Asia Bibi e le leggi sulla blasfemia in Pakistan

Lo storico verdetto della Corte Suprema di Islamabad, reso pubblico lo scorso 31 ottobre, ha riportato la storia di Asia Bibi sotto gli occhi dell’opinione pubblica internazionale. Asia Bibi è una contadina pakistana di religione cristiana che ha trascorso gli ultimi otto anni nel braccio della morte dopo essere stata condannata per aver presumibilmente insultato il Profeta Maometto, violando le leggi nazionali sulla blasfemia. La denuncia sarebbe partita da un gruppo di donne musulmane con cui Asia aveva discusso e che, come è risultato in seguito, l’avrebbero trascinata in tribunale per vendetta.

Nonostante le palesi inconsistenze nelle testimonianze e la lacunosità delle prove, sono stati necessari 8 anni per assolvere la donna, che ora rischia il linciaggio da parte delle frange più estremiste del Paese, capitanate dal partito Tehreek-e-Labbaik (TLP). Infatti, all’indomani della sentenza, la capitale è stata bloccata per tre giorni da violente manifestazioni che chiedevano l’impiccagione della donna. Asia Bibi e la sua famiglia hanno rivolto un disperato appello ai Paesi Europei, agli USA e al Canada, per ricevere asilo e aspettano di poter lasciare il Paese.

Sebbene il Pakistan non sia l’unico Paese ad avere leggi sulla blasfemia – l’Irlanda ha abolito il reato di blasfemia dalla Costituzione solo di recente – il contesto sociale del Paese, la definizione legale del crimine e la genesi delle leggi, le hanno rese uno strumento di discriminazione e persecuzione.

L’origine delle leggi sulla blasfemia

Il capitolo XV del codice penale pakistano sulle “offese alla religione” è un retaggio del dominio coloniale britannico sul subcontinente indiano. Gli inglesi avevano introdotto le leggi anti- blasfemia per evitare disordini dato l’alto numero di religioni presenti sul territorio conquistato. Nel codice del 1860, le leggi, che comunque sono state utilizzate di rado, miravano a punire atteggiamenti volutamente offensivi verso qualunque religione, non solo quella islamica.

La situazione cambiò nel 1977, quando Zia al-Huq stroncò il governo di ispirazione socialista di Zulfiqar Ali Bhutto e instaurò una dittatura decennale. Da un lato, Zia consolidò la propria posizione a livello istituzionale cambiando la Costituzione per estendere i propri poteri come Presidente e facendo piazza pulita dell’opposizione. Dall’altro, si mosse per guadagnare legittimità agli occhi della popolazione presentandosi come strenuo difensore dell’Islam.

Il generale non è stato il primo nella storia del Paese a utilizzare l’Islam per fare propaganda politica e attirare il consenso popolare. Infatti, già nel 1947, quando il Pakistan vinceva l’indipendenza dall’India, Muhammad Ali Jinnah, considerato il padre fondatore della nazione, si era appellato alla comune fede islamica per creare un senso di appartenenza al neonato Stato che rischiava altrimenti di rimanere frammentato e vulnerabile. Ma l’idea di Islam proposta da Jinnah presupponeva un ordine politico secolare e liberale che garantisse il rispetto per le altre confessioni.

Zia invece strumentalizzò il messaggio religioso per giustificare e rafforzare le premesse autoritarie del suo governo: le elezioni vennero bandite assieme ai partiti descritti come contrari al Corano perché fonte di divisione e la democrazia stessa venne dipinta come anti-islamica. Il sistema giudiziario fu islamizzato con l’introduzione delle Corti Sciaraitiche Federali incaricate di determinare l’aderenza delle leggi al Corano e alla Sunna.

Questa strategia trovò terreno fertile nella società pakistana di allora, in piena crisi  identitaria dopo la secessione del Bangladesh nel ’71. La sconfitta era stata imputata da molti allo stato di decadenza spirituale in cui versava il Pakistan. Inoltre, i partiti islamisti godevano dei finanziamenti che arrivavano generosi dal Golfo dopo il boom petrolifero del ’73 e gli attori internazionali erano disposti ad accettare la dittatura di Zia che consideravano un alleato chiave contro l’invasione sovietica dell’Afghanistan.

In questo contesto che il codice penale venne modificato e cinque nuove clausole, tutt’ora in vigore, furono introdotte nel capitolo XV – tra cui la sezione 295- C – che rende punibile con la morte la profanazione del nome di Maometto. A differenza delle precedenti norme, le attuali leggi mirano a proteggere solo l’Islam, in contraddizione con libertà fondamentali come quella di religione e di espressione nonché con l’idea stessa di Islam abbracciata dal Paese alle sue origini. Inoltre, non è più necessario dare prova dell’intento deliberato di commettere il reato; e soprattutto, il testo delle leggi risulta talmente vago che il suo ambito di applicazione può essere virtualmente illimitato.

Il risultato è stata una “caccia alle streghe” con accuse spesso false e mosse per motivi personali ed esecuzioni extragiudiziali, come quella di Mashal Khan, uno studente di 25 anni accusato di aver pubblicato materiale blasfemo online, trascinato fuori dal suo dormitorio da altri studenti e insegnanti e picchiato a morte nell’aprile 2017.

Chi sono i più colpiti?

Le statistiche disponibili delle condanne per blasfemia mostrano che i più colpiti sono i musulmani stessi, seguiti da Ahmadi e Cristiani. Il Pakistan è composto per il 97% da musulmani, di cui una parte segue l’Ahmadiyya. I numeri degli Ahmadi variano da 167,000 a 5 milioni: è difficile stabilirlo con precisione dal momento che molti vivono in incognito per evitare le ricorrenti persecuzioni ai propri danni.  

L’Ahmadiyya è un movimento riformista nato nel XIX secolo che fa capo alla figura di Mirza Ghulam Ahmad, originario della città di Qadian, oggi nella parte indiana del Punjab. Fin da prima della fondazione del Pakistan, Ahmad era stato accusato di eresia per essersi dichiarato l’ultimo Profeta, in opposizione al credo classico per cui Maometto sarebbe l’ultimo dei profeti.

L’ostilità nei confronti del movimento esplose già nel 1953, ma il governo rifiutò di piegarsi alle richieste dei gruppi islamisti di discriminare il movimento. Quando però la questione riemerse nel 1974, in un contesto storico completamente diverso permeato, come abbiamo visto, dalla crescente instabilità a seguito della sconfitta contro l’India, Bhutto decise di appoggiare le richieste dei manifestanti ed emendò la Costituzione per designare gli Ahmadi come non musulmani. Tuttavia, fu con Zia che l’Ahmadiyya venne effettivamente criminalizzata. Secondo le sezioni 298 B e C è reato per gli Ahmadi utilizzare la nomenclatura musulmana per i propri personaggi o chiamare “Azan” il richiamo alla preghiera, dichiararsi direttamente o indirettamente un musulmano e “offendere in qualsivoglia maniera la sensibilità dei musulmani”.

L’ascesa della nuova estrema destra pakistana e la debolezza del governo

Nonostante le palesi violazioni che queste leggi giustificano e i numerosi appelli per emendarle da parte di politici e ONG, la violenta risposta popolare ha reso impossibile modificarle e pericoloso pronunciarsi a favore della loro abrogazione. Anni di condiscendenza e ambiguità da parte del governo per il timore di perdere voti importanti e da parte dell’esercito per motivi strategici hanno portato all’ascesa incontrollabile di movimenti come Tehreek-e-Labbaik (TLP), la nuova estrema destra del Pakistan, che con un’agenda militante e un’ideologia ultraconservatrice sono più vicini ai Talebani di quanto lo siano ai tradizionali partiti islamisti come Jamaat-i-Islami.

TLP è nato proprio dalla vicenda di Asia Bibi e in difesa delle leggi sulla blasfemia. Nel 2017, Khadim Hussain Rizvi, attuale leader-santone del movimento, ha avviato una campagna in favore del rilascio di Mumtaz Qadri, la guardia del corpo che nel 2011 aveva ucciso Salmaan Taseer, governatore del Punjab, per aver chiesto una grazia presidenziale per Asia. Quando Qadri è stato condannato e giustiziato, è diventato il martire simbolo del movimento che nel giro di pochi mesi ha attirato un incredibile numero di simpatizzanti. Nel novembre del 2017, il TLP è riuscito a bloccare la capitale in protesta contro una variazione nella formula di giuramento dei candidati presente nella nuova legge elettorale ritenuta ‘blasfema’. In quella circostanza il governo aveva capitolato e concesso al gruppo le dimissioni di un ministro e il ritorno al precedente giuramento.

Nonostante il cambio di guardia in Parlamento e l’elezione di Imran Khan lo scorso luglio, la situazione oggi non sembra essere cambiata. L’ accorato discorso di Khan a favore del verdetto aveva fatto sperare che finalmente il governo fosse pronto a tener testa ai conservatori ma, dopo pochi giorni di sollevazioni, il TPI, partito al governo, ha stretto un accordo con il TLP assicurando che Asia non avrebbe lasciato il Pakistan. D’altronde Khan in campagna elettorale si era schierato a favore delle leggi sulla blasfemia, a riprova di quanto la questione sia politicizzata e dell’importanza dell’elettorato ultraconservatore. E’ improbabile quindi che il nuovo governo abbia la leva necessaria per spalleggiare l’attivismo della Corte Suprema. Basti pensare che, nel mezzo dei disordini, il PM è partito per la Cina per incontrare Xi Jinping, giustificando quella che molti hanno criticato come una fuga con la necessità pressante di trovare investimenti dato lo stato di deterioramento della situazione economica.

Questa ennesima manifestazione di debolezza da parte del governo e la violenza delle manifestazioni seguite alla scarcerazione di Asia Bibi, segnalano quanto la relazione tra Islam e politica rimane tesa in un Paese dove l’identità nazionale è contesa tra due visioni opposte del Pakistan: una secolare e l’altra religiosa.

 

Fonti e Approfondimenti:

https://www.bbc.com/news/world-asia-42970587

https://www.dawn.com/news/1328233

Fai clic per accedere a Blasphemy_Laws_-_Minnesota_Journal_of_International_Law-1.pdf

https://www.theguardian.com/world/2018/nov/02/outrage-as-pakistani-government-vows-to-stop-asia-bibi-leaving

https://www.aljazeera.com/indepth/features/tehreek-labbaik-campaigns-blasphemy-180705154014562.html

https://www.dawn.com/news/1443256/courage-to-do-justice

https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1111/j.1754-9469.2007.tb00166.x?referrer_access_token=DIVYm6LLzdyU0k0Rp_PgPYta6bR2k8jH0KrdpFOxC67SA851J4OnQk0aFZdYSVfJk-ITl4ipHLfjYCCtooSKUCBjj6qegkgAOfR2ZB5Ei8Ywc22oA96lYgH8aH91-SQrptnu5-5aj1WvsMU3_VAAmw%3D%3D

Fai clic per accedere a 565da4824.pdf

https://www.uscirf.gov/reports-briefs/special-reports/respecting-rights-measuring-the-world-s-blasphemy-laws

 

 

 

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