Ricorda 1978: La legge 194

Ricorda 1978
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Sono passati 40 anni da quando, il 22 maggio 1978, la Legge 194 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” ha abrogato gli articoli del codice penale che fino ad allora definivano l’aborto come un reato, e imponevano pene anche molto elevate. Nonostante i decenni trascorsi, il dibattito sul tema è ancora molto vivo nel Paese: per comprendere al meglio questo dibattito è necessario andare ad analizzare come si è arrivati alla decisione del 1978, cosa prevede la legge 194 e cosa è cambiato in questi anni.

Partendo dai tempi più recenti, risale al 29 dicembre 2017 (data in cui è stata trasmessa al Parlamento) l’ultima relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della Legge 194/78 per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza, contenente i dati aggiornati al 2016 sulle interruzioni volontarie di gravidanza in Italia.
Secondo la relazione, nel corso del 2016 si sarebbe verificata un’ulteriore diminuzione del fenomeno (-3.1%), dato che confermerebbe il trend degli ultimi anni per cui si sarebbe assistito, dal 1982, ad “un decremento percentuale del 74.7%, passando da 234 ̇801 a 59 ̇423 nel 2016”, riguardante le sole cittadine italiane.

Al 2016 risultava, inoltre, che ad eccezione della Campania e P.A. Bolzano, tutto il resto della penisola fosse fornito delle strutture necessarie sufficienti a garantire questo diritto stabilito dalla legge. A questi dati se ne andava però ad accompagnare un ultimo , forse il più importante e centrale nel dibattito attuale sulle IVG: il numero di obiettori di coscienza in Italia. La relazione ha registrato, infatti, dati che risultano a dir poco impressionanti: come si può vedere dalla tabella, il 70% dei professionisti sanitari, nelle strutture in cui si effettua l’IVG, è obiettore, con i picchi più alti che si raggiungono nell’Italia Meridionale (83%), con i casi limite di Molise (97%) e Basilicata (88%).

I dati confermerebbero, quindi, un trend di diminuzione generale dell’IVG ma, allo stesso tempo, seppur sostenendo l’adeguata presenza di strutture idonee e sufficienti per portare a compimento la pratica, sottolineano un incremento annuo del numero di professionisti sanitari che vi si oppongono, protetti nel loro diritto dall’art 9 della L. 194.

Come già affermato, il dibattito nel 2018 è ancora molto acceso, tra chi vorrebbe vedere più diritti garantiti alle donne e chi crede che vadano ridimensionati. Tra le manifestazioni più recenti possiamo ricordare, da una parte, la campagna di Non Una di Meno, con l’apertura del sito “Obiezione Respinta”, in cui è stata caricata una mappa interattiva per segnalare le strutture ospedaliere (e non solo) che sono idonee e quelle, al contrario, da evitare qualora si avesse bisogno di ricorrere all’IVG; dall’altra parte, ricordiamo invece lo scandalo dell’aprile 2018 suscitato dall’associazione Pro Vita, che aveva appeso alla facciata di un palazzo in via Gregorio VII, all’Aurelio a Roma, un maxi-manifesto contrario all’aborto.

Il dibattito sul tema non rappresenta, però, una novità. La questione dell’aborto ha diviso l’Italia da sempre, ponendosi al centro dell’attenzione pubblica già negli anni ’60. In quegli anni, era molto attivo nel Paese l’organo dell’Unione delle donne Italiane, Noi Donne, il quale affermò che al tempo si effettuavano illegalmente 50 IVG ogni 100 concepimenti. I dati raccolti dall’associazione rientravano nel più ampio dibattito che si andava diffondendo nella penisola, mosso soprattutto dalle discussioni che avvenivano contemporaneamente in altri Paesi europei, come la Francia. Mentre, quindi, vi erano associazioni che sostenevano l’urgenza di regolarizzare la pratica e, soprattutto, di depenalizzarla, vi erano d’altra parte (soprattutto nel mondo ecclesiastico) coloro che sostenevano la necessità di difendere la vita contro ogni possibile attacco. Questa seconda linea di difesa si fondava principalmente su due documenti fondamentali: la Dichiarazione dei diritti del fanciullo (1959), che veniva interpretata in chiave anti-aborto, e l’Enciclica Humanae Vitae (1968) di Paolo VI, che rappresentava una chiara e netta condanna all’aborto.

Nel fronte per la depenalizzazione erano in molti a scagliarsi contro questa visione, considerata pericolosa, soprattutto perché il fatto che l’aborto costituisse un reato non poneva un freno alle migliaia di pratiche che venivano effettuate illegalmente e che, spesso, portavano alla morte delle donne stesse. Tra questi, a fianco delle varie associazioni, si pose sin da subito in prima fila il Partito Radicale.

Iniziarono in questi anni i tentativi di far passare una proposta di legge in Parlamento, anche se le prime proposte continuarono a fallire. Contemporaneamente, fuori dalle sedi istituzionali, si svolgeva la mobilitazione del movimento radicale, che vedeva in prima fila la CISA (Centro d’Informazione sulla Sterilizzazione e sull’Aborto, fondato a Milano nel 1973 da Emma Bonino, Adele Faccio ed altri) e la CRAC (Coordinamento Romano per l’Aborto e la Prevenzione). Queste due realtà si mostrarono in quegli anni molto attive nella lotta per la depenalizzazione dell’aborto, arrivando anche ad aiutare le donne ad abortire o a trovare strutture disponibili.

Nel 1975 si arrivò al punto di svolta. Ebbe infatti inizio in quell’anno la campagna referendaria portata avanti dall’Espresso ed appoggiata dalla Lega XIII Maggio. Iniziò, quindi, la raccolta firme che (nonostante fosse stata boicottata dalla DC) arrivò in poco tempo a quota 800mila. Sempre nello stesso anno, si registrarono altri due  eventi fondamentali in quella che era diventata una vera e propria “guerra” tra due fronti: il primo riguardò l’arresto di Pannella, Spadaccia (Segretario del Partito Radicale), Faccio (CISA) e Bonino (militante radicale), accusati di associazione a delinquere e procurato aborto; il secondo evento fu ancora più sensazionale.

Il 18 febbraio 1975, infatti, la Corte Costituzionale dichiarò in una sentenza il principio per cui vi è una differenza tra la salute “di chi è già persona”, riferendosi alla donna incinta, e la salvaguardia del feto che “persona deve ancora diventare”. Partendo da questo principio la corte dichiarava:


“l’illegittimità costituzionale dell’art. 546 del codice penale, nella parte in cui non prevede che la gravidanza possa venir interrotta quando l’ulteriore gestazione implichi danno, o pericolo, grave, medicalmente accertato nei sensi di cui in motivazione e non altrimenti evitabile, per la salute della madre.”


Con questa sentenza, per la prima volta, si dichiarava l’illegittimità di uno degli articoli previsti dal codice penale contro l’aborto, e ciò andava a sostenere la tesi del movimento radicale riguardante la necessità di sostituire tali articoli.

Continuarono in quegli anni i dibattiti, le sensibilizzazioni e le proposte di legge, fino a quando, nel gennaio 1977 venne finalmente approvata la proposta di legge “Norme sull’interruzione della gravidanza”. La proposta passò prima in Parlamento e venne, poi, discussa dal 18 al 21 maggio 1978 in Senato, dove le defezioni nella DC risultarono fondamentali al fine dell’approvazione .

Il 22 maggio 1978 veniva promulgata la L. 194, che andava ad abrogare il codice penale fino ad allora in vigore.

Il Codice Penale

Il codice penale prevedeva, fino ad allora, delle pene molto severe, che venivano disciplinate dagli articoli 545-555 contenuti nel Tit. X – Dei delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe.  Tra questi possiamo ricordare:


Art. 546

Chiunque cagiona l’aborto di una donna, col consenso di lei, è punito con la reclusione da due a cinque anni. La stessa pena si applica alla donna che ha consentito all’aborto. […]

Art. 548

Chiunque fuori dei casi di concorso nel reato preveduto dall’articolo precedente, istiga una donna incinta ad abortire, somministrandole mezzi idonei, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.

Art. 553

Chiunque pubblicamente incita a pratiche contro la procreazione o fa propaganda a favore di esse è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a lire quattrocentomila.[…]

L’unico caso in cui la pena veniva ridotta era previsto a causa della difesa dell’onore:

Art. 551

Se alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 545, 546, 547, 548, 549 e 550 è commesso per salvare l’onore proprio o quello di un prossimo congiunto, le pene ivi stabilite sono diminuite dalla metà ai due terzi


Gli altri articoli prevedevano pene per chi causava l’aborto di una donna non consenziente (art 545); per chi si procurava l’aborto ( art 547),  e così via.

 

La Legge 194

La Legge 194 ha sostituito gli articoli del codice penale, andando a depenalizzare e regolamentare le pratiche di interruzione volontaria della gravidanza.

Nell’art.1 vengono definiti i propositi della legge:


Art.1

“Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.”


Gli articoli successivi definiscono tutte le varie tematiche collegate all’IVG. Gli articoli dal 2 al 4 si occupano di regolamentare l’attività ed il ruolo dei consultori, mentre il 5 regola le attività sia dei consultori che delle strutture socio-sanitarie, e l’art. 8 indica i luoghi in cui devono essere svolte le procedure di IVG.

L’art. 4 si occupa, inoltre, delle IVG svolte entro il 90° giorno di gravidanza; mentre agli articoli 6 e 7 si pongono le basi per i procedimenti di IVG successivi ai 90 giorni.

Gli articoli 12 e 13 disciplinano, invece, come deve avvenire la richiesta per svolgere la procedura, sia per le maggiorenni che per le minorenni, sia in caso di interdizione della donna per infermità mentale.

Gli articoli 17, 18 e 19 vanno, infine, ad imporre sanzioni e pene per chi, in ordine: cagiona l’IVG per colpa, senza consenso o per volontà di ledere, e per chi non rispetta le modalità previste dalla legge.

Ma l’articolo fondamentale per comprendere il succitato dibattito contemporaneo è il 9, che disciplina il diritto all’obiezione di coscienza:


Art.9

Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. […] L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. […] L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo.


Questo articolo andrebbe, quindi, a garantire contemporaneamente i diritti di chi non vuole esercitare l’IVG e quelli delle donne che, in quanto protette dalla legge stessa, devono comunque, in qualsiasi caso, vedere rispettato il proprio diritto di ricorrere all’interruzione della gravidanza. Quest’ultimo punto è, come già affermato, al centro degli attuali dibattiti, visto l’incremento costante dei medici obiettori, nonostante i dati della relazione del ministero affermino che vi sono, per ora, ancora professionisti sanitari sufficienti per coprire le domande di IVG.

Il dibattito non si è riaperto solo negli ultimi anni, ma già dai giorni immediatamente successivi all’approvazione della legge: la chiesa iniziò, infatti, sin da subito la propria controffensiva e, due anni dopo la L. 194, prese il via il clima di campagna referendaria che portò al referendum abrogativo nel maggio 1981.

Il Referendum Abrogativo

Venivano recepite due proposte in questo referendum, essendo stata scartata dalla Corte Costituzionale quella massimale del Movimento Per la Vita, che prevedeva il ritorno alla situazione pre-1978.

I due quesiti riguardavano:

  1. la proposta più moderata del MPV, sulla riduzione del diritto all’IVG, e la liceità solo in caso di aborto terapeutico;
  2. la proposta dei radicali, riguardante la totale liberalizzazione.

Entrambi i quesiti vennero respinti con il 67.9 % dei No nel primo caso, e l’88.5% dei No nel secondo. La Legge 194 non venne quindi abrogata.

Oggi, dopo 40 anni, il dibattito è quindi ancora molto attuale, e la protezione di questo diritto fondamentale non è ancora da dare totalmente per scontata.

Fonti e Approfondimenti:

Legge 22 maggio 1978, n. 194

http://www.altalex.com/documents/leggi/2008/05/09/tutela-sociale-della-maternita-ed-interruzione-volontaria-della-gravidanza

Fai clic per accedere a C_17_normativa_845_allegato.pdf

Fai clic per accedere a C_17_pubblicazioni_2686_ulterioriallegati_ulterioreallegato_0_alleg.pdf

Tutti i dati sull’aborto in Italia

Fai clic per accedere a C_17_pubblicazioni_2686_allegato.pdf

https://www.agi.it/salute/aborto_legge_40_anni_dati-3925483/news/2018-05-21/

https://www.tpi.it/2018/05/22/legge-aborto-italia-40-anni/

Fai clic per accedere a Breve_storia_dellaborto_in_Italia.pdf

https://obiezionerespinta.info

LAIGA: index.php

ISTAT: 9025

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