Nel 1992, Imran Khan sollevava la coppa del campionato mondiale di cricket e si imponeva come star sportiva e playboy da tabloid in patria e all’estero. Qualche giorno fa, lo stesso Imran Khan ringraziava la Nazione per una seconda vittoria storica: quella nelle elezioni in Pakistan dello scorso 25 luglio. Il pedigree politico di Khan rispecchia per molti versi quello di svariati leader populisti emersi di recente. L’ex campione del cricket si è fatto spazio nell’arena pakistana a forza di fendenti contro la corruzione dell’establishment, presentandosi come un volto nuovo della politica, in contrasto con le famiglie che da decenni occupano posizioni di potere. Le elezioni hanno sollevato però più dubbi che certezze: Imran Khan riuscirà a riformare il Paese o è destinato ad essere l’ennesimo burattino dell’esercito?
Come si sono svolte le elezioni?
Mercoledì scorso in Pakistan si è votato per assegnare i 272 seggi del Parlamento e i seggi dell’Assemblea Provinciale. A sfidarsi sono stati principalmente tre partiti:
- Il PTI – Pakistan Tehreek-e-Insaf, guidato da Imran Khan
- Il PML – N – Pakistan Muslim League – Nawaz, guidato dal fratello dell’ex premier e leader del partito Nawaf Sharif
- Il PPP – People’s Pakistan Party – guidato da Bilawal Bhutto Zardari
Il PTI avrebbe guadagnato 116 seggi, meno dei 137 necessari ad avere la maggioranza, il PML – N sarebbe arrivato invece secondo con 64 seggi e il PPP terzo, con 43 seggi. Imran Khan, che molto probabilmente sarà il prossimo primo ministro, si muoverà nelle settimane a venire per formare una coalizione di governo. Potrebbe corteggiare tanto il PPP quanto una serie di piccoli partiti religiosi di destra, sostenuti dall’esercito e criticati per le posizioni conservatrici e i sospetti legami con organizzazioni terroristiche. I risultati delle urne erano stati inizialmente rigettati dal PML – N che aveva denunciato brogli elettorali e interferenze da parte dei militari, vista la lentezza nel conteggio dei voti. L’Unione Europea, dal canto suo, ha escluso brogli ma ha affermato che la campagna elettorale è stata caratterizzata da poca trasparenza con pressioni sui media e, in generale, condizioni ingiuste per alcuni candidati.
L’ascesa politica di Imran Khan e la caduta libera di Nawaz Sharif
L’ex campione di cricket ha appeso le scarpette al chiodo nel 1996 quando ha fondato il PTI e si è reinventato come attento seguace dei valori musulmani e filantropo. In aprile, Khan aveva presentato un programma in 11 punti dove incoraggiava la creazione di “un sistema di giustizia, la riduzione della povertà e il miglioramento degli standard di vita della classe più povera”, l’eliminazione della corruzione e l’accesso di tutti ai servizi sanitari e scolastici e ad opportunità di lavoro. Durante questo ventennio in politica Imran Khan è stato critico prima della dittatura di Pervez Musharraf nei primi anni 2000, poi del governo di Ali Zardari tra il 2008 e il 2013 per poi guidare, dopo le elezioni del 2013, un sit- in di un centinaio di giorni contro l’ex primo ministro Nawaz al- Sharif accusandolo di essere corrotto.
Quando sono stati pubblicati i Panama Papers, gli oltre 11 milioni di documenti confidenziali sull’evasione fiscale mondiale, e il nome di Sharif è emerso in connessione ad una serie di proprietà non dichiarate nel Regno Unito, Imran Khan ha sfruttato la chance di rilanciare la propria narrativa di cambiamento. D’altra parte, l’allora premier è stato costretto a lasciare la carica dopo una sentenza della Corte Suprema ed è stato poi bandito a vita dalla politica e condannato a 10 anni di carcere per corruzione dal National Accountability Bureau. Nawaz Sharif e la figlia, anche lei coinvolta nello scandalo, sono tornati lo scorso 6 luglio da Londra e sono stati arrestati appena atterrati a Lahore. Il PML – N ha dipinto l’intera vicenda come una congiura dell’esercito e del giudiziario per affondare il partito e il suo ex leader che in più di un’occasione aveva criticato i generali. Sharif infatti nel 1999 era stato dismesso come capo del Parlamento in un coup non violento per poi tornare nel Paese nel 2007 e da allora aveva sfidato apertamente la presa militare sugli affari interni ed esteri del Paese.
Elezioni generali o elezioni dei generali?
Le relazioni tra Imran Khan e l’esercito sono state tra i punti più discussi di queste elezioni, il leader del PTI avrebbe infatti adottato di recente una linea più morbida verso i generali rispetto al passato. L’ipotesi abbracciata da molti è che l’esercito avrebbe favorito l’elezione dell’ex campione sportivo in mancanza di altri candidati appetibili e nella speranza che, essendo nuovo nel gioco politico, potesse essere più facile da manipolare. Il Pakistan dal momento della sua indipendenza nel 1947 è stato infatti governato da un alternarsi di governi militari e anche quando vi sono state autorità civili si è trattato comunque di alleati delle sfere militari. Dalla caduta della dittatura di Musharraf nel 2008, questa è la seconda volta nella storia del Paese che il passaggio di testimone da un governo all’altro avviene in modo democratico, ma sono tante le ombre che rimangono sulla transizione del Pakistan verso la democrazia. Basti pensare ai sanguinosi eventi che hanno costellato queste settimane di campagna elettorale: 128 persone sono rimaste uccise a Mastung il 13 luglio nell’attacco più violento dal 2014 quando i Talebani avevano attaccato una scuola uccidendo 141 persone, di cui 132 bambini; il 25 luglio un altro kamikaze si è fatto esplodere a Quetta causando 31 vittime.
Quali sfide per il prossimo governo?
Tra le tante sfide che attendono Khan e che lasceranno intendere quanto sia disposto a scrollarsi dalle spalle la mano invisibile dello “stato profondo”, vi è sicuramente la necessità di stabilizzare il Paese e promuovere una politica estera di riconciliazione. Negli ultimi anni l’esercito ha osteggiato qualunque tentativo di aprire un canale di dialogo con l’India a proposito del Kashmir e con l’Afghanistan, sostenendo al contrario una serie di attacchi e offrendo rifugio ai Talebani. Il Pakistan come l’Arabia Saudita ha sfruttato a lungo l’estremismo a suo vantaggio per indebolire i Paesi vicini finché questa tattica non gli si è ritorta contro con il proliferare di attacchi interni. Questo atteggiamento è risultato in un crescente isolamento: il Pakistan è stato reinserito dal Financial Action Task Force nella “lista grigia”, da cui era stato rimosso in via condizionale nel 2015, dei Paesi che finanziano il terrorismo e Donald Trump ha minacciato di tagliare i consistenti aiuti militari destinati ad Islamabad, in assenza di un impegno concreto a sradicare le cellule talebane.
Khan in passato si era scagliato più volte contro la politica statunitense e l’utilizzo dei droni nell’area e aveva piuttosto caldeggiato negoziati con i terroristi, fatto che gli aveva procurato il soprannome di “Taleban Khan”. E’ probabile che l’esercito spingerà verso rapporti più distesi con gli Stati Uniti per non perdere i finanziamenti e continuerà a remare contro tentativi di distensione con India e Afghanistan: l’insicurezza costante garantisce infatti che lo status e soprattutto il budget dei generali rimangano indispensabili.
Il secondo dossier caldo è quello economico con l’aumento del debito esterno e il rischio concreto che il Paese finisca in bancarotta e sia costretto a rivolgersi al Fondo Monetario Internazionale per un prestito. In tal senso, la Cina seguirà con attenzione gli sviluppi nel Paese dopo aver investito miliardi di dollari nella costruzione di un corridoio economico che colleghi Cina e Pakistan e aver prestato ingenti quantità di soldi al governo pakistano. Sebbene Khan abbia sostenuto che Pechino è parte del problema e non la soluzione, si troverà molto probabilmente a dover moderare la propria posizione. Allontanare la Cina non farebbe altro che acuire la solitudine del Paese sulla scena internazionale.
Il Pakistan è ad una congiuntura delicata della sua storia tra spinte reazionarie e una società giovane che si sta aprendo alla modernità e comincia a rivendicare i propri diritti. Alcune donne delle aree più conservatrici hanno votato per la prima volta quest’anno indicando come vecchi taboo sociali iniziano a cadere e i media, con grosse difficoltà, stanno cercando di acquistare una voce indipendente. Ma al tempo stesso intere zone rimangono senza servizi igienici, sanitari e scolastici.
Il fronte degli osservatori rimane diviso: è da vedere se Khan segnerà davvero la svolta per il Pakistan come sostengono alcuni o diventerà, come annunciato da altri, uno tra i tanti politici di facciata al servizio dell’esercito.
Fonti e Approfondimenti
https://www.bloomberg.com/quicktake/pakistans-turmoil
https://www.aljazeera.com/indepth/features/pakistan-general-election-180722212215600.html
https://www.theguardian.com/commentisfree/2018/jun/03/wind-blowing-imram-khan-to-power-in-pakistan
https://thediplomat.com/2018/05/is-it-imran-khans-turn-yet/
Khan edges towards victory in Pakistan’s election on a messy wicket