di Elisa Ripanucci
Secondo recenti statistiche (basate su dati registrati nel 2016) negli Stati Uniti, un quinto delle morti di ragazzi tra i 24 e 35 anni è riconducibile all’uso/abuso di oppioidi. Ma cos’è la dipendenza da oppioidi? Cosa può portare a fare uso di queste sostanze?Cerchiamo di spiegare il problema secondo diverse prospettive.

Decessi causati da oppioidi. Fonte: Wikipedia
Il manuale diagnostico internazionale per i disturbi psichiatrici (DSM-5), definisce i disturbi da uso di sostanze come caratterizzati da vari fattori. Tra questi ricordiamo principalmente l’ uso della sostanza in quantità maggiore rispetto a quello che si era stabilito, il craving, ovvero un desiderio pervasivo e compulsivo di assumere la sostanza, e la sensibilizzazione rispetto a essa, ovvero il bisogno di assumere maggiori quantità per raggiungere la sensazione che si ricerca.
La dipendenza nel Cervello
Nel caso degli oppioidi, ad esempio l’eroina, ma anche farmaci come la morfina, si può verificare una dipendenza non solo psichica, ma anche fisica. Quando si interrompe l’assunzione si hanno infatti crisi di astinenza che includono febbre, nausea e anche dolori fisici. Le crisi di astinenza derivano dal fatto che si sviluppa una tolleranza, cioè la stessa quantità di sostanza produce un effetto minore sul cervello, che è un meccanismo usato dall’organismo per “limitare i danni”.
A lungo andare la tolleranza genera assuefazione, questa implica il fatto che l’organismo ha effettivamente bisogno della sostanza per non incorrere nella crisi di astinenza. Allo stesso tempo si è visto però che il craving non si esaurisce anche dopo lunghi periodi di astinenza e questo può avere motivazioni complesse, le quali comprendono fattori biologici, psicologici e sociali, i quali si influenzano a vicenda.
Per parlare del fenomeno dal punto di vista cerebrale, bisogna fare un passo indietro per comprendere di cosa si sta parlando. Le cellule cerebrali “comunicano tra loro” tramite segnali elettro-chimici, i “portatori” dei segnali tra neuroni sono i neurotrasmettitori, che possono essere eccitatori o inibitori. Le informazioni veicolate dai neurotrasmettitori passano attraverso aree diverse del cervello, fino a formare dei network specifici.
In questo caso il neurotrasmettitore coinvolto è la dopamina e il network viene chiamato “circuito del reward”. Il circuito del reward è molto importante dal punto di vista evolutivo, perchè comprende aree e meccanismi che, associando diverse informazioni, vanno a formare la motivazione, la quale ci permette di regolare bisogni e istinti, di discriminare piacere e sofferenza.
Si tratta infatti di aree che si attivano in dei comportamenti di base istintuali, come la ricerca di cibo: un comportamento necessario alla sopravvivenza. Nell’assunzione di droghe però questo circuito agisce in modo diverso. La sostanza, al contrario del cibo che attiva il network in modo moderato e in certe condizioni, fa verificare un’attivazione delle aree in modo ripetitivo e continuo.
Questo meccanismo sottostante provoca una sorta di associazione istintiva della sostanza a un qualcosa di positivo, che provoca piacere, e questa associazione viene attivata anche quando semplicemente la persona vede qualcosa che gli ricorda l’assunzione delle medesima sostanza. Succede a volte che, dopo periodi di disintossicazione, la persona ricade nella dipendenza semplicemente ritornando nei posti frequentati in precedenza. Ciò accade perché anche solo vedere un luogo, o sentire un odore, può riattivare il craving e questo, se non controllato, può essere disastroso.
L’ipotesi in questione è sicuramente interessante, ma non basta per comprendere il motivo per cui si inizia ad assumere una sostanza, e perché si sceglie proprio un particolare tipo. Un discorso difficile da esaurire, perchè sarebbe necessario vedere un disturbo in una specifica persona, in una particolare personalità, e questo comprenderebbe fattori ancora più complessi.
Abbiamo visto cosa succede nel cervello di una persona che fa uso di sostanze, ma cosa succede nella sua mente?
La dipendenza da oppioidi nella mente
Una teoria che cerca di entrare nell’esperienza soggettiva di chi soffre di questi disturbi è la psicologia dinamica. Secondo questa teorizzazione si inizia ad assumere una sostanza per “autocurarsi”, per cercare un sollievo rispetto ad una sofferenza. Si cerca la sostanza per evitare sentimenti dolorosi che sono vissuti come insopportabili.
In diversi studi sulle motivazioni che portano all’uso di eroina e altri oppioidi, è stata identificata in soggetti tossicodipendenti una depressione sottostante: in molte occasioni essi riportavano sentimenti di vuoto, inutilità, vergogna, e l’eroina era vista come un fuga da questi sentimenti, ottenuta con la sensazione di piacere e “beatitudine”, ambedue sensazioni provocate proprio dalla sostanza.
Ovviamente la sensazione è momentanea, quindi si continua disperatamente a cercare un sollievo dalla sofferenza. Questo comportamento, paradossalmente, non farà che provocare altra sofferenza. Oltre a sentimenti di tristezza e autosvalutazione, secondo il PDM (Manuale Diagnostico Psicodinamico), i pazienti dipenenti da oppioidi riportano anche forti sentimenti di rabbia, quasi esplosiva, e le sostanze vengono cercate e assunte per calmarsi, per sentirsi “normali” e, in qualche modo, contenersi.
Rispetto a quest’ultimo punto, è stato visto che adolescenti con più difficoltà nella regolazione emotiva, cioè la capacità di gestire le proprie emozioni in modo adattivo, sono più a rischio di sviluppare una dipendenza. A questi fattori se ne aggiungono moltissimi altri, come ad esempio esperienze traumatiche, o la pressione sociale che vive l’adolescente quando sviluppa questo disturbo, il quale può avere difficoltà nel sentirsi accettato o nello stabilire dei legami solidi.
Va detto inoltre che durante l’adolescenza potrebbe esserci una difficoltà generale nella regolazione degli impulsi e delle emozioni, per motivazioni strettamente biologiche. In questo periodi infatti avviene, a livello cerebrale, la completa maturazione del sistema limbico, area che sottende processi emozionali mentre non è ancora avvenuta la completa maturazione della corteccia prefrontale, la quale comprende aree che implicano meccanismi volontari di decisione e controllo.
Questo potrebbe spiegare la tendenza degli adolescenti a cercare sensazioni forti, motivo per cui spesso è proprio in questo periodo che si inizia a fare uso di sostanze.
Fonti e Approfondimenti:
Lingiardi, V., & MacWilliams, N. (Eds.). (2018). PDM-2: manuale diagnostico psicodinamico. Raffaello Cortina Editore.
Gabbard, G. O. (2014). Psychodynamic psychiatry in clinical practice. American Psychiatric Pub.
Siracusano, A. (2014). Manuale di Psichiatria, seconda edizione. Il Pensiero Scientifico Editore.
https://www.theatlantic.com/health/archive/2018/06/another-shocking-opioid-statistic/561671/