Il diritto di sparire

Immagine generata con supporto AI © Lo Spiegone CC BY-NC

Tra i diritti europei di nuova generazione ha fatto il suo ingresso uno particolarmente legato all’era teconologica del mondo. Oggi viene infatti riconosciuto il diritto di sparire da internet per i cittadini dell’Unione europea.

Stiamo parlando di una conquista molto recente, riconosciuta grazie a una sentenza della Corte di Giustizia Europea del 2014. Il Garante della privacy nazionale spagnolo, su richiesta di un cittadino, aveva proposto un ricorso alla CdG in merito ad alcune informazioni personali che comparivano tra i risultati della richiesta sul motore di ricerca, ma il soggetto le riteneva lesive e offensive della dignità della sua persona.

La Corte ha ritenuto che la pretesa del cittadino fosse del tutto lecita e ha pertanto richiesto la cancellazione dei risultati dal motore di ricerca, attraverso la cosiddetta “deindicizzazione”; questa possibilità non è del tutto senza freni ovviamente, in quanto i risultati di ricerca possono essere eliminati solo quando contengono informazioni ormai “inadatte, irrilevanti o non più rilevanti”.
È evidente che il diritto all’oblio è un diritto di nuova generazione, coniato grazie all’azione creatrice della Corte di Giustizia Europea e oggi stabilito principalmente nell’art.17 del Regolamento Generale del Diritto alla Privacy, noto anche come GDPR.

Il difficile bilanciamento con gli altri diritti

Dalla pronuncia del 2014 sono state presentate più di 180mila richieste di “essere dimenticati”, molte di queste accolte, altre no poiché nel bilanciamento di valori il diritto di cronaca ha prevalso sul diritto di privacy. Quello che è certo è che questa situazione è ancora instabile e profondamente vaga: per quanto sia stato importate l’intervento del Regolamento, ancora non esiste un riferimento integro e complessivo al quale fare riferimento in maniera lineare.

Di recentissima introduzione, questa novità ha già però mostrato alcune difficoltà in merito alla sua possibile convivenza con altri diritti più radicati: in specie il diritto all’oblio si scontra con il diritto di espressione, contenuto nell’art 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che riconosce l’esistenza di tale diritto al netto di ogni interferenza delle autorità pubbliche e di limiti di frontiera. Allo stesso modo però il secondo comma dello stesso articolo ricorda che “l’esercizio di queste libertà […] può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che costituiscono misure necessarie […] alla protezione della reputazione o dei diritti altrui”.

Il diritto di espressione e di cronaca rappresentano quindi libertà fondamentali nell’Unione e non tollerano restrizioni. Da questa considerazione sorge il problema della convivenza con il nuovo diritto. In pratica ci si chiede se sia possibile trovare un bilanciamento tra queste figure di diritti. La questione è spinosa, dato che anche il diritto alla privacy è riconosciuto espressamente dall’art. 8 della Convenzione dove si chiarisce che “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”.

Il succitato art. 17 del GDPR dà una prima regolamentazione del diritto all’oblio e riconosce un diritto azionabile da tutti i cittadini dell’Unione contro il cosiddetto “titolare del trattamento”, ossia colui che ha la materiale disponibilità dei dati di cui il soggetto richiede l’eliminazione. L’interessato pertanto ha il diritto di richiedere al titolare del trattamento di procedere senza indugio alla rimozione dei dati a lui riferiti. L’istanza ha ragione di esistere quando i dati personali non sono più necessari rispetto alla finalità per le quali erano stati raccolti o altrimenti trattati oppure l’interessato ha revocato il proprio consenso e non sussiste alcun fondamento giuridico per il trattamento ovvero i dati sono stati illecitamente trattati o, in ultimo, di cancellazione pervenga da una disposizione impositiva di uno Stato membro.

Peraltro nella stessa norma compaiono anche le disposizioni derogatorie alla disciplina sopra indicata a presidio della maggior importanza del diritto di informazione rispetto a quello di privacy: ogni qual volta che vi sia una necessità legata a “l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione”, nonché nei casi di “interesse pubblico nel settore della sanità pubblica” e per “l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria”.

Di base il giusto mezzo tra questi due valori sta nella rilevanza e nell’attualità delle informazioni, poiché quando esse smetteranno di avere utilità o di servire a scopi informativi non vi è nessun motivo valido per mantenerle nel web, almeno secondo quanto riportato dalla CdG.

Il ragionamento seguito dalla Corte segue un filo logico molto semplice: tutto ciò che è stato lecitamente – cioè con il consenso dell’interessato o in nome del diritto di cronaca – può essere eliminato dalla memoria telematica una volta che ha esaurito la sua funzione. Il punto di discordia è altrettanto evidente. Si rischia così di creare un diritto di informazione con una pressante data di scadenza, creando notevoli disagi soprattutto per  le testate giornalistiche più deboli e più piccole, che rischiano di veder sparire il proprio materiale.

Le ultime evoluzioni

Nei primi anni di attività in materia la CdG aveva sostanzialmente adottato un approccio casistico, mentre oggi appare più diretta verso una trattazione organica. Il casus belli è stato offerto dal ricorso della Commissione nazionale per l’informatica e le libertà francese che aveva richiesto l’eliminazione integrale dalla piattaforma web di taluni risultati inadatti, irrilevanti o non più rilevanti. Di fronte a tale richiesta la CdG ha ritenuto opportuno un esame più approfondito: la Corte ha ricordato che il diritto all’oblio non è un diritto assoluto e che pertanto deve essere bilanciato con gli altri diritti tutelati nell’ambito dell’Unione europea, in specie quello di informazione. Ha quindi stabilito che la richiesta di oblio può coinvolgere l’eliminazione dalle piattaforme europee, ma non può travalicare i confini dell’Europa in quanto questo costituirebbe una compressione eccessiva degli altri diritti.

Questa pronuncia ha decisamente diviso l’opinione pubblica: c’è chi la guarda con favore, vedendo protetto il diritto di informazione e di cronaca, e chi, al contrario, ritiene che questa pronuncia sia un passo indietro nella strada alla tutela della privacy così faticosamente intrapresa; l’unica cosa certa è che il corredo dei diritti, in specie quelli di derivazione europea, sta crescendo e segue le esigenze dei cittadini.

Fonti e approfondimenti

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