Si avvicina il momento delle general elections in Bangladesh, previste per fine anno, e con esse la necessità di tracciare un bilancio dei quattro anni di governo di Sheikh Hasina, leader del principale partito di ispirazione socialista Awami League. Il giudizio da parte della comunità internazionale è positivo: il PIL è cresciuto sensibilmente (7.28% nell’ultimo anno), e a marzo le Nazioni Unite hanno annunciato che il Paese soddisfa i requisiti per essere promosso da “paese meno avanzato” (least-developed country, LDC) a “paese in via di sviluppo” (developing country, DC). Questa nuova etichetta gli permetterà di dialogare alla pari con vicini importanti nella regione: primo fra tutti l’India, con il quale condividerà lo stesso status economico.
Quest’ultimo costituisce sicuramente il principale interlocutore del Bangladesh in politica estera: il forte legame tra i due Paesi è la conseguenza di un passato comune e del fatto che l’India è stato il primo Stato a riconoscere la neonata nazione bengalese all’indomani della proclamazione di Indipendenza nel 1971. L’attuale territorio del Bangladesh faceva infatti parte del Pakistan, separatosi dall’India nel 1947; trattandosi di un’area distaccata dal resto del Paese, era stata per anni trascurata dal governo centrale, dal quale decise di ribellarsi dopo alcune proteste sfociate in scontri violenti nel marzo 1971. Gli attriti tra Pakistan e India hanno spinto quest’ultima ad appoggiare le rivendicazioni di Indipendenza della regione bengalese, che tra l’altro condivideva la posizione indiana relativamente alla “questione Kashmir”; l’intervento nel conflitto da parte dell’India nel dicembre dello stesso anno determinò infine la resa del Pakistan e la nascita della Repubblica Popolare del Bangladesh.

Pakistan Occidentale e Orientale, prima della nascita del Bangladesh – Fonte: Atlas of Bangladesh
Da allora le relazioni tra i due Stati sono state intense e piuttosto amichevoli, nonostante alcune spinose questioni riguardanti il confine che li separa. Essi infatti condividono una linea di frontiera di 4.096 km, teatro di attraversamenti illegali verso l’India da parte di bengalesi in cerca di lavoro e di trafficanti di droga indiani in direzione opposta; per quanto le stime riguardanti tali fenomeni non possano che essere approssimative, i dati sugli immigrati irregolari attualmente presenti in territorio indiano variano dai 10 ai 15 milioni.
La costruzione di un recinto in diversi aree di confine (70% della lunghezza totale) non ha avuto l’effetto di contrastare il fenomeno; oltre ad essere un progetto estremamente dispendioso, non copre al momento le zone attraversate da fiumi, che restano dunque il canale privilegiato di ingresso. Inoltre una “soluzione” del genere si è tradotta in un drammatico aumento dell’insicurezza dei migranti e delle violenze subite nei tentativi di attraversamento: è stato stimato che negli ultimi dieci anni l’esercito indiano preposto alla sorveglianza del confine abbia aperto il fuoco contro circa 1000 migranti che tentavano il passaggio.
Un incontro tenutosi a Delhi il 4 settembre ha avuto come scopo proprio quello di cercare una soluzione alle tensioni che questi scontri provocano al confine; i due Paesi si sono impegnati a rafforzare la cooperazione per evitare una escalation delle violenze, ma al tempo stesso il governo indiano resta fermamente convinto della necessità di completare la costruzione del muro e potenziare le misure di sicurezza al confine, rinnovando accordi bilaterali come il Coordinated Border Management Plan (CBMP) del 2011.
Il problema dell’immigrazione illegale si intreccia poi con la questione delle enclaves, ovvero di “porzioni di territorio di uno Stato completamente circondate dal territorio di un altro Stato”. India e Bangladesh condividono quello che è stato definito il “confine più pazzo del mondo”, poiché l’una ospitava aree appartenenti alla seconda e viceversa, per un totale di 162 enclaves (51 in India e 111 in Bangladesh). A rendere ancor più complessa la situazione, vi erano casi di “counter-enclave”, ovvero di enclaves situate all’interno di altre enclaves, e persino di una “counter-counter-enclave”.
L’origine di questa bizzarra configurazione geografica risale al periodo pre-coloniale: gli imperatori Moghul governavano l’attuale zona di confine eccetto la regione del Cooch Behar, rimasta indipendente; proprietari terrieri di entrambe le parti acquistarono nei secoli terreni da una parte all’altra, determinando l’attuale situazione.

Esempio di enclaves al confine tra India e Bangladesh – Fonte: Open Street Map
Le conseguenze per i residenti di tali enclaves (circa 38.000 indiani in Bangladesh e 15.000 bengalesi in India) sono state restrizioni al movimento e all’accesso ai servizi; pur trovandosi fisicamente in un determinato Stato, essi possedevano infatti la nazionalità di un altro, e non potevano quindi usufruire di ospedali e scuole che si trovavano nel loro territorio.
Da quando il Bangladesh ha ottenuto l’Indipendenza i due Paesi hanno tentato più volte nel corso degli anni di risolvere la questione. Un primo accordo è stato firmato nel 1974 ma non è mai stato implementato; ridiscusso del 2011, è infine entrato in vigore nel giugno 2015. Si tratta del Land Boundary Agreement (LBA), che ha previsto lo scambio delle reciproche enclaves tra i due Paesi, con la possibilità per i loro abitanti di scegliere se trasferirsi o richiedere il cambio di nazionalità. Questa opzione è dettata dalla consapevolezza da parte dei due governi che diversi residenti delle enclaves hanno dovuto mascherare la loro identità per anni per poter usufruire di servizi di base nel territorio di uno Stato che li circondava ma non li riconosceva come propri cittadini; famiglie bengalesi hanno iscritto i propri figli a scuola falsificando i documenti con nomi di antenati o amici indiani, partorienti indiane hanno inventato nomi da donna bengalesi nel momento in cui i mariti le accompagnavano d’urgenza in ospedale. Per anni queste persone hanno attraversato giornalmente il confine tra uno Stato e l’altro senza alcun visto, semplicemente per andare al mercato, rischiando costantemente di essere arrestati; anche chi avesse voluto richiedere un visto, del resto, avrebbe dovuto attraversare almeno una volta il confine illegalmente per raggiungere il consolato di una grande città.
Nel 2015 dunque il calvario di queste popolazioni avrebbe dovuto concludersi. In realtà la soluzione non è così semplice, e ancor oggi la questione costituisce un tasto dolente. Chi ha falsificato i propri documenti per anni e decide adesso di riappropriarsi della propria identità avrà difficoltà a far correggere diplomi di scuola e altri certificati; questo rappresenterà un serio ostacolo nel momento della ricerca di un lavoro, dell’apertura di un conto in banca o della richiesta di un passaporto. Quattromila ex-residenti di enclaves non sono stati riconosciuti dal censimento effettuato in India a seguito all’implementazione del LBA; sono stati presentati diversi ricorsi, il censimento è stato aggiornato a fine luglio di quest’anno, ma migliaia di persone non risultano ancora presenti in nessun registro, poiché è stata messa in dubbio la loro “indianità” ed è stato concesso loro un mese di tempo per provare il contrario. Si tratta per lo più di musulmani che parlano bengali: la loro situazione è particolarmente critica poiché, oltre ad essere facili vittime di discriminazione in uno Stato governato da un partito nazionalista Hindu come il BJP, parlano un’altra lingua; e proprio la lingua è stata scelta come criterio principale per identificare i possibili migranti irregolari provenienti dal Bangladesh.
Secondo il Primo Ministro Modi, infatti, lo scambio di enclaves del 2015 contribuirà alla lotta contro l’immigrazione illegale lungo il confine indo-bengalese. Convinzione che come abbiamo visto non solo si è rivelata infondata, ma ha anche sottovalutato gli innumerevoli rischi che una cattiva gestione di un simile scambio di territori può causare alle popolazioni che vi risiedono. Urge dunque una maggiore consapevolezza da parte di entrambi i governi della delicatezza di una tale situazione; la questione non ha ricevuto le dovute attenzioni dalla comunità internazionale, il cui intervento potrebbe sollecitare i due governi coinvolti a una reale e completa risoluzione delle problematiche legate alla particolarità del confine che condividono.
Fonti e approfondimenti
https://thediplomat.com/2018/04/bangladesh-set-to-reach-economic-par-with-india/
https://thediplomat.com/2015/06/india-bangladesh-relations-the-bigger-picture/
https://thediplomat.com/2017/02/the-india-bangladesh-wall-lessons-for-trump/
https://indianexpress.com/article/india/on-bangla-border-in-the-name-of-the-pseudo-father/