempre, con la maggior percentuale di laureati e con le migliori competenze informatiche e tecnologiche. Proprio queste ultime faranno la differenza tanto sull’occupazione quanto sulla produttività, a patto che l’offerta di lavoro sia in grado di valorizzarle.

La verità è quindi che ci sono tutti i presupposti perché nel prossimo futuro i dati sull’occupazione possano registrare andamenti molto positivi ma, ovviamente, non sono l’unica variabile a cui guardare per capire la direzione che prenderà il mondo del lavoro. A decidere gli sviluppi futuri saranno quindi ovviamente le politiche sociali, previdenziali e dell’impiego, in questa congiuntura più che mai

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Struttura per sesso ed età della popolazione europea e italiana

La prospettiva dunque è meno fosca di quello che può sembrare ad un primo sguardo ma, come in ogni periodo di ristrutturazione, anche le sorti del mercato del lavoro dipenderanno da chi vincerà lo scontro sui diritti. Mentre si trasformano radicalmente le società, il welfare e gli stati stessi si aprono infinite possibilità di occupazione che però rischiano di non bastare ad assicurare una vita serena addirittura a chi lavora, accentuando il fenomeno dei cosiddetti “working poors”.

A poco serve rifuggiarsi nelle promesse di sussidi e assistenzialismo o nelle follie reazionarie di chi promette un impossibile ritorno a dei fantomatici “tempi d’oro”. Tramontato il mito del “posto fisso” e finita faticosamente la sbornia neoliberista non resta che capire quanto per i lavoratori sia necessario avere nuovamente un ruolo da protagonisti. Non saranno le grandi aziende a rinunciare volontariamente ai loro profitti, non sarà un mercato senza regole a fare l’interesse dei meno forti e, soprattutto, la ricchezza non “sgocciolerà” dall’alto in basso nella piramide sociale senza politiche attive di redistribuzione.

Festeggiare il Primo Maggio nel tempo della flessibilità è questo: capire che nessuno farà l’interesse dei lavoratori se non loro stessi. In un’epoca di tirocini gratuiti e lavoro on demand è un bisogno concreto chiedere che le istituzioni siano lungimiranti e riscoprano una dimensione sociale. Se l’economia cambia devono farlo anche l’istruzione, la formazione e l’impiego. Se lo stato abbandona la partita vincono i pochi, a scapito dei molti.

Fonti e Approfondimenti:

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-03-13/istat-disoccupazione-2017-112percento-minimo-4-anni–100910.shtml?uuid=AE2nV2FE&refresh_ce=1

http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Unemployment_statistics

http://ec.europa.eu/social/main.jsp?catId=101&langId=en

https://ec.europa.eu/info/business-economy-euro/economic-and-fiscal-policy-coordination/eu-economic-governance-monitoring-prevention-correction/european-semester/framework/europe-2020-strategy_en

http://www.pewresearch.org/fact-tank/2018/03/16/how-millennials-compare-with-their-grandparents/

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